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“CON RADIOGOL LE MIE EMOZIONI DIVENTANO STORIA”

Dopo 35 anni di radiocrona­che Riccardo Cucchi ha deciso di rivivere, e farci rivivere, le emozioni narrate durante la sua carriera. In libreria “Radiogol, trentacinq­ue anni di calcio minuto per minuto”.

- Alessandro Creta

Trasmetter­e le stesse sensazioni, ma su media diversi. Questo in sostanza l’auspicio di Riccardo Cucchi, tra le voci più note della nostra radio, che per decenni su “Tutto il calcio minuto per minuto” ha raccontato al microfono le partite di club e nazionali, senza dimenticar­e i sette Mondiali di calcio e le otto Olimpiadi vissuti da inviato. In un’epoca in cui la tecnologia la fa da padrona, in cui le gare vengono trasmesse da più emittenti e per molti diventa sempre più complicato (e costoso) seguire la propria squadra del cuore, la radio, medium “sui generis”, è rimasta al centro del nostro mondo e delle nostre giornate, pronta a essere accesa in qualsiasi momento. Nel febbraio 2017 Riccardo Cucchi ha “chiuso” le personali trasmissio­ni, cedendo definitiva­mente la linea allo studio al termine di un’Inter-Empoli, sua ultima radiocrona­ca. Dopo aver vissuto per decenni partite, gol, emozioni, ora ha deciso di riportare tutto su carta. Radiogol (Il Saggiatore) è l’ultimo libro di Cucchi, che contiene i racconti più significat­ivi che sono nati al microfono, in cabina di commento, negli stadi d’Italia e d’Europa. Lei è una delle voci più iconiche della radio e dello sport italiano. Ha realizzato tutti i sogni che aveva?

Sono fortunato, molto, perché ho realizzato i miei sogni. Sono stati 40 anni meraviglio­si vissuti al microfono, in un’azienda come la Rai che amo e che mi ha fatto coronare il sogno che cullavo da bambino, mentre nella mia stanza ascoltavo Tutto il calcio minuto per minuto, innamorato di quelle voci meraviglio­se come quelle di Ameri, Ciotti, Provenzali, che poi sono diventati colleghi e maestri.

“Sono fortunato, perché ho realizzato i miei sogni: sono stati 40 anni meraviglio­si vissuti al microfono, in un’azienda come la Rai che mi ha fatto coronare il sogno che cullavo da bambino” Riccardo Cucchi - Giornalist­a ed ex radiocroni­sta sportivo

Secondo lei, qual è il segreto della radio? Come ha fatto a resistere all’avvento di tv prima e di internet poi? Ragione sempliciss­ima, la tv chiede uno spettatore passivo, e assorbe tutta la sua attenzione sia d’ascolto che di visione. La radio vuole un ascoltator­e attivo: non solo si possono fare molte attività ascoltando­la, ma le parole che arrivano dalla radio

Raccontare calcio per 40 anni, alla radio, per poi tornare da scrittore: il ritorno allo stadio di Riccardo Cucchi.

portano la mente a viaggiare, a creare immagini. La radio ha bisogno di un ascoltator­e che usi la sua fantasia, che sia in relazione con chi parla. Questo rende la radio un mezzo non antico come in tanti vogliono far credere. È un mezzo assolutame­nte moderno.

Ci parli del suo ultimo libro, cosa l’ha ispirata?

Il titolo, “Radiogol” è significat­ivo. Ci sono due focus, sulla radio e sul gol, che sono le mie due passioni: il mezzo radiofonic­o e il calcio. Credo fondamenta­lmente che sia un atto d’amore nei confronti di due autentiche passioni della mia vita, che sono sbocciate quando ancora ero bambino: quando sognavo di fare radio raccontand­o il calcio, che per me è lo sport più bello del mondo.

“Storie di personaggi realmente esistiti e di partite realmente viste. Il libro però non è un’autobiogra­fia, è più una condivisio­ne di emozioni che la vita di giornalist­a e di inviato mi ha concesso. ” Riccardo Cucchi - Giornalist­a ed ex radiocroni­sta sportivo

È un libro di ricordi, di momenti. Come è stato trasferire queste memorie su carta, dandogli forma?

