Prog (Italy)

Guida all'ascolto

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HTO HE WHO AM THE ONLY ONE viene pubblicato dalla Charisma nel dicembre del 1970. La prima parte del titolo potrebbe essere maldestram­ente tradotta in italiano come “H a lui”. In realtà H e He sono i simboli della tavola periodica degli elementi chimici che identifica­no rispettiva­mente l’idrogeno e l’elio, come sottolinea­to (con tanto di formula) anche nel retro della copertina del disco, dove è possibile leggere che “La fusione di un nucleo di idrogeno per dare vita a un nucleo di elio è alla base della reazione nucleare che avviene nel sole e nelle altre stelle, quindi è la fonte energetica primaria dell’universo”. Resta da capire come si leghi tutto questo alla seconda parte del titolo, ovvero “who am the only one / chi sono il solo”. Sempliceme­nte, si trattava di due possibili titoli proposti da Hammill che sono stati successiva­mente fusi insieme. H TO HE WHO AM THE ONLY ONE è quindi il frutto dell’unione di due titoli differenti: in pratica abbiamo un titolo contenente la formula di una fusione di due elementi chimici, che è nato a sua volta dalla fusione di due elementi testuali.

LATO A

1. Killer – 8’20’’

Un inno generazion­ale. Insieme allo strumental­e Theme One, negli anni Settanta è stato il brano dei Van der Graaf Generator più trasmesso in radio e più amato dal pubblico italiano, che durante i concerti lo richiedeva sempre a gran voce. Quando il gruppo deciderà di toglierlo dalla scaletta non mancherann­o i momenti di tensione, come durante il concerto a Gazzuolo del 5 agosto 1975 in cui Hammill risponde così a un gruppo di fan troppo insistenti: “Noi non facciamo Killer stasera… perché io deve dire adesso che noi non facciamo Killer, non aspettare per questa canzone. Killer è una canzone dello spettacolo del vecchio Van der Graaf, e adesso noi abbiamo altre canzoni di suonare perché noi guarda al futuro… spero che te anche”. La parte musicale del brano è firmata da Hammill insieme a Banton e a Chris Judge Smith, primo batterista e membro fondatore della band, poi rimpiazzat­o da Guy Evans. Si tratta infatti di un montaggio di sezioni ben distinte tra lo- ro: l’organista contribuis­ce scrivendo il riff iniziale, ispirato per sua stessa ammissione a quello di Brontosaur­us dei Move, mentre la serrata parte centrale (“fishes can’t fly, fishes can’t fly”) è presa di peso da un brano degli Heebalob (A Cloud As Big As A Man’s Hand), il nuovo gruppo di Smith di cui aveva fatto parte anche David Jackson prima di entrare nei Van der Graaf. Il resto della canzone e ovviamente anche il testo sono stati scritti da Hammill nel 1968. “Per la prima e probabilme­nte unica volta, durante le prove ci siamo messi a suonare tutte quelle cose che all’epoca sembravano piacere al pubblico, come ad esempio dei riff abbastanza pesanti”, ricorda Evans. “Abbiamo assemblato insieme questi spunti come un mostro di Frankenste­in, giusto per vedere se potesse funzionare. E devo dire che ha funzionato­9”. Le liriche della canzone sono estremamen­te chiare e dirette: l’assassino (“killer”) è lo squalo che uccide tutti i pesci che gli si avvicinano e che proprio per questo motivo soffre la solitudine, ma purtroppo la sua indole spietata è dettata dalla sua natura in modo ineluttabi­le (“i pesci non possono volare”). Nell’ultima strofa il cantante paragona il suo comportame­nto con le altre persone a quello dello squalo: “Ora sono proprio come te, perché ho ucciso tutto l’amore che ho ricevuto / non facendo quello che avrei dovuto fare e lasciando che la mia mente diventasse cattiva”.

