IL MONDO CHE (NON) CAMBIA
DIMENTICARE L’AFRICA
Attacchi sanguinosi e uccisioni di massa sono all’ordine del giorno nella Repubblica Democratica del Congo, soprattutto nelle province orientali dove persiste la presenza di bande armate, di milizie non governative, di ex-militari e di gruppi tribali guidati solo dalla più inaudita violenza
La peggiore tragedia della storia dalla fine della Seconda guerra mondiale, un conflitto che dura da vent’anni e che conta, ad oggi, più di sei milioni di morti tra genocidi, massacri etnici, saccheggi, il proliferare dell’Aids e dei bambini soldato.
«Il conflitto nell’est del Congo è stato esacerbato dalla crisi politica generale del Paese», ha scritto Human Right Watch, organizzazione non governativa internazionale che si occupa della difesa dei diritti umani, raccontando le violenze che vengono perpetrate nell’Est del Paese, nelle regioni del Nord e del Sud Kivu, lungo i bordi del lago omonimo.
Nel solo periodo che va da giugno a novembre dell’anno appena trascorso, il gruppo no profit ha contato 526 morti civili ascrivibili a «molti fattori», tra cui gli interventi delle forze di sicurezza congolesi «responsabili di oltre 100 morti violente». Un territorio che fatica sempre di più a mantenere anche solo una parvenza di stabilità politica e di democrazia, soprattutto dopo che la Commissione elettorale ha annunciato che non sarà possibile andare alle urne prima dell’aprile 2019.
Il presidente Joseph Kabila, 45 anni, salito al potere dopo l’uccisione del padre nel 2001, ha già completato due mandati presidenziali, il massimo previsto dalla Costituzione del Paese e, seppur al momento non sembri intenzionato a cambiare la Costituzio- ne, continua a ritardare le elezioni per allungare la durata del suo secondo mandato.
Una dittatura che si nasconde dietro motivazioni di carattere economico e logistico, quali le difficoltà nel gestire spogli elettorali in un territorio così ampio, ma che di fatto proibisce manifestazioni dell’opposizione dopo che, l’anno scorso, le forze di sicurezza hanno ucciso decine di manifestanti che chiedevano le dimissioni del Presidente.
La storia di questa parte di mondo, abituata a ricevere attenzioni solo sporadiche e di breve durata, è risalita agli onori delle cronache dopo che quindici caschi blu dell’Onu, per la maggior parte originari della Tanzania, sono stati uccisi e altri 53 sono rimasti feriti in un attacco sferrato nella provincia del North Kivu. Il peggiore attacco della storia recente contro le forze di pace, come ha precisato il segretario generale Antonio Guterrez, nella missione più vasta al mondo che tenta di porre un argine ai conflitti tra i numerosi gruppi armati interessati a un territorio ricco di risorse minerarie. La Repubblica Democratica del Congo rappresenta l’apice di tutte le tragedie di un intero continente e la complessità dei conflitti che nascono in questa porzione di mondo: solo qui si attesta l’esistenza di 120 gruppi armati in solo due delle 26 province del paese, con singoli casi agghiaccianti, come il massacro di almeno 39 profughi del Burundi uccisi a Kamanyola, nel Kivu Sud.