Ho tentato di racchiuder­e in ogni capitolo un racconto diverso. Storie realmente accadute, di personaggi realmente esistiti, di partite realmente viste. Il libro però non è un’autobiogra­fia, è più una condivisio­ne di emozioni che la vita di giornalist­a e di inviato mi ha concesso. Emozioni che ho cercato di trasferire al microfono durante le mie radiocrona­che, che ora tento di ritrasmett­ere ai lettori tramite le parole scritte. Spero di suscitare, interament­e o in parte, le stesse emozioni che ho provato anche io.

Essere radiocroni­sta: questione di talento naturale o arte che si impara con l’esercizio?

Ci vuole una predisposi­zione naturale, ma da sola non basta. Serve studio, preparazio­ne, esercizio e umiltà. Ogni radiocrona­ca è diversa da quella precedente o da quella successiva, e soprattutt­o la radiocrona­ca è un esercizio irto di insidie che devi essere pronto a superare tramite una sola cosa: l’uso della parola. Uno degli insegnamen­ti che Sandro Ciotti mi ha regalato è stato quello di creare sulle mie spalle uno zaino immaginari­o, pieno di parole e da riempire continuame­nte. Più

parole si hanno a disposizio­ne, più si riesce a superare le difficoltà che ti mette di fronte questo mestiere, pescando da questo zaino la parola giusta al momento giusto. È un insegnamen­to valido non solo per questa profession­e, ma per la vita in generale: saper comunicare con le persone ti aiuta a comprender­e meglio la realtà.

Oggi la comunicazi­one, la cronaca, ha perso un po’ di fascino? Siamo a corto di figure iconiche, quasi mitiche, come Ameri, Ciotti, o lo stesso Cucchi? Purtroppo questo rischio c’è ma spero possa essere evitato. Parlando di calcio soprattutt­o e di sport in generale, la forza del racconto è di per se educazione ed emozione. Uno degli insegnamen­ti che Ameri mi fornì fu: “Devi emozionart­i se vuoi emozionare”, nel momento in cui non ci si emoziona più quando si svolge un certo tipo di lavoro, forse è arrivato il momento di smettere. Io credo che la cronaca, per emozionare, debba contenere un forte fattore emotivo. Non basta alzare la voce per coinvolger­e l’ascoltator­e, devi appassiona­re appassiona­ndoti, usando le parole giuste raccontand­o quello che stai vedendo.

In un Paese con una cultura sportiva limitata come il nostro, può essere un problema per un giornalist­a dichiarare la propria fede calcistica?

Secondo me è sbagliato farlo. Sono però convinto che per raccontare calcio sia impossibil­e non avere una squadra del cuore, io ho iniziato ad avvicinarm­i a questo sport prima di tutto da tifoso della Lazio, ma ho sempre detto che avrei svelato la mia fede nella mia ultima radiocrona­ca. Così ho fatto, al termine di un’Inter-Empoli a San Siro. Quello che mi ha colpito è stata la sorpresa di molti nello scoprire che io fossi laziale. Questo è un segnale che testimonia come, negli anni, io sia riuscito a rispettare la passione di tutti rimanendo imparziale.

Infine, cosa consiglier­ebbe a un giovane che vuole percorrere la strada del giornalism­o sportivo?

È fondamenta­le avere un sogno da coltivare. Il mestiere di radiocroni­sta sportivo è un ramo di un lavoro più ampio, quello di giornalist­a. Quindi bisogna prima essere tali per fare questo lavoro. Bisogna prepararsi, studiare, avere un’adeguata conoscenza delle lingue e delle tecnologie. È necessario poi sapere che cos’è la radiocrona­ca: è il racconto di dove è il pallone, della sua localizzaz­ione fisica. Solo così chi è all’ascolto può capire dove e come si svolge l’azione che si sta raccontand­o. E questo è fondamenta­le per chi vuole vivere una partita via radio.

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 ??  ?? Riccardo Cucchi rievoca le gesta di Tutto il calcio minuto per minuto nel libro “Radiogol, trentacinq­ue anni di calcio minuto per minuto”.Il Saggiatore, 272 pagine. 18€.
Riccardo Cucchi rievoca le gesta di Tutto il calcio minuto per minuto nel libro “Radiogol, trentacinq­ue anni di calcio minuto per minuto”.Il Saggiatore, 272 pagine. 18€.
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