Prog (Italy)

FRATELLI DI BARBA

- TESTO ✪ Paolo Zaccagnini

PAOLO ZACCAGNINI, PER DECENNI PENNA DEL QUOTIDIANO «IL MESSAGGERO», CON FRANCESCO HA DIVISO TANTI MOMENTI. CON LUI AVEVA ANCHE UNA CARATTERIS­TICA IN COMUNE, CHE LI RENDEVA ANCORA PIÙ RICONOSCIB­ILI: LA BARBA. POCHI POSSONO DIRE DI AVERLI VISTI SENZA, ANCHE SE QUELLA DI ZAC LO FACEVA SEMBRARE UNO DEGLI ZZ TOP. LO ABBIAMO CONTATTATO A DUBLINO, DOVE VIVE DA MOLTI ANNI, PER FARLO PARTECIPAR­E A QUESTO SPECIALE. NON SI È FATTO PREGARE…

Ricordare Francesco Di Giacomo? Come si fa in questi tempi orrendi dove la musica passa per i talent-show, lo streaming bulimico e altre porcherie simili? Francesco, per me mai Big o Ciccio, veniva dalle fumose cantine romane. Era figlio del popolo, romano vero, utilizzato da Federico Fellini nei suoi film (Satyricon, I Clowns, Roma, Amarcord). Amare il rock’n’roll e il blues negli anni Sessanta significav­a entrare in una setta ristretta. E sia lui che il sottoscrit­to ci entravano a fatica… per le lunghe barbe e lui anche per l’aspetto massiccio, che con gli anni gli avrebbe portato i problemi cardiaci che lo avrebbero strappato a noi. All’inizio degli anni Settanta il progressiv­e italiano era il massimo con Premiata Forneria Marconi, Reale Accademia di Musica, Le Orme, Trip, Osanna. Ovviamente non posso dimenticar­e il Banco del Mutuo Soccorso, formato da due talentuosi fratelli tastierist­i di Marino e da altri sconosciut­i musicisti, oltre che da un grande cantante come Francesco; ipotizzare il loro successo era impensabil­e. E invece, grazie anche alla voce di Francesco, arrivò la popolarità e grandi album. Gli dicevo sempre che dovevano andare all’estero, ma sia Vittorio che Francesco celiavano e ci scherzavan­o su. Diceva Vittorio: “Eh, France’… dovemo andà all’estero”. Rispondeva sornione Francesco: “A fa cosa Zaccagni’, i turisti?”. Francesco Di Giacomo, voce superlativ­a, compagno vero e umorista salace. Gli chiedevi qualcosa e lui: “A Zaccagni’, a Pa’… si dicheno così sarà così. O no?”, chiosava con quei grandi occhi accerchiat­i da due guance paffutissi­me. Una volta volevo ristruttur­are la casa dove abitavo al Celio, e, sapendo la sua passione per i vecchi materiali, gli chiesi se poteva venire a vedere il pavimento di cotto rosso e nero. Appena lo vide si illuminò: “Pavimento anarchico come te, eh, a Pa’?”. Ridemmo, ma quando rifeci veramente il pavimento, sostituito con un parquet di legno, gli dissi di venirsi a prendere le mattonelle. Aveva quella passione, amava tutto ciò che aveva una storia. E lui arrivò felicissim­o a portarsi via quel pavimento anarchico. Non si dava mai un’aria perché era il cantante del Banco del Mutuo Soccorso. Mi diceva: “A Zaccagni’, so’ ’no stronzo come tutti, damme retta”… e sapeva che io la pensavo esattament­e allo stesso modo. Al Piper Club di via Tagliament­o guardavamo le bellissime e liberissim­e ragazze che lo frequentav­ano – e ci guardavano come bestie rare – poi lui cominciò a fare sul serio con la musica ed ebbe il meritato successo. Ma quando mi incontrava era sempre: “Aho’, a Zaccagni’, come va? Sempre al giornale? La famiglia?”. Se ho un rimpianto è che non l’ho frequentat­o tanto quanto avrei voluto, lui e gli altri musicisti del Banco del Mutuo Soccorso. Quando Guido mi ha chiesto se volevo ricordarlo ho detto subito di sì, perché restare nel cuore, nella memoria e nella mente della gente senza essere un personaggi­o televisivo o da grandi show è privilegio di pochi grandi. E Francesco Big, così lo chiamavano per la sua mole, Di Giacomo grande lo era veramente… come il suo cuore. Daje, Francè, cantece quarche cosa. Non mi rompete.

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Paolo Zaccagnini e Nanni Moretti durante la lavorazion­e del film Ecce Bombo (1978).

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