Sequenze e frequenze
Parlare di Sequenze e frequenze come di una suite è tecnicamente non proprio corretto, ma, occupando il primo lato del meraviglioso SULLE CORDE DI ARIES e potendolo in qualche modo suddividere in parti sonore, ci prendiamo questa libertà. L’album esce alla fine del 1973 ed è il terzo di Battiato, il primo dalla totale indipendenza artistica dopo il divorzio da Gianni Sassi e Sergio Albergoni, che lo avevano in qualche modo ‘plasmato’ in FETUS e POLLUTION. Questo, bisogna essere chiari, è il primo capolavoro di Battiato. Un lavoro innovativo, che contiene avanguardia, minimalismo, musica etnica, canzoni mascherate, una spruzzatina di jazz. Un disco, insomma, veramente progressivo. Non fu l’unica volta che Battiato occupò un intero lato di un 33 giri con un solo brano: lo farà infatti anche con Goutez et comparez, lato A di M.ELLE LE “GLADIATOR” del 1975, che è un collage di molti elementi vocali, strumentali, rumoristici. Successivamente ci sono le composizioni che occupano integralmente i lati di due dei tre album di musica prettamente colta che il musicista siciliano diede alle stampe tra il 1977 e il 1978. Si tratta di Zâ e Cafè-table-musik (BATTIATO), poi L’egitto prima delle sabbie e Sud Afternoon (L’EGITTO PRIMA DELLE SABBIE), brani pianisticamente sperimentali e che sancirono la chiusura della prima parte di carriera, antecedenti la nota svolta pop di L’ERA DEL CINGHIALE BIANCO.
Ma come arriva Battiato a questo album? Facciamo parlare lui (affermazione del 1982): “Dopo l’interruzione della tournée e lo scioglimento del gruppo Pollution andai in America. Ci fu un passaggio traumatico. Ricordo che avevo un gran bisogno di pulizia interiore: quel genere di musica e di pubblico era pericolosissimo. Intanto imparai a utilizzare meglio il synth e SULLE CORDE DI ARIES diventò un viaggio terapeutico di pulizia, un disco che ho sempre definito psicoanalitico per me. Certo, Terry Riley si faceva sentire, ma erano anni in cui si macinava di tutto”.
IL TESTO
Sequenze e frequenze apre ARIES ed è una scelta importante. Prima di analizzare la musica soffermiamoci sul testo, che è assolutamente autobiografico. È intimista, evocativo; ascoltandolo insieme alla melodia e al substrato magmatico di suoni creati dai musicisti sembra quasi di percepire odori suoni rumori ed esperienze vissute dal piccolo Franco in Sicilia:
La maestra in estate ci dava / Ripetizioni nel suo cortile / Io stavo sempre seduto / Sopra un muretto a guardare il mare / Ogni tanto passava una nave / Ogni tanto passava una nave // E le sere d’inverno restavo / Rinchiuso in casa ad ammuffire / Fuori il rumore dei tuoni / Rimpiccioliva la mia cande
la / Al mattino improvviso il sereno / Mi portava un profumo di terra
La prima strofa fu ricreata nella parte iniziale del film Perduto amor, esordio cinematografico di Battiato del 2003, proprio con un gruppo di bambini intento a studiare nel cortile della maestra e il protagonista da piccolo seduto su un muretto (“Quei muri bassi di pietra lavica”, che citerà anche in Secondo imbrunire del 1988) che assiste al passaggio di una grande nave da crociera al tramonto. Nelle interviste dell’epoca l’autore ripeteva che non era una pellicola autobiografica, ma i conoscitori della sua opera hanno riconosciuto nel lungometraggio anche molti altri dettagli biografici di Franco oltre a questo, nonostante la proverbiale ritrosia a parlare troppo di sé.
LA MUSICA
All’inizio, nei primi 80 secondi, ascoltiamo i fiati del Conservatorio di Milano, che sembrano accordarsi, note del piano preparato, le voci delle soprano Rossella Conz e Jutta Nienhaus (voce degli Analogy) a gorgheggiare qualche vocale, voci maschili, suoni sparsi: tutti intenti a emettere note apparentemente casuali, dissonanti e senza tempo. Poi entra il VCS3, e la storia cambia. È come se si passasse dalla descrizione sonora dell’esterno, del fuori da sé caotico, incoerente e problematico che ci confonde e preoccupa, all’interno, all’introspezione che si fa memoria, fantasia, elevazione tramite (appunto) sequenze di note e frequenze ben precise. Potremmo quasi parlare di musica descrittiva e psicologica ma anche arcaica e futuribile insieme. Del resto Nikola Tesla diceva “se vuoi trovare i segreti dell’universo, pensa in termini di energia, frequenza e vibrazione”.
