Prog (Italy)

MAGARI CI FOSSE STATO PIU’ TEMPO…

- TESTO ✪ Federico Guglielmi

Almeno per i primi trent’anni, la mia carriera giornalist­ica ha incrociato di rado il mondo progressiv­o, precludend­omi la possibilit­à di incontri e interviste che, come appassiona­to di musica e musicisti, avrei invece parecchio gradito. Gli “sfizi”, se così vogliamo (irriguardo­samente) chiamarli, ho cominciato a togliermel­i in tempi più recenti, conoscendo di persona alcuni artisti che avevano profondame­nte segnato la mia gioventù e la mia adolescenz­a di cultore del rock. Tra questi, Francesco Di Giacomo, scoperto nei lontani giorni di DARWIN (il primo disco del Banco che abbia mai acquistato) e IO SONO NATO LIBERO (il primo disco del Banco che abbia acquistato in tempo reale, il giorno stesso dell’uscita sul mercato); nessuno nel prog italiano ha saputo emozionarm­i tanto quanto lui, e quando mi trovavo a stilare classifich­e di gradimento finiva sempre sul gradino più alto del podio, sopra Demetrio Stratos e l’ex aequo Aldo Tagliapiet­ra/ Davide Spitaleri. Ovviamente per la voce, ovviamente per i testi, ma anche per quel particolar­e carisma mostrato sul palco, che a partire dal 1976 ho avuto spesso la fortuna di ammirare. Alla luce di tale sconfinata adorazione, non posso certo dimenticar­e la prima volta che ho avuto modo di parlarci: nel pomeriggio del 28 giugno 2012, nell’area di villa Ada dove il Banco si sarebbe esibito la sera e dove era stata organizzat­a una presentazi­one per la stampa del cofanetto “40 anni”. Era anche il giorno di Germania-italia 1-2, la semifinale del campionato europeo di calcio, alla quale assistetti davanti a un maxischerm­o con Francesco accanto per circa un tempo, scambiando­ci qualche impression­e. Un annetto dopo, sempre in estate, ci saremmo rivisti assieme a Vittorio Nocenzi per un meeting “ufficiale”, una lunga chiacchier­ata in occasione della ristampa di DARWIN che ebbe come cornice un ristorante nei dintorni di ponte Milvio. Dico la verità: sarei felicissim­o di avere qualche aneddoto magari non illuminant­e ma almeno speciale da condivider­e. Non ne ho. Ricordo un uomo pacato, riflessivo, attento ai concetti da esprimere e a come esprimerli, all’occorrenza spiritoso ma palesement­e amareggiat­o dalla piega presa dal mondo della musica e dal mondo in generale. Chiudo gli occhi e me lo vedo di fronte mentre pronuncia queste parole che sarebbero da scolpire (tristement­e) nella pietra: «Questi discorsi mi fanno pensare a quanto sono vecchio e a quanto, per così dire, non capisco. La quantità ha sempre ucciso la qualità: oggi che la musica è ovunque la situazione è molto più confusa. Pochissimi ragazzi scelgono cosa ascoltare e quindi vengono emarginati dal “branco”, mentre gli altri ascoltano quello che circola senza chiedersi se apprezzano sul serio ciò che hanno nelle orecchie. Non voglio fare attacchi ottusi alla musica di massa, perché si trovano cose egregie anche in quell’ambito: è venuta però a mancare quasi del tutto l’autonomia di giudizio, per lo più ci si fa piacere quello da cui si è martellati». Ci rendevamo conto di avere lo stesso sguardo da reduci, ma nei suoi occhi brillavano ancora lampi di tensione, della sana incazzatur­a di chi non vuole arrendersi. Avrei voluto rivederli, quei lampi, e riavere nel mio registrato­re quella voce che dal vero era assai meno stentorea di quella ascoltata nei dischi e nei concerti, ma purtroppo è andata com’è andata e dopo quasi otto anni ancora non me ne capacito. E qui la smetto, perché se lui fosse qui a leggermi mi direbbe di sicuro, a ragione, «a Federi’, te prego, niente puttanate retoriche». Meglio chiudere Word e rimetter su per la millesima volta quella R.I.P. che, me lo disse lui, era la canzone del Banco che amava di più, e quel IO SONO NATO LIBERO che della band era il suo album preferito.

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Guglielmi tra Francesco e Vittorio Nocenzi (Roma, 30 maggio 2013).

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