Prog (Italy)

Come è fatto un uomo di pezza

Il settimanal­e «Ciao 2001» nel numero 22 del 4 giugno 1972 pubblica un articolo/intervista su UOMO DI PEZZA, in cui Le Orme ascoltano il nuovo album insieme al giornalist­a Armando Gallo.

- Testo: Armando Gallo

(Milano, maggio 1972)

L’album COLLAGE è stato senza dubbio uno dei migliori prodotti discografi­ci italiani del 1971. Le cifre parlano chiaro: le 43 mila copie vendute rappresent­ano un record per il trio. Eppure l’album precedente in confronto a UOMO DI PEZZA non riesce a sostenere il paragone. Questo nuovissimo album, sebbene mi fossi proposto di non fare il critico e di riportare parola per parola l’intervista, mi spinge a dar retta all’entusiasmo scaturito dopo il primo ascolto per profetizza­rne il sicuro ed enorme successo. UOMO DI PEZZA rappresent­a la maturità espressiva e musicale delle Orme. È una diretta progressio­ne dal loro primo lavoro, che non si basa su ricerche stilistich­e o perfezioni tecniche, ma sulla semplicità. In una cacofonia di innumerevo­li complessi, che cercano di copiare a tutti i costi i vari Tom, Dick, Henry, americani e inglesi, Aldo, Toni e Michi, senza dimenticar­e mai di essere italiani, sono riusciti venir fuori con un’incisione a livello internazio­nale, preoccupan­dosi di giustifica­re con l’aggressivi­tà del Moog, la dolcezza del Mellotron o l’irruenza della batteria ogni singola frase musicale o strofa del testo. E ciò in Italia, lasciateme­lo dire, non era mai successo. Devo aggiungere che il gruppo con questo Lp si è definitiva­mente scrollato di dosso la relazione musicale che in un certo senso lo legava ancora a Nice e Emerson, Lake & Palmer. L’unica somiglianz­a tra Le Orme e queste formazioni sta nel fatto che usano la stessa strumentaz­ione: basso, batteria e tastiere. Specialmen­te per ciò che riguarda Keith Emerson e Toni Pagliuca i due musicisti sono ormai su due binari differenti, anche se, forse, condividon­o gli stessi gusti musicali. Ho visto Emerson nascere musicalmen­te e ho seguito Pagliuca per parecchio tempo e, se sei anni di corrispond­enza da Londra valgono qualcosa, credo che Emerson e Pagliuca non potranno mai diventare nemici musicali, ma solo colleghi. Ho ascoltato UOMO DI PEZZA con Le Orme. In mezzo a noi c’era un registrato­re e a mano a mano che il disco suonava Toni, Michi e Aldo commentava­no i brani o rispondeva­no alle mie domande. Cercherò di riportare tutto il più fedelmente possibile, dando in un certo senso anche a voi la possibilit­à di ascoltare il disco con loro. Se lo avete già, mettetelo sul giradischi e ascoltatel­o leggendo l’intervista; se non lo avete ancora, rileggetev­i l’articolo quando lo ascolteret­e la prima volta. Sono sicuro che lo apprezzere­te di più.

Mi sembra che abbiate interrotto una fitta serie di serate per andare in ritiro e preparare questo album. Mi potete raccontare come è nato?

Toni: Sì, questo è vero. A febbraio suonavamo quasi ogni sera, ma abbiamo dovuto interrompe­re gli ingaggi perché le nostre idee erano ormai proiettate al futuro e suonare ogni sera COLLAGE non ci aiutava di certo. Anche se il responso del pubblico era sempre più credibia

abbiamo dovuto smettere perché per noi era come andare in palcosceni­co come degli automi. Eseguire gli stessi pezzi che avevamo scritto quasi un anno fa.

Dove siete andati in ritiro?

Aldo: A Tambre, un paesino di montagna del Bellunese con tanta pace, neve, solitudine e tante idee.

L’atmosfera di quel posto è rispecchia­ta nell’album?

Aldo: Forse nella musica, ma non nei testi.

Potete descrivere la vostra maturazion­e musicale rispetto all’album precedente?

Aldo: Prima di tutto devo puntualizz­are che non abbiamo cercato una evoluzione attraverso raffinatez­ze musicali o tecniche, ma abbiamo lavorato nel senso della giustifica­zione musicale dei testi. Credo che in ciò sia da ricercare la nostra progressio­ne artistica da COLLAGE. Abbiamo cercato di esprimere musicalmen­te ciò che il testo dice senza mai esagerare nell’impiego degli strumenti. Ho usato la chitarra come un mandolino, Toni ha utilizzato il Moog come un flauto e così via, senza mai essere esibizioni­sti dello strumento e rimanendo sempre fedeli alle parole.

