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PECCATO CHE SIA UNA CANAGLIA

Ancora una volta le “elezioni” in Corea del Nord sono la cronaca di un successo annunciato per Kim Jong-un. Niente è cambiato, eppure il nemico giurato delle democrazie occidental­i non fa più così paura

- Martina Morelli

C’è un tempo per nascere, un tempo per morire. E un tempo per votare anche se sei la Corea del Nord. Anche se sei un regime impenetrab­ile. Anche se il potere assoluto è nelle mani di uno dei leader politici più giovani e capriccios­i (o almeno così è stato a lungo considerat­o) al mondo.

Sì perché come recita l’annuncio emanato dall’agenzia di stampa ufficiale KCNA - Korean Central News Agency - nonché unico organo d’informazio­ne in un Paese in cui la libertà di stampa è praticamen­te inconsiste­nte (come segnalato a più riprese da Reporters sans Frontieres):

“Il Presidium della Suprema assemblea del popolo della Repubblica democratic­a popolare di Corea ha deciso di convocare l’elezione dei deputati della 14ma Suprema assemblea del popolo il 10 marzo, 108mo anno della Juche (2019), in base all’articolo 90 della Costituzio­ne socialista della DPRK”. 687 deputati in totale che, secondo la Costituzio­ne della Corea del Nord, possono essere votati da tutti i cittadini che abbiano compiuto 17 anni attraverso elezioni a ballottagg­io segreto.

O meglio: sulla scheda compare il nome di un solo candidato selezionat­o dal Fronte Democratic­o e ogni elettore può apporre un segno al di fuori del nome per votare contro di lui. In questo caso, però, decade ogni diritto alla riservatez­za: in molti seggi elettorali per esprimere un voto d’opposizion­e bisogna utilizzare la penna rossa posta vicino all’urna davanti agli ufficiali elettorali, in altri vi è un’apposita cabina.

Farsa, messa in scena, chiamatela come volete, sta di fatto che nel 2014 l’affluenza è stata pari al 100% e che nessun voto contrario è stato registrato, con buona pace delle autorevoli democrazie occidental­i. In realtà queste “elezioni” servono più da censimento: quei fuoriuscit­i che sono riusciti ad attraversa­re illegalmen­te la frontiera con la Cina cercano di rientrare nel Paese per presenziar­e al voto, gli altri, quelli ormai troppo lontani, saranno tutti schedati. Kim Jong-un è al potere in Corea del

Nord dal dicembre del 2011, quando ha preso il posto del padre, Kim Jong-il e da allora, lo ha scritto l’analista Van Jackson sull’Atlantic, si è dato quattro importanti obiettivi. In primis, rafforzare il suo potere contro le minacce interne, ovvero inasprire con le raffiche di mitra e le bombe a mano la lotta alla diserzione al confine con la Corea del Sud, senza tralasciar­e le poche ma agghiaccia­nti notizie relative ai campi di lavoro dove, secondo il rapporto della Commission­e per i diritti umani delle Nazioni Unite fino almeno al 2014 sono state rinchiuse tra le 600mila e i 2 milioni e mezzo di persone, in 400mila morte per torture, malnutrizi­one ed esecuzioni sommarie. Il secondo traguardo raggiunto è quello di dimostrare di avere un arsenale nucleare, un indiscutib­ile deterrente per dissuadere da qualsiasi attacco alla Corea del Nord.

Anche qui, seppure l’“oceano di fuoco e fiamme” promesso da Trump sembra solo un lontano ricordo di una scaramucci­a tra amici, per l’Onu Kim Jong-un continua a sviluppare il suo programma nucleare. Resta ancora da compiere l’auspicato migliorame­nto della qualità della vita del popolo nordcorean­o, che versa per la maggior parte in condizioni di miseria assoluta, e l’accettazio­ne della Corea del Nord da parte della comunità internazio­nale. Ma su questo si può dire che il leader stia lavorando, da un lato con l’appoggio della Federazion­e Russa che spinge per incoraggia­re la Corea del Nord attraverso un alleggerim­ento delle sanzioni internazio­nali, dall’altro con un rasserenam­ento dei toni. Eppure la Corea del Nord non è cambiata. Qui non c’è più posto né per l’opposizion­e, né per i diritti umani. “C’è stata una forte attenzione a bombe e missili, ma la tragedia nordcorean­a riguarda molto più la libertà perduta attraverso la brutale repression­e del potenziale umano”(Andrew Forrest, fondatore della Walk free foundation, l’organizzaz­ione che si occupa di porre fine alle moderne schiavitù).

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