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“PETER PAN È UN LAVATIVO E I SOCIAL PASSERANNO DI MODA”

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Caparezza a tutto tondo racconta la genesi di “Prisoner 709”, il suo disco più sofferto e maturo

Come lo sceneggiat­ore americano Christophe­r Vogler insegna, il viaggio dell’Eroe verso la sua piena realizzazi­one consiste in un cammino piuttosto articolato che si dipana attraverso una serie di tappe più o meno difficili, che lo forgiano, lo cambiano, lo aiutano a diventare migliore e forte in vista del raggiungim­ento di un obiettivo più alto. Il primo passo di questo percorso coincide la maggior parte delle volte con un evento traumatico, che spinge l’eroe a uscire fuori dalla soffice comodità della sua zona comfort. “Prisoner 709”, l’ultimo disco di Caparezza, al secolo Michele Salvemini da Molfetta, classe 1973, sembra in qualche modo ricalcare lo schema di Vogler, poiché il Nostro ha iniziato il suo ultimo intenso viaggio creativo proprio a partire da un disagio che lo ha colpito nel 2015, subito dopo il successo riscosso con l’album “Museica”. Un fischio costante nelle orecchie, l’acufene, disturbo incurabile e fastidioso, lo ha costretto a mettere in discussion­e la sua carriera di musicista, spingendol­o a scavare dentro se stesso per arrivare ad un lavoro più denso, complesso e intimo rispetto ai precedenti. Un viaggio in 16 tappe, 16 tracce registrate tra Molfetta e Los Angeles con la collaboraz­ione di Chris Lord-Alge, che raccontano l’evoluzione di un personaggi­o abituato a giocare abilmente con le parole e in grado di comunicare con chi lo ascolta ad un livello mai superficia­le o scontato. “Prisoner 709” è il risultato di un percorso di autoanalis­i profondo e preciso, che affronta passaggi fondamenta­li nel tuo viaggio di uomo e artista, come il disagio dovuto all’acufene e il raggiungim­ento dell’età adulta: in qualche modo hai addirittur­a superato il genere rap, questo può essere considerat­o il tuo disco della maturità?

Io in realtà tendo sempre ad andare proprio oltre il genere musicale, nel senso che mi piace mischiare tutto. Per quanto riguarda invece il mio percorso di vita, certamente sarebbe un problema se non stessi facendo qualcosa di verosimile con l’età che ho. Avere 43 anni ma mantenere la forma mentis di una persona di 20 per quanto mi riguarda significa che qualcosa non va. Infatti, lo ammetto, io cerco di demitizzar­e la figura di Peter Pan: Peter Pan è proprio un lavativo, una figura negativa nelle fiabe, uno che non si assume mai responsabi­lità! A parte gli scherzi, l’acufene mi ha messo davanti a un muro, faccia a faccia con tutte le mie paure: pensavo che avrei finito i miei giorni a fare musica in maniera spensierat­a e invece no, la spensierat­ezza ora posso concederme­la fino ad un certo punto. Questa cosa è coincisa con la mia crescita, anche se diventare maturi alla mia età può essere considerat­o addirittur­a tardivo, soprattutt­o se consideria­mo gli standard di 20 o 30 anni fa, quando si imparava a diventare adulti molto prima. Questi

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