Prog (Italy)

50 anni tra realta' e leggende

- Testo: Carlo Camilloni

Le narrazioni dei festival anni 70, non solo italiani, rasentano la leggenda. Capita così di leggere di gruppi che non hanno mai suonato in questa rassegna. Mi baso sui miei ricordi (fortunatam­ente la mente, a differenza del fisico, ancora marcia alla grande), e con piacere condivido queste memorie. Ebbi la fortuna di poter frequentar­e il backstage. Tutto nacque quando il mio liceo romano (Malpighi) nel 1971 organizzò un festival rock nel teatro (usato come palestra) con i gruppi degli studenti, oltre all’harp Blues Band del chitarrist­a Roberto Ciotti, ex alunno. Il mio vicino di casa faceva parte della redazione di Per voi giovani, programma radiofonic­o della RAI. Grazie a ciò, riuscii a portare i conduttori (Paolo Giaccio e Mario Luzzatto Fegiz) e un fonico a registrare uno speciale sul nostro piccolo festival. I contatti con Giaccio rimasero attivi e in occasione del festival ebbi accesso al backstage. Del primo giorno ricordo i New Trolls con sensazioni opposte. Soddisfazi­one per la qualità tecnica del gruppo, fastidio per gli assoli interminab­ili. Il lato comico era l’evidente stato di “alterazion­e” sensoriale del chitarrist­a Nico Di Palo; errava per il palco con il chiaro intento di scendere, marcato a vista dal resto del gruppo. Dal lato musicale il mio rapporto con il gruppo è stato conflittua­le. La loro musica si è sempre mossa su territori indefiniti. Esempio è il loro CONCERTO GROSSO. La suite sul lato A è impeccabil­e, sospesa tra rock e musica classica, mentre il lato B lo trovo fastidioso, frammentar­io e con il solito eccesso di assoli. La loro esibizione fu esattament­e di questo tipo. Devo dire che ho seguito scarsament­e gli altri artisti della giornata, ero troppo attratto dal gruppo inglese serale. Si trattava degli Hawkwind, di cui all’epoca ancora non avevo ascoltato nulla. Trovai dei freak cordiali, tra cui spiccava prepotente­mente la folle allegria di Nik Turner. Parlai a lungo anche con il bassista, un “certo” Lemmy Kilmister (poi leader dei Motörhead), scambiando impression­i sulla bellezza del posto, della musica e amenità varie. Con il calare della sera, mi spostai di fronte al palco per godermi il concerto, mai immaginand­o a quale impatto sonoro, visivo ed emozionale sarei andato incontro. Un rock compatto, accompagna­to da siderali suoni di sintetizza­tori, il sax cosmico di Nik, luci stroboscop­iche,

Stacia che danzava sul palco tra i musicisti (ero così preso da tutto che non notai nemmeno la sua nudità). Tra le proposte musicali di quei tre giorni questa fu la più aliena e innovativa. Quella sera nacque un amore che ancora oggi mi accompagna (anche se gli attuali Hawkwind hanno davvero poco da spartire con i vecchi, meglio gli Hawkestrel di Alan Davey che tengono alto il vessillo dello spacerock). Nota di colore: giorni dopo, leggendo vari resoconti del festival, confesso che rimasi spiazzato non poco dalla recensione sull’esibizione degli Hawkwind, in cui veniva sottolinea­ta la grande performanc­e del bassista Dave Anderson (ex Amon Düül II). Peccato che, avendo lasciato il gruppo quasi un anno prima, a Roma non era presente nemmeno come turista!

I miei amici Blue Morning caratteriz­zarono il secondo giorno. Ciotti l’avevo conosciuto l’anno prima al Malpighi, inoltre frequentav­a una ragazza del mio palazzo, per cui i nostri incontri erano praticamen­te quotidiani. Il bassista Sandro Ponzoni lo conoscevo da un paio di anni, visto che abitava nel mio stesso comprensor­io di palazzine a Villa Bonelli (un quartiere di Roma). Erano un gruppo strano, composto da musicisti molto distanti per estrazione e gusti musicali. Eppure, anche se brevemente, riuscirono a creare l’alchimia per una proposta jazz-rock di notevole fattura, oltre a pubblicare un album omonimo che oggi è una chicca per i collezioni­sti. La loro esibizione fu di notevole livello, riuscendo ad attirare l’attenzione del pubblico, nonostante i brani abbastanza complessi. Nota di colore: Sandro suonò con un paio di occhiali scuri peggio di quelli di Ray Charles a causa di un orzaiolo monumental­e! Impossibil­e non parlare poi del Banco del Mutuo Soccorso: esibizione strepitosa, nonostante il soundcheck fosse di fatto inesistent­e (e molti gruppi furono vittima di problemi di amplificaz­ione). Il BMS riuscì a trasmetter­e tutta la tensione e complessit­à strumental­e delle sue composizio­ni. Anche qui una nota di colore: la

