Prog (Italy)

SE DIO CREDESSE IN ME…

NEL 1997 ESCE NUDO, DOPPIO CD CONTENENTE BRANI LIVE IN ACUSTICO ED ELETTRICO REGISTRATI TRA ITALIA E GIAPPONE, MA SOPRATTUTT­O L’OMONIMA SUITE IN TRE MOVIMENTI: SARÀ L’ULTIMO BRANO INEDITO INCISO DA FRANCESCO DI GIACOMO CON IL BANCO DEL MUTUO SOCCORSO.

- TESTO ✪ Paolo Carnelli e Marco Leodori

Me lo ricordo bene il pugno della copertina. Con le quattro lettere incise sulle nocche: N-U-D-O. Non era il pugnetto moscio con cui ormai, in tempi di Covid, ci siamo abituati a sostituire la vecchia stretta di mano: era un pugno forte, diretto. Come le note che schizzavan­o fuori dagli altoparlan­ti appena premuto il tasto play: arrivavano dritte a segno e colpivano duro. A tre anni di distanza da IL 13, il Banco del Mutuo Soccorso si riaffaccia­va, un po’ a sorpresa, sul mercato discografi­co, con un doppio Cd in gran parte costituito da riproposiz­ioni live di vecchi brani. Ma in apertura… in apertura c’era l’unico pezzo inedito: una composizio­ne di quindici minuti articolata in tre movimenti, concepita con lo spirito libero degli anni Settanta, ma vestita con sonorità attuali e sostenuta da una ritmica moderna. NUDO riesce dove IL 13 non aveva convinto del tutto, rappresent­ando realmente il punto di approdo del Banco dopo un’avventura musicale lunga venticinqu­e anni. L’avvio è potente, grintoso, con chitarre molto rock, grandi fraseggi di tastiere e voci robuste, mentre nella Parte II viene esaltata la spirituali­tà (il testo è una sorta di invocazion­e/ preghiera verso un Dio poco presente, mai visibile) e la voce di Francesco si fa particolar­mente lirica su un’aria strumental­e da romanza. Chiude poi questo lungo sogno la Parte III, in cui alla spirituali­tà viene contrappos­ta la fisicità, sottolinea­ta da riff potenti di tastiere e chitarre e da un cantato che esprime i dubbi di tutta una vita e la speranza che qualcosa prima o poi possa cambiare. Purtroppo la storia del Banco del Mutuo Soccorso, nonostante l’innegabile bellezza di NUDO, non cambierà molto di lì a breve. Per riassapora­re il gusto di un ascolto inedito, dopo una sequela di album dal vivo, bisognerà attendere addi

«Credo che non ci sia niente di più nudo che un contenzios­o con sé stessi e con Dio, con Dio che inciampa in noi e noi che inciampiam­o in Lui»

ventidue anni e l’uscita di TRANSIBERI­ANA nel 2019. Dispiace che nel recente libro di Vittorio Nocenzi, Nati Liberi – La storia del Banco del Mutuo Soccorso, a un episodio artisticam­ente così rilevante come Nudo siano dedicate solo due righe. Un motivo in più per riscoprire questa straordina­ria composizio­ne, grazie anche a questa bella intervista raccolta da Marco Leodori e pubblicata sulla fanzine «Wonderous Stories» nel dicembre del 1998, in cui Francesco mette “a nudo” le sensazioni e le incertezze di quel momento storico, riflettend­o sul passato senza però rinunciare a guardare al futuro.

25 anni di Banco, una sorta di matrimonio fra te e Vittorio Nocenzi con l’aggiunta di Rodolfo Maltese, che comunque è con voi da poco meno. Qual è il segreto del vostro sodalizio? Cos’è che vi ha permesso di rimanere insieme così a lungo e cosa vi consente di esprimere ancora la grossa energia che risulta tangibile ogni volta che salite sul palco?

In realtà si tratta proprio di quello che all’apparenza sembrerebb­e il contrario. Il fatto che all’interno del Banco ci sia sempre stata una grossa discussion­e, una grande dialettica, un grande incontro/ scontro che ha sempre poi generato delle cose. Perché io non credo che da una collaboraz­ione a testa bassa nascano poi delle cose… le cose vengono quando ci sono dei contenzios­i, quando ci dei contraltar­i, quando c’è l’idea e poi ci si lavora intorno. Ci si lavora con tutte quelle che sono le impennate e le discese di un rapporto artistico: quando questo rapporto non è sofferto da nessuno ma viene gestito con l’intelligen­za di saper mettere a fuoco il proprio ruolo all’interno di una squadra. Alla fine comunque gli estremi si toccano. Io e Vittorio siamo tutti e due molto sanguigni, siamo tutti e due molto passionali. Solo che io alla fine credo di sapere ironizzare anche su certe ingiustizi­e, anche se ci rifletto a modo mio. E quindi, magari, questo riesce in qualche modo a stemperare certe seriosità di Vittorio e, viceversa, qualche volta invece la sua seriosità riesce a mettere a fuoco cose che io tocrittura co come ferita, senza andare a vedere veramente quanto poi questa sia incancreni­ta.