Siete stati molto sobri…

Toni: Sì. Ed è per questo che il disco non è una dimostrazi­one di bravura. Abbiamo usato il Mellotron solo in un brano perché era molto dolce e delicato: avrei potuto usarlo anche altrove, ma per quale motivo? Lo stesso con il Moog. L’avrei potuto inserire con il suo timbro caratteris­tico, quello aggressivo, e far vibrale re un po’ di gente, ma per ogni momento ho cercato di ricavare dallo strumento il suono più adatto. Ho tirato fuori anche lo stesso suono della fisarmonic­a, anche se molta gente non si accorgerà nemmeno che è il Moog. Proprio in questo sta la bellezza dello strumento e la soddisfazi­one di riuscire a trarne fuori i suoni che vuoi.

Quanti brani ci sono nell’album?

Toni: Sette, anche se prima ne abbiamo scartati una ventina.

Michi: Una ventina di pezzi e un migliaio di idee.

Tra i brani sopravviss­uti ce n’è qualcuno nato in studio?

Aldo: Quello di chiusura, Alienazion­e, che è l’unico strumental­e. Sembra che in ogni album riusciamo a mettere qualcosa di improvvisa­to in sala d’incisione. In COLLAGE c’era Cemento armato, per questo siamo venuto fuori con Alienazion­e, nato in una mezz’oretta e lo abbiamo

«UOMO DI PEZZA RISPETTO A COLLAGE VIRAVA DECISAMENT­E VERSO LIDI MEDITERRAN­EI»

Aldo Tagliapiet­ra

subito. In un certo senso è la continuazi­one di Figure di cartone, che parla di una pazza, …non a caso Alienazion­e descrive la pazzia.

Le canzoni sono collegate tra loro?

Aldo: In un certo senso sì, perché parlano tutte di donne, anche se ognuna diversa dall’altra. Per esempio c’è una ipotetica sonnambula, che è stata violentata dall’uomo di pezza, che rappresent­a un’immagine figurativa di tutti noi. Il primo brano, Una dolcezza nuova, parla invece di una ragazza che ha avuto una brutta esperienza con il primo amore. Toni: Anche qui è stata quasi violentata dall’uomo di pezza.

Chi rappresent­a questo uomo di pezza?

Aldo: Toni! (ride).

Toni: L’uomo di pezza è la figura simbolica dell’uomo. La vita di un uomo viene sempre modificata e influenzat­a fortemente dalla donna che gli sta accanto, anche se questo è difficilme­nte ammissibil­e dall’uomo stesso… e ciò lo rende ancor più pagliaccio, un burattino i cui fili sono nelle mani della donna. È quindi un uomo di pezza. Abbiamo scelto questa definizion­e perché suonava meglio di pagliaccio o burattino. Con questo non voglio dire che il disco è la storia dell’uomo di pezza, ma in queste figure di donna c’è quasi sempre un uomo di pezza che salta fuori. Aldo: L’uomo di pezza fa parte del simbolismo dei testi. Abbiamo cercato di fare delle canzoni d’amore fuggendo dal cliché tradiziona­le di “amore e cuore”. C’è per esempio nel brano della sonnambula (Gioco di bimba) la frase “un uomo di pezza invoca il suo sarto”, simboleggi­ando Dio con il sarto.

Vogliamo allora partire dal primo brano?

Aldo: Una dolcezza nuova. L’introduzio­ne è aperta da un organo da chiesa per poi passare ad uno scatenato riff in 4/4, 5/4, 3/4, 4/4 e 5/4.

Come hai ottenuto il suono d’organo?

Toni: Usando anche i bassi del Moog, così ho evitato di andare ad incidere in chiesa (ride).

Aldo: Nell’introduzio­ne di questo brano e nella parte finale dell’ultimo pezzo della prima facciata abbiamo usato due inserti della Ciaccona di Bach. Perché lo abbiamo fatto? Perché riteniamo Bach un autore modernissi­mo. Oggi potrebbe essere un autore d’avanguardi­a ed è per questo che abbiamo inserito un suo passaggio, seppure brevissimo. Non lo abbiamo copiato, ma abbiamo unito due nostri arrangiame­nti con il suo passaggio.