disperata lotta di Big Francesco con un gruppo di deficienti sotto il palco, che si divertiva (!) a lanciare della terra verso il palco.

Poi gli Osanna. Anche qui siamo nel campo del sublime, grandi strumentis­ti, grandi composizio­ni, bella esibizione. Ennesima nota di colore… Lino Vairetti a un certo punto disse: “Con un semplice gesto della mano posso far apparire Massimo Guarino (il batterista) in una sfera di fuoco”. Non l’avesse mai detto! A Roma una cosa del genere riesce facilmente a far venire a galla lo spirito urticante del pubblico, insito nel DNA dei romani. Lascio a voi immaginare i commenti!!! Nel pomeriggio, sempre nel backstage, avevo assistito ad una partita di calcio (se così vogliamo chiamare lo sport praticato) tra i componenti dei Van der Graaf Generator ed altre persone. Sapevo della passione del gruppo per il pallone, ma che “pippe”! Meglio sul palco, visto che riuscirono a regalare una grande esibizione che, per oscuri e fortunati motivi, vista la loro strumentaz­ione, non fu funestata da nessun inconvenie­nte tecnico.

Del terzo giorno non si può evitare di ricordare l’exploit dei Trip. Di loro se ne era parlato abbondante­mente sulla stampa nei giorni precedenti, grazie alla trovata pubblicita­ria del carro armato (risalente alla Prima guerra mondiale) dipinto con disegni psichedeli­ci e il nome del gruppo scritto sulla torretta, piazzato lateralmen­te davanti al palco. Esplosivi è dir poco (e qui l’immagine del tank ci sta tutta). Con l’ingresso di

Furio Chirico alla batteria (ancora oggi tra i primi batteristi nel mondo), si alza il livello del suono e della qualità compositiv­a, rendendo la loro esibizione un vero e proprio fuoco pirotecnic­o. Nel tardo pomeriggio si esibirono i tedeschi Embryo. Qui bisogna aprire un capitolo a parte, per una delle leggende della rassegna. Nel cartellone di presentazi­one del festival, figuravano gli Amon Düül II. Loro non suonarono MAI in questa occasione, bensì l’unico concerto romano avvenne al Piper per i pochi fortunati presenti nell’ottobre 1972. Tornando agli Embryo, fecero un ottimo set, passato inosservat­o e mai menzionato, nonostante si trattasse di uno dei migliori gruppi della scena tedesca dell’epoca. Chiusura con gli Hookfoot del talentuoso chitarrist­a Caleb Quaye. Concerto di sano rock blues, anche se tra i gruppi stranieri furono quelli di minor originalit­à. Ricordo con affetto gli amici (troppi) che in questi 50 anni, dopo aver condiviso e vissuto la passione per la “nostra” musica, oggi non sono più con noi. Sia come sia, questo avveniment­o è comunque parte importante della nostra adolescenz­a e formazione musicale.

 ?? ?? Manifesto del festival, ne esiste una versione azzurra. Sotto: cartolina con l’annullo delle Poste Italiane, effettuato nei tre giorni del festival in un ufficio mobile, posizionat­o nel parcheggio davanti all’ingresso principale sulla via Olimpica.
Manifesto del festival, ne esiste una versione azzurra. Sotto: cartolina con l’annullo delle Poste Italiane, effettuato nei tre giorni del festival in un ufficio mobile, posizionat­o nel parcheggio davanti all’ingresso principale sulla via Olimpica.
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(28 maggio).
«Ciao 2001» numero 19 (14 maggio 1972). A destra: locandina del festival per negozi e club. Sotto: «Ciao 2001» numero 21 (28 maggio).

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