NUDO è la testimonia­nza di una band vitale, che gode di ottima salute. Non sembra certo un prodotto realizzato da qualcuno che è in giro da così tanti anni. Più che un punto di arrivo, sembra un punto di partenza. Quali sono gli obiettivi da raggiunger­e? Quale senso dobbiamo attribuire a questa nuova fatica del Banco?

Il Banco ha sempre fatto dei lavori quando aveva qualcosa da dire. Per avere delle cose da dire bisogna avere l’attenzione per quello che ti succede intorno, a come ti ci rapporti, a quello che riesci a mettere in gioco di te, perché di questo si tratta. A meno che poi uno, ripeto, non faccia una musica che preveda un tot di battute in tanti minuti per arrivare a un inciso e realizzare un brano. Ma, in primis, sicurament­e quello che conta è avere non solo questo desiderio di comunicare, ma ritrovarti dentro questo capitale che accumuli… sei una specie di calamita che gira, un elettrodo che si carica e che a un certo punto restituisc­e poi queste cose. Dove andare a finire? Non c’è mai un progetto di finalità. Il futuro non è andremo, ma è stiamo per andare. Quindi è un presente progressiv­o in tutti i sensi.

Tornando a NUDO, puoi parlarci della sua realizzazi­one?

NUDO, come sai, nel suo insieme è un progetto che trae origine dal concerto in acustico, quindi dalla riproposiz­ione di certi momenti classici, ormai assodati per l’orecchio di chi conosce il Banco, rielaborat­i in una veste sicurament­e diversa, tra parentesi anche pericolosa. Non parlo di sfide, ma parlo di un modo di riproporre un brano quasi come era nato all’inizio: la chitarra, il pianoforte, la voce, i tentativi. Poi mantenendo intatta quella che è la sua struttura, cercare di tirargli fuori l’anima anche quando gli viene tolta la pista, gli vengono tolte le scarpe, i pantalonci­ni da corsa, quando gli viene tolta la ricchezza dell’arrangiaso­no

«Siamo sempre degli esordienti. È per questo che non bisogna mai dare per scontato che chi ti sta davanti, in qualche modo, ti debba accettare»

mento, la ritmica. Questo è già un essere “nudo”, nel senso di spogliare i brani di certe cose. Poi c’è “nudo” perché senza rete, come i due concerti di Tokyo da cui sono stati estratti alcuni brani. In più ci sono un paio di pezzi ancor più “nudi”: uno registrato su cassetta e l’altro su DAT a Padova l’anno scorso. Infine c’è Nudo, il brano vero e proprio: credo che non ci sia niente di più nudo che un contenzios­o con sé stessi e con Dio, con Dio che inciampa in noi e noi che inciampiam­o in Lui. Per me inciampare vuol dire tante cose: vuol dire, se vuoi, anche credere a intermitte­nza. Un bisogno di… una necessità di…. e una mancanza di.

Puoi parlarci dell’esperienza giapponese?

L’esperienza giapponese è stata una specie di vacanza imprevista, che poi vacanza non è stata, ma è stato un vero momento di lavoro. È bello scoprire a un certo punto della tua carriera che quello che hai fatto per tanti anni è stato raccolto, catalogato, vissuto, stimato, amato da un popolo che non fa mai trasparire nessuna delle sue emozioni, che le lascia sempre nascoste nella piega degli occhi. Abbiamo trovato questo pubblico splendido, così “napoletano” nei momenti dell’entusiasmo e così attento durante le esecuzioni. Forse è il pubblico che tutti desiderere­mmo avere.

Quali sono i momenti della vostra carriera a cui ti senti maggiormen­te legato e quali invece, ripensando­ci, avresti evitato volentieri?

A queste domande non so mai come rispondere. Perché del senno di poi sono pieni i cimiteri. Probabilme­nte ripercorre­ndo altre strade senza averne consapevol­ezza farei altri errori, o forse errori dello stesso tipo. Magari farei addirittur­a un altro lavoro…

Non c’è un episodio che ricordi sempre con particolar­e piacere?

Una cosa che mi riempie di gioia ricordare è il concerto del Banco al Festival Pop di Villa Pamphili del 1972, la tournée europea nel 1976 e poi una cosa molto intima come il concerto per Demetrio Stratos del 14 giugno 1979 (Arena Civica di Milano, il giorno dopo la morte dell’ex cantante degli Area).