Due riff di synth, che in parte ricordano alcuni momenti di POLLUTION, cominciano a rincorrersi su un bordone basso, per poi far emergere la melodia principale. A 2’20” entra la voce nasale di Franco e l’atmosfera è sospesa, onirica, evocativa; il suo canto, che arriva da altre epoche e dal futuro insieme, è solenne e personale. La seconda strofa è sottolineata da un riff di quattro note del VCS3, ma per le ultime due frasi cantate c’è un cambiamento di accenti, il ritmo muta in 6/8 e la sensazione di straniamento aumenta. Un piccolo inciso: Battiato è stato fino alla fine della sua carriera un mago della poliritmia, è riuscito spesso a far battere le mani su ritmi composti e dispari di suoi pezzi faspesso piuttosto complicati, come fossero facili. Un mago anche in questo. Un minuto e venti secondi su 16’20” di brano, questo dura la parte cantata. Da questo momento comincia la terza parte, ovvero più di tredici minuti in cui gli strumenti costruiscono e smontano di continuo i loro intrecci, come in un articolatissimo macramè. Mentre Franco continua a suonare il VCS3 tessendo parti intersecate arriva un tom sordo di Gianfranco D’adda che dà il ritmo, ci sono accordi e arpeggi della mandola suonata da Gianni Mocchetti (i due musicisti sono gli unici superstiti dall’esperienza Pollution), poi una chitarra filtrata, infine il piano preparato e molto effettato suonato dal compositore. Al sesto minuto arrivano anche i tabla di D’adda a dare – senza esagerare – quel pizzico di sapore indiano che rende saporiti molti piatti, una curcuma sonora. Al contrario della prima sezione qua è tutto perfettamente incastrato e musicalmente coerente. Il risultato è davvero onirico. A 6’40” una nota bassa ripetuta del VCS3 sembra marcare un cambio di prospettiva, le percussioni e i riff intersecati di synth si fermano. Franco esegue alla tastiera monofonica non più delle sequenze ma una melodia lenta, improvvisata su un solo accordo. Arrivano vibrafono e kalimba a mescolare le carte e a incrementare le frequenze, una seconda melodia più bassa aumenta la massa sonora, anche il volume complessivo si alza per poi abbassarsi di nuovo a 11’30”, lasciando nuovamente quasi da sola la nota bassa del VCS3, a cui lentamente si aggiungono altre note e melodie della stessa tastiera, note di chitarra, di nuovo vibrafono e kalimba e da qui fino alla fine gli strumentisti sembrano proseguire in libertà, fino al progressivo svuotamento con fade out di tutti gli strumenti, che lasciano da soli vibrafono e kalimba, quasi come un rovesciamento di Larks Tongues In Aspic – Part I dei King Crimson, uscito a marzo dello stesso anno e che iniziava proprio con Jamie Muir a suonare percussioni.
Come ammesso dallo stesso Battiato nell’intervista riportata più in alto, in questo brano e in tutto il disco dimostra di aver ben assimilato la lezione del minimalismo, ovvero – semplificando – la corrente musicale fatta soprattutto da musica elettronica ripetitiva con microvariazioni che dagli anni Sessanta vide Terry Riley, Steve Reich, Philip Glass e La Monte Young come principali esponenti. Ma Battiato va oltre, aggiungendo elementi ancestrali ed etnici, oltre a testi evocativi quasi declamati dalla sua voce proveniente da un’altrove e da un altroquando.
Lo conferma la bella recensione apparsa su «Muzak» del febbraio 1974 a cura di Manuel Insolera: “Con questo LP Battiato giunge a un primo punto di arrivo autonomo, perfettamente riuscito. Battiato scopre il fascino della musica ripetitiva ipnotica, rileyana, ma anche orientale. Ispirazione che qui si fonde con il ritmo elettrico del rock e soprattutto con una trasfigurata struttura jazzistica. Musica totale, dunque, musica ipnotica che tende all’estasi mistica, soprattutto autonoma, creativa e creatrice. Battiato ha raggiunto una nuova armonia, attraverso la riscoperta di un suono complesso e coinvolgente costruito in base a strutture di base semplicissime”.