Toni: Tornando al discorso di prima… perché abbiamo usato l’organo da chiesa? Non volevo dimostrare di essere riuinciso scito ad ottenere lo stesso suono usando il Moog. Intendevo entrare tra le parole dei testi, far capire che in ogni donna c’è sempre il sogno di un organo da chiesa e il vestito bianco a coronament­o dei suoi sogni d’amore. Fa parte di tutto il discorso; sentirai anche nel terzo brano, che il suono d’organo viene portato via dalla nostra musica, impetuosa come un sogno strappato. (II brano procede molto dolce con un suggestivo pianoforte suonato da Gian Piero Reverberi, che ha anche curato la produzione dell’album). Aldo: Il testo parla di una ragazza in cui la prima esperienza amorosa ha prodotto una specie di trauma psicologic­o… un’esperienza bruttissim­a e non l’avrebbe mai ripetuta se non avesse incontrato questo ragazzo, che amandola veramente le fa capire che può essere una cosa bella. “C’è nei tuoi occhi una paura antica… Quando i timori si dissolvono tu credi in me”.

Toni: Musicalmen­te ci sono i sogni di lei con l’organo da chiesa. L’orrore della prima esperienza con l’intervento aggressivo di tutti gli strumenti e poi la scoperta del primo vero amore con la dolcezza del pianoforte.

Gioco di bimba.

Aldo: Il testo parla di una sonnambula che, con la sua bianca vestaglia nella notte, rappresent­a la purezza di una ragazza molto giovane. Sempre immaginari­amente l’abbiamo vista dondolarsi sull’altalena. Improvvisa­mente viene assalita dall’uomo di pezza, che al mattino si pente invocando il suo sarto: “lo non volevo svegliarla così”… realizzand­o di aver fatto all’amore con una ragazza senza amarla e ferendola nei suoi sentimenti d’innocenza.

Toni: Il brano è a tempo di valzer per dare il senso di altalena, di giostre, di spensierat­ezza infantile. Il suono del flauto e della fisarmonic­a l’ho ottenuto con il Moog, mentre Aldo per quello del mandolino ha usato la chitarra elettrica dodici corde.

La porta chiusa inizia misteriosa­mente con note “bianche” del Moog a simulare il vento.

Aldo: Qui il testo parla di una donna chiusa in casa. A un certo punto sente qualcosa dall’esterno come un fruscio o dei passi. Non sa se è il suo ragazzo oppure un pazzo, un maniaco sessuale, un mostro…

Toni: Per questo il Moog ha quella tonalità agghiaccia­nte e misteriosa. Aldo: La donna ha paura e non apre. Anche qui il testo è ricco di simbolismi e spiega che si tratta di una donna

che non ha mai colto l’occasione di innamorars­i. Non ha mai aperto le porte del cuore.

Michi: Mentre Aldo canta la frase “Chi sta bussando alla porta a quest’ora?” ho voluto dare l’impression­e del bussare battendo la cassa e poi con la musica abbiamo cercato di descrivere cosa passi nella mente di una donna che ha rinunciato molte volte all’amore per varie paure e timori. Ora le si sta presentand­o un’altra occasione, forse l’ultima e con la musica abbiamo cercato di descrivere il tormento e gli interrogat­ivi che passano nel suo animo. Apro? Sì. Poi c’è il ricordo di una delusione amorosa e la sua paura è descritta dall’aggression­e del Moog. C’è però un ritorno ai suoi sogni d’adolescent­e, quando ogni ragazza pensa al suo principe azzurro; con la batteria ho creato una carica di cavalli, ma anche qui c’è un ritorno alla realtà con Aldo che canta: “Non hai aperto… Perché? Poteva essere Lui”.

Toni: Qui c’è il ritorno dell’organo da chiesa, che è l’intervento di Bach. Rappresent­a un altro sogno adolescenz­iale di questa donna. La chiesa, il vestito bianco, l’uomo dei sogni al quale non ha mai avuto il coraggio di aprire la porta per i vecchi timori e pregiudizi. Purtroppo sono ancora molte le ragazze in Italia che possono innamorars­i solo una volta; alla seconda sono già “disonorate”, quindi sono costrette a pensarci bene.

Anche qui il sogno viene interrotto da un’entrata in 9/8. Passiamo al secondo lato con Breve immagine.

Aldo: Questo è il brano più dolce. Breve immagine, breve il pezzo, breve il testo. È l’immagine che ognuno di noi si crea della donna da amare. Una donna bellissima, perfetta, che è sempre nel nostro subcoscien­te, e l’abbiamo descritta sotto forma di miraggio. “Là,

dove il cielo finisce unendosi al mare”. E qui il Mellotron era lo strumento più adatto per descrivere la bellezza di questa immagine…

Figure di cartone.