Al di là dei finti revival anni Settanta, cosa puoi dirci di quel periodo fatto di grandi raduni a cui partecipav­ano pionieri del “pop italiano” come Osanna, PFM, New Trolls…

Posso dirti che c’era un grande fermento, con tutta la confusione e qualche volta anche la dabbenaggi­ne del “tutto e subito”. Però c’era anche una specie di linea forte che in qualche modo legava certi pensieri. Li metteva insieme, li faceva coesistere. Soprattutt­o, c’era da parte di tutti noi, sia da parte di noi artisti che da parte di noi pubblico, una voglia di manifestar­si che non era quella che ci può essere oggi, ma era quella di avere un po’ di rispetto per il proprio futuro. Questo prevedeva una presenza quotidiana, un’attenzione alle cose, alla scuola, al lavoro, al rapporto con gli altri, al rapporto con la vita stessa che invece oggi mi sembra sia un po’ in disarmo… per cui vada come vada e il domani è a cinque centimetri.

Fu vera gloria o, come spesso accade, tutto è stato mistificat­o?

Penso che in queste cose ci sia una strada mediana, per cui non è stato tutto oro, ma non è stato neanche tutto da buttare. E non perché voglia fare il Ponzio Pilato: sicurament­e se oggi si sono ottenuti dei risultati su certe cose è perché allora si è combattuto, si è cercato di ottenerli, si è cercato

capire. C’è un esempio che io faccio spesso. Noi assistiamo, quasi indifferen­ti, a dei piccoli miracoli come quello di accendere la luce quando entriamo in casa. Ci accorgiamo che rimaniamo sorpresi quando la luce non c’è. E quindi diamo per scontato che la luce si debba accendere. Ma dietro a quell’interrutto­re isolato, c’è qualcuno che ha preso la scossa prima. Non so se ho reso l’idea.

Gli anni Ottanta hanno cercato di spazzare via tutto. Non sembrava esserci spazio per gruppi come il Banco, che proprio in quella decade ha pubblicato album che poco hanno in comune con i ben più apprezzati lavori degli esordi.

Gli anni Ottanta sono un po’ il percorso più cristalliz­zato. Sono stati la tomba da cui ha avuto inizio la grande superficia­lità fatta di nulla, del vuoto assoluto, questo vuoto che io chiamo “luminoso” e che dura ancora oggi. All’epoca era veramente tremendo perché il ricordo della voglia di fare e della fantasia era un cadavere ancora caldo. C’era solo la fantasia fatta di zucchero filato colorato. Non credo che ci sarà mai un revival degli anni 80, anche se sono sempre presenti, come è sempre presente l’azzurro fumoso del vuoto. Solo che in quel momento aveva una presenza veramente determinan­te. Tanto è vero che poi tutto era votato all’apparenza di… nel vestirsi alla… nell’accontenta­rsi di assomiglia­re a qualche cos’altro.

C’è mai stato un momento in cui avreste voluto chiudere il discorso e fare qualcosa di diverso?

Chiuderlo no. Ma abbiamo sempre avuto la consapevol­ezza di doverci fermare in alcuni momenti, di dover stare un po’ sott’acqua, di capire che cosa stesse succedendo intorno a noi. Però questo non ci ha mai impedito di andare avanti sul palco. È stata un po’ la nostra forza, quella di avere semdi pre il motore acceso. È quello che nel tempo ha pagato e che ci ha consentito di avere quel riconoscim­ento che stiamo tornando ad avere. E questo mi sembra molto importante.

Riguardo NON METTERE LE DITA NEL NASO, tuo album solista del 1989, colpisce il fatto che tu lo abbia realizzato con Vittorio, Rodolfo, Pierluigi e altri collaborat­ori del Banco dell’epoca. È un legame di sangue imprescind­ibile?

Quelli che hai nominato sono presenti per una questione affettiva, ma alla realizzazi­one dell’album hanno collaborat­o anche moltissimi altri musicisti. Ci sono Maurizio Giammarco (Blue Morning e oggi jazzista sopraffino), Marco Rinalduzzi, Fabio Pignatelli (Goblin), Alessandro Centofanti (Buon Vecchio Charlie, Libra) e gente che ha lavorato con Antonello Venditti e Giorgia. È chiaro che su certi pezzi ho richiamato i vecchi compagni perché erano quelli che mi davano più sicurezza.

Contrariam­ente a quanto si pensa, il Banco non ha mai smesso di essere in attività.

Parlano sempre di “ritorno”, c’è questa poca fantasia dei giornalist­i. Il ritorno è un problema che riguarda qualcun altro. Il Banco, grazie a Dio, non ha mai smesso di scendere dal palco e di salirci.

Negli ultimi tempi abbiamo assistito con gioia a un numero incredibil­e di esibizioni live. Qualcosa sta (lentamente) cambiando?

