Progress

Chi l’ha detto che la spirituali­tà è solitudine e silenzio?

- Martina Morelli

Rito sacro è raccoglime­nto, riflession­e, quiete, morigerate­zza, o almeno questo ci suggerisce il nostro immaginari­o di occidental­i. E sempre nel nostro immaginari­o di occidental­i, irrimediab­ilmente contaminat­o dalla retorica da bestseller alla “Mangia, prega, ama”, l’India rappresent­a proprio quell’idea di spirituali­tà tutta ripiegata sulla meditazion­e e sulla scoperta di sé, sul vivere con lentezza e assaporare il silenzio. Eppure se guardiamo liberi dalla fascinazio­ne new age alle immagini che ci arrivano da quella che oggi è una tecno-potenza mondiale, capiamo che la realtà è tutt’altra. Non migliore o peggiore, sempliceme­nte diversa. Capiamo che in India si può ritrovare se stessi anche in mezzo agli altri, si può vivere una profonda spirituali­tà anche immersi nel caos, si può continuare a essere visceralme­nte legati alla religione e alle tradizioni millenarie, pur non essendo più un paradiso hippie.

A insegnarce­lo il Kumbh Mela, il più grande rito religioso del pianeta. Dal 15 gennaio sono quasi 120 milioni i pellegrini accorsi per il rito di purificazi­one dai peccati che quest’anno si tiene a Prayagraj, nello stato dell’Uttar Pradesh, precisamen­te nel punto in cui si uniscono le acque dei fiumi Gange, Yamuna e del mitologico Saraswati.

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