Behind & Beyond
Con due anni di ritardo, dovuti alle problematiche legate al Covid, ad aprile vedrà finalmente la luce per Iacobelli Editore Behind & Beyond, il primo libro interamente dedicato all’analisi delle copertine degli album dei Van der Graaf Generator. Peter Hammill, leader del gruppo, nonché principale compositore e paroliere della band, ha scritto la prefazione. Queste alcune sue riflessioni sulle dinamiche che legano la parte musicale e quella visuale di un disco.
Mentre raccoglievo le varie testimonianze sulle copertine dei Van der Graaf Generator, tutte le persone con cui ho parlato mi hanno confermato che sei sempre stato tu a determinare la parte “visuale” della produzione del gruppo. Se pensiamo che i VDGG hanno pubblicato tredici album in studio e diversi album live, ma soprattutto che come solista hai realizzato oltre cinquanta dischi, deve essersi trattato di un impegno particolarmente gravoso! Devo ammettere che non mi sono mai sentito il “direttore” di questo particolare ambito. Piuttosto mi definirei una sorta di “coordinatore”, che si è preso carico di gestire i rapporti con i vari artisti/fotografi/direttori artistici, ricevere le loro proposte e poi definire cosa accogliere e approvare o meno. Comunque nulla in confronto alla responsabilità di comporre il materiale che sarebbe poi finito nei dischi! Esiste un momento specifico in cui nella tua mente emerge l’idea per la copertina di un album? Sempre alla fine, quando il prodotto è praticamente ultimato. Lo stesso avviene con il titolo.
Paul Whitehead (il celebre artista che ha realizzato le copertine di diversi album di Van der Graaf Generator, Genesis e Le Orme) mi diceva che il boss della Charisma, Tony Stratton-smith, organizzava dei veri e propri party per rivelare allo staff e ai musicisti le cover dei dischi in uscita. Qual era il vostro rapporto con la casa discografica, relativamente alla parte visiva della vostra produzione? Onestamente non mi ricordo di veri e propri party dedicati alla presentazione delle copertine dei dischi… magari si trattava di brindisi per festeggiare la pubblicazione o il successo di un album, ma non ne sono sicuro. In ogni caso, la Charisma ci lasciava la massima libertà per quanto concerne la parte visuale, come del resto faceva anche per la parte musicale. Ovviamente all’epoca era assodato che l’artwork dovesse
«Sono molto legato alla copertina di GODBLUFF, anche se temo non ci abbia consentito di vendere più copie»
in qualche modo rappresentare la musica contenuta nel disco e che quindi fosse compito dei musicisti definirne l’aspetto. Devo confessarti che quando mi sono avvicinato per la prima volta alla musica dei Van der Graaf Generator, più o meno a metà anni Ottanta, non era sempre possibile ascoltare un disco prima di acquistarlo, quindi spesso la mia scelta era determinata dalla copertina che mi piaceva di più. Quanto pensi che fosse importante ai fini delle vendite l’artwork di un album negli anni Settanta e quanto è invece importante ora? Penso che negli anni Settanta un sacco di persone decidessero quale album acquistare in base alla copertina, proprio come hai fatto tu qualche anno dopo. Quindi l’artwork assumeva un’importanza fondamentale. Ora è molto meno importante. Ma per me è sempre una componente essenziale, intendiamoci!
Ho notato che su tredici album in studio dei Van der Graaf Generator, solo due – THE AEROSOL GREY MACHINE e STILL LIFE – contengono una traccia che ha lo stesso titolo dell’album, la cosiddetta “titletrack”…
In realtà STILL LIFE è un po’ un caso a parte, perché il titolo del brano, e conseguentemente dell’intero album, è stato deciso solo dopo che avevamo trovato l’immagine adatta per la copertina, ovvero quella della scarica elettrostatica prodotta da un generatore di Van de Graaff catturata in una lastra di materiale acrilico: in pratica una natura morta [still life, ndr] a tutti gli effetti! In generale, è corretto affermare che ho/abbiamo sempre preferito scegliere dei titoli che potessero rapportarsi con il contenuto dell’album in modo trasversale piuttosto che univoco. Naturalmente scegliere un titolo per un disco dei Van der Graaf Generator comporta sempre un certo quantitativo di discussione e dibattito e un certo margine di sperimentazione e di errore.
Mi sono sempre chiesto cosa fosse il“W assist der punk tenbacker” per il quale sei accreditato in WORLD RECORD…
Era una chitarra Rickenbacker a dodici corde che avevamo noleggiato per registrare l’album. La parte iniziale della parola, “wassistderpunkt”, fa riferimento a una delle mie frasi preferite di quel periodo, ovvero “what’s the point” [qual è il punto, ndr].
Nell’inserto in bianco e nero originariamente incluso nelle prime copie di THE QUIET ZONE, THE PLEASURE DOME sono presenti due fotografie scattate dal celebre fotografo olandese Anton Corbijn, all’epoca solo ventiduenne. Quali ricordi hai di quella collaborazione? Guy Evans mi ha anche rivelato che Corbijn è un grande appassionato di scacchi, come te…
In realtà era Bert van de Kamp, il direttore della rivista musicale olandese «Muziekkrant Oor», a essere un appassionato di scacchi. Anton lavorava come fotografo per la rivista e a un certo punto si è trasferito a Londra insieme a Bert. Indubbiamente era bravissimo già all’epoca, l’utilizzo del bianco e nero è il suo tratto distintivo. Sceglieva il momento in cui scattare con molta attenzione e non sprecava mai tanti fotogrammi. Le sue foto sono presenti anche sulle copertine di due miei album solisti, THE MARGIN (1985) e AND CLOSE AS THIS (1987). Le foto a cui facevi riferimento riguardo a THE QUIET ZONE, invece, sono state scattate durante un festival in Olanda nel 1977.
Qual è la tua copertina dei Van der Graaf Generator preferita? Personalmente sono molto legato alla copertina di GODBLUFF, anche se temo che non sia quella che ci ha consentito di vendere più copie. Senza anticipare nulla, fa subito capire che nel mondo dei Van der Graaf Generator qualcosa è cambiato dai tempi di PAWN HEARTS. E ti dirò di più: ricordo esattamente anche l’origine del titolo. Si tratta di un termine inventato da Hugh Banton per rispondere alla solita domanda che ci facevano i giornalisti durante le interviste: “Che tipo di musica suonate?”.