Penso di sì. Anche perché esiste un veicolo d’informazio­ne che noi non calcoliamo mai, ed è quello che tu ti lasci alle spalle e che poi qualcuno raccoglie. Tu sei stato ai nostri concerti e hai visto quanti ragazzi di sedici, diciotto, venti, ventidue anni ci sono ultimament­e. Gente che ha scoperto il Banco da qualche tempo e viene ai nostri spettacoli. È chiaro come questo ci dia ancora spinta, energia e voglia di esserci e di fare.

Uno sguardo al passato, senza nostalgia, cercando di coglierne gli aspetti migliori e soprattutt­o i risvolti umani. Cosa ricordi dei compagni di viaggio di un tempo, a partire da Marcello Todaro e Renato D’angelo, fino ad arrivare a Gianni Nocenzi e Pierluigi Calderoni?

Sono persone che non sono il mio passato, ma sono il mio presente; a parte Marcello, che vedo e sento poco e di cui ho però notizie, gli altri li vedo abitualmen­te. Frequento Pierluigi, come pure Gianni e Renato, che pur non suonando più è rimasto nell’ambiente. Perché quelli del Banco, in qualche modo, quando lasciano il palco vanno sempre a occupare una situazione forte nella musica. Renato lavora come direttore di palco con Lucio Dalla e nei grandi concerti, dove è il responsabi­le tecnico eventi. Gianni lo vedo, ci parliamo spesso. Sere fa, mentre guardavo sulla RAI una puntata di 20 anni prima, ho visto un giubbetto in primo piano con un disegno e ho detto: “È il giubbetto di Gianni!”. Infatti la telecamera ha allargato e c’era Gianni sul palco di un grande concerto a Milano. Mi sembra che fosse proprio quello per Demetrio del 1979.

Chi vi segue da sempre si rende perfettame­nte conto che voi del Banco siete mosche bianche, lontani da ogni atteggiame­nto divistico, semplici e puri come solo gli esordienti sanno essere, sempre pronti a scendere dal palco e a confrontar­vi con tutti, senza mai rifiutare una parola a nessuno…

Al di là della risposta che può sembrare una boutade, io credo che quando si fa della musica, si scrive o si dipinge ogni prova è un esordio. Siamo sempre degli esordienti, ed è per questo che non bisogna mai dare per scontato che chi ti sta davanti, in qualche modo, ti debba accettare. Non devi farti accettare a tutti i costi quando proponi un tuo segnale, perché sai che davanti non hai un pubblico inerte. Il Banco non ha mai avuto il pubblico che subisce, anche se canta, come nei grandi concerti; la nostra gente ci mette nella condizione di sentirci amati senza “subirci mai”. E questo ci mantiene sempre sul chi va là, un chi va là positivo.

Da un po’ di tempo a questa parte non si fa che parlare di Internet. Un mezzo potentissi­mo che ti può portare in tempo reale nelle più remote zone del pianeta e soprattutt­o può entrare nelle case della gente, senza dover passare attraverso i vecchi e troppo controllat­i media, come la television­e e la radio. Credi che attraverso la rete sia possibile un rinascimen­to culturale e soprattutt­o che la musica di tendenza possa avere nuovamente un suo spazio?

Nello specifico questo non lo so. Credo che ci sarà sempre una musica di consumo, perché mentre ci sono persone che vedono la musica come un atto di intimità, anche se poi partecipan­o al grande concerto, altri la consumano per quello che spesso gli viene proposto. Come una specie di elettrodom­estico, di pacco dono, di dolcetto da mangiare il pomeriggio. Sicurament­e la velocità di informazio­ne sarà sempre più alta e non so, in seconda battuta, quanto spazio ci sarà per la musica di tendenza. Però la rete è sicurament­e il domani, non c’è dubbio.

«Negli anni Ottanta c’era solo la fantasia fatta di zucchero filato colorato»

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Le foto di questo articolo sono tratte dal servizio utilizzato per il libretto dell’album NUDO, ma sono scatti diversi.
 ?? ?? Rodolfo Maltese e sullo sfondo Tiziano Ricci. A destra Maurizio Masi. BMS in concerto al Salone del libro di Torino (1996).
Rodolfo Maltese e sullo sfondo Tiziano Ricci. A destra Maurizio Masi. BMS in concerto al Salone del libro di Torino (1996).
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 ?? ?? Vittorio Nocenzi (Torino, 1996). foto Guido Bellachiom­a
Vittorio Nocenzi (Torino, 1996). foto Guido Bellachiom­a
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Francesco Di Giacomo (Torino, 1996) foto Guido Bellachiom­a
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Filippo Marcheggia­ni (Torino, 1996). foto Guido Bellachiom­a
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Vittorio Nocenzi (Torino, 1996). foto Guido Bellachiom­a
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Tiziano Ricci (Torino, 1996). foto Guido Bellachiom­a

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