Aldo: Questa raffigura una pazza rinchiusa in una clinica. La musica alterna il mondo esterno, che prova pietà per questa donna, per descrivere quello visto dalla pazza stessa: un mondo in cui è felice. È descritta la cattiveria dell’umanità, che il più delle volte fugge dalla responsabi­lità di aiutare i malati di mente, e la bellezza del mondo che lei si è creata nella semplicità della sua mente: “Dai un nome a tutte le farfalle / e confessi al vento i tuoi amori / Danzi sola nei corridoi vuoti quando è sera / E così, felice, ti addormenti”.

Aspettando l’alba.

Aldo: Siamo su una spiaggia a notte inoltrata. C’è un fuoco e dei giovani intorno. Due occhi si incontrano e in poche parole arrivano all’alba facendo l’amore.

Nelle altre canzoni avete voluto puntualizz­are la bellezza dell’atto d’amore. Come mai qui l’avete interrotto con l’arrivo dell’alba?

Aldo: Perché di solito queste cose non si fanno alla luce del sole! (ride). Toni: In un certo senso questo ritrovo notturno era una specie d’orgetta e di ragazza ce n’era una sola. Infatti cantiamo “la ragazza scalza si specchiò”. Non “una” ragazza. Per questo il mare s’infuria.

Alienazion­e.

Aldo: Come detto è una specie di proseguime­nto di Figure di cartone e descrive la pazzia. Lo abbiamo scritto con in mente il manicomio, i corridoi bianchi, le finestre sbarrate, le grida dei pazzi, le loro menti con gli incubi, le angosce, le paure.

Devo ritenere questo brano come il sostituto di Rondò per la chiusura dei vostri prossimi concerti?

Toni: Non sappiamo ancora. Appena usciti dalla sala d’incisione siamo subito ritornati a fare serate. Ora stiamo preparando l’esecuzione dell’album dal vivo, andando nei posti dei concerti con alcune ore di anticipo… cercando di preparare così il prossimo spettacolo. Lo stiamo ancora mettendo a punto, ma speriamo di chiudere gli spettacoli futuri con Alienazion­e o La porta chiusa. Logicament­e continuere­mo a proporre anche dei pezzi di COLLAGE, perlomeno quelli che ci verranno richiesti. Stiamo cercando di cambiare la nostra amplificaz­ione e vorremmo avere anche un impianto luci, ma c’è così poco tempo libero disponibil­e.

Prima mi avete accennato alla copertina che è stata realizzata da un giovane pittore modenese. È stata un’idea vostra?

Aldo: Sì. Mentre eravamo a Milano per l’incisione siamo andati a vedere una mostra di Walter Mac Mazzieri. Lo abbiamo conosciuto e invitato in studio ad ascoltare i brani che stavamo incidendo. Gli abbiamo dato i testi e l’idea di quello che volevamo in copertina e dopo un paio di settimane è tornato con esattament­e quello che desiderava­mo. Credo che la copertina spieghi esattament­e il contenuto dell’album e per noi questo è il modo migliore di presentarl­o al pubblico.

 ?? ?? Sopra: label di UOMO DI PEZZA. Copertina del 45 giri Gioco di bimba, identica a quella dell’album UOMO DI PEZZA, opera del pittore modenese Walter Mac Mazzieri
(Ca’ d’olina/mo, 15 aprile 1947 – Pavullo/mo, 21 novembre 1998 ).
Sopra: label di UOMO DI PEZZA. Copertina del 45 giri Gioco di bimba, identica a quella dell’album UOMO DI PEZZA, opera del pittore modenese Walter Mac Mazzieri (Ca’ d’olina/mo, 15 aprile 1947 – Pavullo/mo, 21 novembre 1998 ).
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Da sinistra: Tagliapiet­ra, Pagliuca e Dei Rossi (Londra, 1973).
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 ?? ?? «Ciao 2001» fu molto vicino a Le Orme negli anni 70. Sopra: copertina del numero 2 (16 gennaio 1972). A destra: articolo del numero 22 (4 giugno 1972).
«Ciao 2001» fu molto vicino a Le Orme negli anni 70. Sopra: copertina del numero 2 (16 gennaio 1972). A destra: articolo del numero 22 (4 giugno 1972).
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 ?? ?? Gatefold interno di UOMO DI PEZZA con i disegni di Walter Mac Mazzieri.
Gatefold interno di UOMO DI PEZZA con i disegni di Walter Mac Mazzieri.
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