NUOVI CULT
IL FASCINO DELLO SCULT CHE VINCE IL GOLDEN GLOBE
“The Disaster Artist . Ovvero quando il film più brutto di tutti i tempi diventa un film di culto celebrato nel nuovo film di James Franco.
In America hanno trovato una formula: So Bad, It’s Good. Tanto brutto da essere bello, talmente estremo nella sua incapacità da aprire abissi di perverso piacere. Una formula che si applica ai film più di altre arti per la capacità di diffusione del cinema. Il primo esempio di fenomeno popolare basato sulla bruttezza (involontaria, altrimenti si fa della mera goliardia) fu Ed Wood che dal basso di film come “Plan 9 from Outer Space” e “La sposa del mostro” si aggiudicò il titolo di peggior regista del mondo e l’onore di un film dolce come Ed Wood di Tim Burton.
Vari registi cercarono, loro malgrado (?), di aggiudicarsi il titolo, da Uwe Boll con i suoi adattamenti da videogame a Fred Olen Ray. Fin quando nel 2003 apparve sulla scena The Room. Un film misterioso che apparse in una sala e poi scomparì, ma che negli anni diventò un appuntamento fisso per le sale di mezzanotte e con la diffusione globale di internet divenne un veicolo di tormentoni capace di raccogliere milioni di appassionati. Semplicemente perché era “il film più brutto del mondo”.
A questo film e all’ancor più misterioso regista Tommy Wiseau dedica il suo nuovo film James Franco:
“The Disaster Artist” (nelle sale dal 25 gennaio) è un biopic vero e proprio che racconta il rapporto tra Wiseau e quelle che divenne il suo socio e migliore amico Greg Sestero e la realizzazione di The Room partendo dai racconti e dalle testimonianze di chi lavorò sul set di quel film. Una lavorazione tanto rocambolesca e assurda da non meritare spoiler così come la descrizione dell’alone dietro cui Wiseau ha nascosta tutta la sua vita prima di The Room è affascinante.
Franco è riuscito a portare a compimento il cammino impossibile di Wiseau dai palchi di una scuola di recitazione scalcinata al palco dei Golden Globes: il “duetto” mentre l’attore/regista ritirava il Globe come miglior attore di commedia e frena Wiseau dal prendere il microfono è già diventato un meme e una gif, continuando a perpetuare una mitologia che grazie a Internet è proliferata. Oltre alla descrizione di un film e di un personaggio impossibili ovunque tranne che a Hollywood, “The Disaster Artist” è infatti interessante per almeno due motivi: innanzitutto, il suo essere una commedia che cela un dramma, una storia “tragica” che grazie alla forza del cinema hollywoodiano (come medium e più ironicamente come industria) diventa un sogno; inoltre, riflette e svela alcuni dei meccanismi che si celano dietro la creazione dello scult, ovvero il film che diventa culto a causa della sua bruttezza.
“The Disaster Artist” è una sorta di Effetto notte dedicato alla bruttezza e all’incompetenza in cui il modo di narrare l’America attraverso l’umorismo mostra il lato tragicomico di Hollywood, l’ossessione per le sue forme e mitologie, una sorta di indagine tra l’emotivo e il satirico sulle ragioni di un tracollo e la sua trasformazione in culto in cui covano molti dei temi che appassionano Franco (per esempio, il bromance, l’amicizia virile a un passo dall’attrazione omo-erotica) attraverso la paradossale figura di un Ed Wood che si crede Orson Welles, per tornare al film di Burton in cui la scena chiave era proprio quella dell’incontro tra il più grande e il più piccolo dei registi. C’è una serietà e una sincerità dietro le pieghe del sorriso e della risata in cui si intravede che Franco, in qualche modo, si specchia in Wiseau, nella sua idea scriteriata di cinema e nella sua paura di essere inadatto a tutto, non solo all’arte (altro paradosso quindi: il suo film migliore e più premiato è quello in cui metta in scena l’ambivalenza del suo cinema tra aspirazione al fallimento e ansia da prestazione).
Ma è ancora più interessante, per chi vive il cinema dei nostri giorni, l’analisi e la ricostruzione della “fortuna critica” del film e che è una riflessione sul nuovo rapporto che gli spettatori, specie giovani e millennials, hanno con le forme del brutto: il gran finale del film è durante la prima di The Room, con il pubblico che dalla desolazione per la bruttezza delle scene comincia a riderne, diventando sempre più un’arena. Franco - che nel film mostra la re-
alizzazione e la creazione dei momenti topici, compreso il celebre “You’re tearing me apart, Lisa” - si concentra sulle reazioni del pubblico, su ciò che li fa sussultare, sugli elementi di disturbo che diventano affascinanti come numeri da circo. Gli stessi elementi, meccanismi e reazioni che su Internet hanno stabilito il successo del film e la sua nomea, accresciuta da video, recensioni, commenti, esaltazioni della sesquipedale incompetenza, il trionfo dell’involontarietà: elementi su cui hanno fondato il loro successo canali youtube, come Nostalgia Critic o Yotobi, su cui film atroci diventano dei must see ricercati più del Santo Graal, come Troll 2 e Dreamland. Non a caso, il film si apre su un gruppo di trentenni più o meno celebri che dichiarano perché amino “The Room”: è grazie a loro se il sogno di Wiseau è diventato realtà.
Nel bene o nel male, nonostante tutto.