PROFONDO BLU
A pochi mesi di distanza dalla pubblicazione di DISCIPLINE, Robert Fripp, Adrian Belew, Bill Bruford e Tony Levin iniziano a registrare quello che si rivelerà uno degli album più complicati della discografia dei King Crimson…
Dal solenne e mistico magenta all’elettrico ed etereo ciano. Dalla complessa figura intrecciata in stile celtico, posizionata al centro della copertina, alla singola nota rosa (una croma, per l’esattezza) che occupa solo la parte superiore della cover, quasi sospesa sul vuoto dell’ampia parte sottostante, che diventa mare o cielo in cui tuffarsi. Il segnale che qualcosa è cambiato sembrerebbe inequivocabile. Eppure, perlomeno a un’analisi superficiale, tutto lascerebbe pensare che il passaggio di testimone tra DISCIPLINE (22 settembre 1981) e BEAT (18 giugno 1982) sia avvenuto nella maniera più fluida e naturale possibile: stessa line-up – per la prima volta nella storia dei King Crimson; praticamente stesso numero di tracce, stessa strumentazione, pochissimi mesi di distanza tra la pubblicazione dell’uno e dell’altro lavoro. Non solo, già dalla seconda parte del tour di DISCIPLINE il gruppo aveva iniziato a inserire regolarmente in scaletta alcune delle composizioni che sarebbero poi confluite su BEAT l’anno seguente: Neal And Jack And Me, gli strumentali Sartori In Tangier e Manhattan (poi ribattezzata
Neurotica e trasformata in un brano cantato), in una data anche The Howler. Malgrado ciò, il chitarrista e cantante Adrian Belew arriverà a definire la realizzazione di BEAT come “la più brutta esperienza discografica della mia vita”, mentre Robert Fripp sottolineerà come a suo avviso l’album abbia rappresentato una digressione non voluta rispetto al percorso artistico che la band si era prefissata nel momento della sua formazione.
Un’odissea imprevista
Le sedute di registrazione del successore di DISCIPLINE iniziano il 16 marzo del 1982 agli Odyssey Studios di Londra. Il gruppo è fresco reduce da undici date in America tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo, e cinque concerti nel Regno Unito, l’ultimo dei quali il 14 marzo al Wessex Poole Art Center, nel Dorset. Come sottolinea giustamente Sid Smith1, se teniamo conto che l’anno precedente la band aveva chiuso l’attività concertistica solo a fine dicembre, è probabile che ci sia da parte dei musicisti la voglia di accelerare i tempi per mantenere vive le buone vibrazioni del disco precedente e dei successivi concerti. Neanche il tempo di sistemare la strumentazione in studio, però, che il 18 marzo i King Crimson si esibiscono all’old Grey Whistle Test, dove eseguono Frame By Frame e Elephant Talk. Sarà l’ultima apparizione live fino alla fine di luglio. L’odissea agli Odyssey prosegue invece fino all’inizio di aprile, tra alti e bassi dovuti principalmente al poco materiale a disposizione della band al momento di entrare in studio. Ma c’è anche altro. Qualcuno all’interno del gruppo inizia a chiedersi se sia corretto continuare a costruire i brani sugli intrecci ostinati delle due chitarre, secondo la lezione minimalista di Steve Reich, Philip Glass e del Gamelan indonesiano, o se piuttosto non sia il caso di provare ad ampliare il vocabolario sonoro: “Non eravamo sicuri di voler proseguire in quella direzione, anche perché per Adrian era molto complicato riuscire a trasformare i dialoghi chitarristici in delle vere e proprie canzoni. In poche parole, quella che era stata fin dall’inizio una peculiarità del linguaggio musicale dei nuovi King Crimson si stava trasformando in una zavorra”. È la digressione non voluta di cui parlava Fripp: il leader è ancora fermamente convinto che la strada sia quella giusta e che non ci sia bisogno di prendere delle scorciatoie, ma gli altri musicisti la pensano diversamente. La frattura che si viene a creare sarà alla base della minore omogeneità del contenuto di BEAT rispetto a quello di DISCIPLINE. Ma questo non significa che si tratti di un contenuto di minor valore.
Concept o non concept?