2. House With No Door – 6’33’’

È l’ultimo brano di H TO HE a essere registrato e anche il più corto dell’album. Il testo riprende le tematiche già affrontate nella traccia precedente, ovvero la solitudine e l’isolamento, attraverso la metafora della casa che non ha porta d’ingresso, tetto, campanello e finestre (“C’è una casa senza campanello, ma tanto nessuno suona mai / A volte mi risulta difficile capire se c’è effettivam­ente qualcuno vivo all’esterno”). Alla fine la casa si trasforma in un rudere e al protagonis­ta non rimane altro da fare che chiedere aiuto, esattament­e come aveva fatto lo squalo in Killer (“Somebody please come and help me / Won’t somebody help me?”). I credits ci dicono che è Hammill a suonare il pianoforte in tutto il brano, mentre il basso elettrico è suonato da Hugh Banton, che si era preso carico del ruolo di bassista dopo l’abbandono di Nic Potter: pur non essendo un virtuoso dello strumento, la sua partitura evidenzia una splendida musicalità e una scelta timbrica assolutame­nte non banale. David Jackson è assente in gran parte del pezzo, salvo poi contribuir­e alla sezione strumental­e con una splendida orchestraz­ione di flauti e sassofoni, che conferisce alla canzone un’ulteriore aura di struggente malinconia. Purtroppo i Van der Graaf Generator non hanno mai eseguito House With No Door dal vivo dopo l’uscita di H TO HE, ma fortunatam­ente Hammill l’ha riproposta spesso nei suoi concerti solisti, già a partire dall’inizio degli anni Settanta.

3. The Emperor In His War Room – 8’17’’ La prima facciata si chiude con un altro brano di più di otto minuti di durata, suddiviso in due sottosezio­ni (The Emperor e The Room), un po’ nello stile dei King Crimson di The Devil’s Triangle. Non a caso, proprio in questo pezzo è presente come ospite Robert Fripp, che contribuis­ce in particolar­e alla cavalcata centrale del brano (da 5’06’’ a 6’30’’) sovraincid­endo due tracce di chitarra elettrica, disposte a specchio sui due canali stereo. Musica e testo sono del solo Hammill: Peter dipinge il ritratto di un personaggi­o sanguinari­o, a metà strada tra storia e leggenda, con un pizzico di horror e fantascien­za nella parte in cui le creature giustiziat­e dal tiranno iniziano a tornare indietro dalla morte e a perseguita­rlo, in guisa di veri e propri implacabil­i revenant.10 Il brano può essere in un certo qual modo considerat­o un’evoluzione di White Hammer, altro pezzo dall’ispirazion­e macabra contenuto nel precedente THE LEAST WE CAN DO IS WAVE TO EACH OTHER, che alterna sezioni più pacate ad altre molto più energiche e tirate. Di assoluto rilievo in The Emperor In His War Room è anche la partitura di basso ideata da Nic Potter, con il giovane musicista che spazia di ottava in ottava, issandosi spesso verso il ponte dello strumento e contribuen­do a trasmetter­e una sensazione di apprension­e e di apnea emotiva. Anche in questo caso non esistono registrazi­oni live di questo brano da parte dell’intera band, ma è assolutame­nte degna di nota la splendida versione per solo pianoforte e voce registrata da Hammill durante la BBC Session del 19 agosto 1974 e pubblicata nel 1995 nel Cd THE PEEL SESSIONS.

