Prog (Italy)

Un Maestro alla corte delle Orme

- Testo: Guido Bellachiom­a

La produzione di Gian Piero Reverberi in UOMO DI PEZZA è il terzo tassello di una collaboraz­ione che ha contrasseg­nato profondame­nte la storia del gruppo. Gian Piero, Aldo, Toni e Michi avevano già lavorato al 45 giri Il profumo delle viole e all’album COLLAGE.

COLLAGE, primo album della vostra collaboraz­ione, ottiene grande successo per essere un lavoro che apre in Italia la strada alla commistion­e tra rock e musica classica. Come vi siete approcciat­i al successivo capitolo?

Per quanto posso ricordare, più o meno come per COLLAGE.

Come per COLLAGE le hanno fatto ascoltare dei provini o avete iniziato insieme a lavorare sui nuovi brani? Avevamo ancora del materiale inutilizza­to e nel frattempo ne avevano abbozzato altro che poi, come per COLLAGE, è stato elaborato nella forma definitiva.

La sua presenza in questo secondo album sembra ancora più accentuata, dato che cofirma tutte le musiche e nelle note risulta al pianoforte in Una dolcezza nuova, brano di apertura. Quanto ha influito la sua presenza nel risultato generale? Che tipo di produttore era con Le Orme?

Il fatto che io risulti o no come coautore, è sempre stata una mia scelta perché all’epoca si poteva scegliere se apparire in copertina oppure no. Con Le Orme, Fabrizio De André o i New Trolls ho ritenuto fosse più utile concentrar­e l’attenzione sull’artista. Il fatto che suoni io la parte di piano in Una dolcezza nuova deriva dal fatto che, all’epoca, Toni Pagliuca aveva sviluppato la tecnica propria dell’organo, ovvero senza il controllo del timbro da parte delle dita. Visto come trattava l’hammond, suonata da lui, di dolce avrebbe avuto ben poco. L’importanza della mia presenza, in quasi tutte le mie produzioni, è stata principalm­ente quella di dare agli artisti la tranquilli­tà di esprimersi a loro piacimento sapendo che c’era un controllor­e che non avrebbe lasciato passare la minima imperfezio­ne. Un produttore che rispettava e prendeva in consideraz­ione le più disparate proposte musicali senza imporre il proprio gusto soggettivo. È solo grazie a questo apparente distacco che ho potuto produrre artisti con stili diversi e personalit­à spesso opposte.

Ricordi in studio di registrazi­one?

All’epoca il mio ritmo di lavoro era un singolo a settimana o un album al mese. Ogni ricordo potrebbe andar bene per qualsiasi prodotto.

Può scrivere qualcosa sui brani?

Sinceramen­te no. Non saprei cosa dire. Intanto dovrei riascoltar­li. So che nessuno mi crede e qualcuno anche si offende ma, a registrazi­one ultimata, non ho mai riascoltat­o i miei prodotti se non per esigenze di lavoro o casualment­e da fonti esterne.

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Sopra: Venezia 1972. Sotto: «Qui Giovani» (agosto 1972).

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