Mentre le sessioni di registrazione di DISCIPLINE volgevano al termine, Fripp notò Belew immerso nella lettura del romanzo di Jack Kerouac On the road (in italiano, Sulla strada), vero e proprio manifesto della Beat Generation2. Arriva quindi il suggerimento di prendere spunto dall’opera di Kerouac, in particolare per quanto riguarda il tipo di prosa molto fluida, spesso definita “spontanea” dai critici letterari, per l’elaborazione delle liriche dell’album successivo: Fripp fornisce a Belew addirittura un germe di testo, nella fattispecie il verso “I’m wheels, I’m moving wheels” (Sono ruote, sono ruote in movimento), destinato a diventare il verso di apertura del nuovo disco, che non a caso si intitolerà BEAT. Come spiega bene Nicola F. Leonzio, “le inquietudini, il vagabondaggio, la disinvoltura sessuale, la frequentazione di alcool e droghe, l’ascetismo orientaleggiante, l’anticonformismo ribellistico della beat generation segnarono profondamente la cultura americana, anticipando di almeno un decennio la
«Registrare BEAT è stata l’esperienza discografica più brutta della mia vita» Adrian Belew
contestazione globale, il pacifismo e le colorate espressioni del mondo hippie negli anni Sessanta”3. A livello testuale, BEAT si configura quindi come una sorta di concept album, o perlomeno di album a tema, tanti e tali sono i riferimenti nei testi e nei titoli dei vari brani agli artefici della beat generation e ai personaggi da loro narrati: si comincia proprio con la prima traccia del disco (Neal And Jack And Me) dedicata dichiaratamente a Neal Cassady e Jack Kerouac, e alle loro peregrinazioni americane. Nelle sue liriche, Belew non si limita però al semplice e pedissequo citazionismo, ma inserisce anche un sottotesto estre
mamente personale: la vita durante i tour (“on the road” come si dice spesso in gergo, in un’altra curiosa sovrapposizione con il testo di Kerouac), la lontananza da casa, la mancanza della persona amata, l’impeto ciclico al ritorno, il soggiorno forzato presso ospizi poco più che dignitosi, il pellegrinaggio estenuante lungo un percorso predeterminato da cui non ci si può scostare.
Evoluzione o involuzione?
Non è un mistero che Robert Fripp sia rimasto insoddisfatto delle sessioni agli Odissey, tanto da decidere di abbandonare (o meglio, essere costretto ad abbandonare, come vedremo più avanti) lo studio di registrazione prima ancora che il missaggio dell’album fosse ultimato. D’altro canto, sia Belew che Bru
hanno rivendicato la superiorità di BEAT rispetto a DISCIPLINE. Quarant’anni dopo, la sensazione è che il lato A di BEAT sia la cosa migliore prodotta dall’incarnazione anni Ottanta dei King Crimson: la sequenza formata da Neal And Jack And Me, Heartbeat, Sartori In Tangier e Waiting Man rappresenta un capolavoro di equilibrio tra ricerca musicale e accessibilità, supportata da liriche superlative e con un brano “pop” come Heartbeat che sembra voler essere una mano tesa verso l’ascoltatore, allo stesso modo di Book Of Saturday nove anni prima. Purtroppo la seconda facciata dell’album accusa un calo evidente (cosa che non era accaduta invece con DISCIPLINE). Il problema è dovuto principalmente alla penuria di materiale che il gruppo aveva a disposizione in quel momento: nonostante l’inserimento di un brano poco rilevante come Two Hands e di una lunga improvvisazione inizialmente non prevista (Requiem), la durata dell’intero album si attesta infatti a poco più di trentacinque minuti, tre in meno rispetto al disco precedente. Come spiega Bruford, erano stati gli stessi criteri selettivi adottati dalla band a mettere i musicisti con le spalle al muro: “Nel nostro processo creativo, tutto ciò che non era reputato all’altezza veniva scartato: rimanevano in vita solo le parti che tutti e quattro ritenevamo valide. Nel momento in cui riuscivamo a raggiungere la quota minima per la pubblicazione di un disco – trentacinque o quaranta minuti – la pratica era chiusa e ognuno se ne andava per la sua strada. Nessuno avrebbe voluto fermarsi in studio un minuto più a lungo”4.
4. Sid Smith, In the Court of King Crimson, Helter Skelter, 2001, pg. 243.
1. Sid Smith, In the Court of King Crimson, Helter Skelter, 2001, pg. 234. 2. Con il nome di Beat Generation viene identificato il movimento giovanile americano nato a New York nel periodo immediatamente successivo alla Seconda guerra mondiale (1950), e caratterizzato da uno spirito marcatamente anticonformista. Tra i principali scrittori che fanno parte di questo movimento: Jack Kerouac, Lucien Carr, Allen Ginsberg, William S. Burroughs, Gregory Corso, Neal Cassady, Bob Kaufman, Lew Welch, Charles Bukowski, Gary Snyder, Lawrence Ferlinghetti, Jack Hirschman e Norman Mailer. 3. Nicola F. Leonzio, King Crimson – Il pensiero del cuore, Arcana, 2014, pg. 122.