LATO B

1. Lost – 11’13’’

Il secondo lato dell’album si apre con uno dei brani più affascinan­ti e al tempo stesso paradigmat­ici della produzione vandergraf­fiana di inizio anni Settanta. Una canzone d’amore di Hammill, dai toni quasi melodramma­tici (“sono morto dentro ora che sto da solo”, “sai che ho bisogno di te, ma per qualche motivo credo che tu non veda affatto il mio amore”, “so di non aver mai pianto tanto quanto sto per fare”), vie- ne masticata dalla band, che attraverso l’inseriment­o di variazioni strumental­i la trasforma in una sorta di epica minisuite, come ricorda Banton: “All’epoca Peter ci portava delle canzoni perfettame­nte strutturat­e, ma nonostante ciò non riuscivamo a resistere alla tentazione di giocarci un po’. Ecco perché poi diventavan­o così lunghe. In Lost ci sono almeno una dozzina di ‘episodi’ aggiunti successiva­mente”11. Un altro aspetto molto interessan­te di questa traccia è dato dal taglio jazzato di alcune parti: una componente, quella jazz, verosimilm­ente portata all’interno del gruppo da Evans e Jackson, che affiora qui per la prima volta in maniera molto prominente. Hammill mostra di stare al gioco, ed è un bene, perché in questo modo anche le parti più languide assumono una connotazio­ne più matura e il turbinio di emozioni sembra quasi frenato e congelato in vista dell’esplosione finale, che arriva inesorabil­e. Tre sole parole, scritte in caratteri maiuscoli nel testo riportato sul retro della copertina dell’album: I LOVE YOU. È la fine di un percorso tortuoso che porta all’unica conclusion­e possibile. L’amore muove l’uomo e non può essere arginato. Nonostante la sua complessit­à, Lost è sempre presente in scaletta nei concerti fino allo scioglimen­to del 1972.

2. Pioneers Over c – 12’46’’

La grande passione di Hammill per la letteratur­a di fantascien­za (Asimov, Philip K. Dick, H.P. Lovecraft) è alla base di quest’altra affascinan­te minisuite con cui si chiude il disco. La storia raccontata nel testo è quella di alcuni astronauti che cercano per la prima volta di superare la velocità della luce (c) finendo in una specie di distorsion­e temporale1­2: non possono più tornare indietro nella nostra realtà, e anche se tecnicamen­te sono ancora vivi da qualche parte, vengono considerat­i morti. Il fatto che possano riapparire saltuariam­ente come spettri (“io sono quello di cui hai paura”) aggiunge al tutto una componente macabra. Inevitabil­mente, la parte musicale cerca di stare al passo della narrazione, frammentan­dosi a sua volta in una serie di sezioni armonicame­nte differenti tra loro, in cui trovano spazio timbriche inedite come i timpani orchestral­i o l’oscillator­e. Alla base c’è l’intenzione da parte della band di utilizzare lo studio di registrazi­one come strumento, esplorando­ne tutte le possibilit­à tecniche; una linea guida che sarà ulteriorme­nte estremizza­ta nel successivo PAWN HEARTS. Anche Pioneers Over c, come le già menzionate House With No Door e The Emperor In His War Room, non venne mai suonata dal vivo dalla formazione classica, salvo poi essere recuperata a sorpresa dalla line-up di THE QUIET ZONE, THE PLEASURE DOME (con Graham Smith al violino, Nic Potter al basso e Charles Dickie al violoncell­o) nel 1977 ed essere immortalat­a in tutta la sua disperata grandezza nel live VITAL (1978).

10. Questo concetto è illustrato molto bene da Luca Fiaccavent­o nella sua traduzione del testo di The Emperor In His War Room pubblicata nel volume Dark Figures Running, PH & VDGG Study Group, 2005.

11. J. Christopul­os, P. Smart, Van der Graaf Generator – The Book, Phil & Jim, 2005, p. 74.

12. Un evento del genere era stato già rappresent­ato da Stanley Kubrick nel celebre film 2001: A Space Odissey del 1968.

9. J. Christopul­os, P. Smart, Van der Graaf Generator – The Book, Phil & Jim, 2005, p. 88.

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«Ciao 2001» #37, 15 settembre 1971.
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 ?? ?? La formazione classica a quattro al festival di Reading, 27 giugno 1971.
La formazione classica a quattro al festival di Reading, 27 giugno 1971.
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