UN’ALTRA VERSIONE?
Nel 1974 oltre al nuovo album CLIC verrà dato alle stampe anche un’ingannevole versione inglese di quest’ultimo. Ingannevole perché sul primo lato vede la riproposizione di tre dei sette brani del nuovo disco, mentre sul secondo lato è presente un montaggio di due bramosi,
di SULLE CORDE DI ARIES, ovve- ro l’inizio e la parte cantata di Aria di rivoluzione che vanno a fondersi con gli ultimi dodici minuti di Sequenze e frequenze, cioè tutta la parte successiva al cantato. Al medley viene dato il titolo Revolution In The Air nonostante il testo rimanga cantato in italiano. Quando poi nel 1976 l’etichetta Blabla chiuderà i battenti, Pino Massara (ovvero il patron della casa discografica e quindi produttore esecutivo di Franco) deciderà di dare alle stampe un doppio Lp intitolato FEEDBACK e contenente nuovi montaggi di brani dei primi quattro album di Battiato: l’apertura del secondo disco è dedicata proprio a quanto pubblicato sul rarissimo CLIC anglosassone, stavolta indicato con il semplice accostamento dei titoli Aria di rivoluzione / Sequenze e frequenze.
LE ESECUZIONI DAL VIVO
Sequenze e frequenze fu suonata dal vivo in quattro fasi della carriera di Battiato.
1) Insieme a improvvisazioni dalla durata variabile tra i dieci minuti e la mezz’ora nelle date effettuate tra la fine del 1973 e il 1976, a volte con un gruppo di strumentisti e a volte in solitudine. 2) Quando tornerà al pop nelle date del lungo tour di supporto a PATRIOTS tra l’autunno del 1980 e l’estate 1981, subito prima l’uscita de LA VOCE DEL PADRONE avvenuta a settembre. Esiste una preziosa testimonianza video di quella versione su Youtube, è un filmato girato per la Rai che vede oltre al Nostro impegnato a voce e VCS3 anche Giusto Pio al violino, Tony Dresti al basso, Donato Scolese al vibrafono e il fido Gianfranco D’adda alle percussioni. La durata stavolta è intorno ai cinque minuti e la presenza del violino dà certamente un sapore diverso ma affascinante al tutto.
3) In molte date del tour 1988 di supporto a FISIOGNOMICA, nella versione pubblicata l’anno dopo su GIUBBE ROSSE, il primo album dal vivo dell’artista. Qua Franco è accompagnato (oltre che dal suo sintetizzatore che dopo molti anni torna sul palco accanto a lui) dalle tastiere di Filippo Destrieri, dalla chitarra elettrica del New Trolls Ricky Belloni e dai violini dell’orchestra diretta da Giusto Pio. I sette minuti di questa versione iniziano con pochi secondi della prima parte che arrivano dal disco originale, poi lui e Destrieri, con un violino da quando entra la parte cantata, tessono le trame del brano. La novità è nella seconda parte, dove le noni te della chitarra di Belloni ricreano uno dei riff di synth originari e accompagnano una ritmica computerizzata e sostenuta, con le due tastiere che improvvisano. L’intermezzo sospeso vede violini, tastiere e note lunghe di elettrica, poi riprende il ritmo e il finale con un riff di synth improvvisato si interrompe per far posto ai vibrafoni registrati del 1973. Una bellissima versione e decisamente una sorpresa per i fan che conoscevano solo il repertorio pop del Nostro.
4) Nel tour del 2009, sostanzialmente molto simile alla versione del 1988 ma stavolta con una sezione ritmica vera.
Che sia una suite o meno alla fine poco importa, in Sequenze e frequenze e in tutto SULLE CORDE DI ARIES siamo di fronte a un picco di un artista che nella super prolifica carriera ha avuto davvero pochissimi punti bassi. Ci manca e ci mancherà moltissimo Franco Battiato, ma avere con noi queste composizioni da ascoltare e studiare è un arricchimento costante per tutto il nostro essere.