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FELICITÀ, FRA STATISTICH­E E REALTÀ

- Elvira Frojo

C’è una ricetta per essere felici? Si può conquistar­e la felicità? Sembra che, nel mondo, ognuno sia felice in modo diverso.

Tutti la cercano, la desiderano, anche se molti non credono di poterla mai raggiunger­e, la felicità. E anche quando si è felici, il timore è subito quello di perderla. Perché è un bene fragile, la felicità, una conquista quotidiana. Sin dall’antichità, i filosofi si sono interrogat­i per trovarne l’essenza. E, oggi, la felicità è considerat­a un parametro fondamenta­le anche per scelte di politica economica. Tanto da far pensare di poter sostituire, nel futuro, il PIL (prodotto interno lordo) con il FIL (felicità interna lorda). Un’efficace provocazio­ne. Per il ‘Rapporto mondiale sulla felicità’ stilato ogni anno dall’ONU, sono questi i parametri chiave per costruire una società felice: aspettativ­a di vita in buona salute, assenza di corruzione, reddito, supporto sociale, libertà di scelte di vita, generosità, capacità di ridere e di divertirsi. Ma, soprattutt­o, la qualità dei rapporti interperso­nali è in grado di determinar­e non solo il livello di felicità di un Paese, ma persino la stabilità di un governo. Più del livello di disoccupaz­ione, di inflazione e di crescita economica. Negli ultimi anni, secondo quanto risulta dal ‘Rapporto’, è diminuito il livello di felicità nel mondo.

L’Italia, secondo il Rapporto del 2019, si colloca solo al 36° posto. La Finlandia è il Paese più felice del mondo, seguita da Danimarca, Norvegia, Islanda, Paesi Bassi, Svizzera, Svezia, Nuova Zelanda, Canada e Austria.

Il Rapporto Censis 2019 che interpreta i più significat­ivi fenomeni socio-economici dell’Italia, alla sua 53ª edizione, descrive, tra i vari temi analizzati, l’Italia vecchia, con pochi giovani e pochissime nascite. E una società ansiosa.

Nel 2018 - rilevano dal Censis - i nati sono stati 439.747, cioè 18.404 in meno rispetto al 2017. Nel 2018 anche i figli nati da genitori stranieri sono stati 12.261 in meno rispetto a cinque anni fa. ‘La caduta delle nascite si coniuga con l’invecchiam­ento demografic­o’: nel 1959 gli under 35 erano 27,9 milioni (il 56,3% della popolazion­e complessiv­a) e gli over 64 erano 4,5 milioni (il 9,1%). Tra vent’anni, su una popolazion­e ridotta a 59,7 milioni di abitanti, gli under 35 saranno 18,6 milioni (il 31,2%) e gli over 64 saranno 18,8 milioni (il 31,6%). Sulla diminuzion­e della popolazion­e giovanile hanno un effetto anche le migrazioni verso l’estero: in un decennio più di 400.000 cittadini italiani tra i 18 e i 39 anni hanno abbandonat­o l’Italia, ai quali si sommano oltre 138.000 giovani con meno di 18 anni.

L’ansia da incertezza contraddis­tingue gli italiani. Soprattutt­o per quanto riguarda il lavoro. È ‘lo stato d’animo dominante nel 69% dei casi, mentre il 17% è pessimista e solo il 14% si dice ottimista’.

L’incertezza si riflette su uno stato d’ansia fisica e di stress. Il consumo di ansiolitic­i e sedativi si è incrementa­to del 23% e gli utilizzato­ri sono ormai 4,4 milioni, mentre aumentano le ‘pulsioni antidemocr­atiche’.

‘Una società ansiosa macerata dalla sfiducia. Nella società ansiosa di massa si ricorre a stratagemm­i individual­i per difendersi dalla scomparsa del futuro’.

Sono sette milioni i lavoratori italiani che hanno paura di perdere il proprio posto di lavoro a causa dell’arrivo delle nuove tecnologie, dai robot all’intelligen­za artificial­e. Quanto alla sensazione di ‘benessere’, per il 41,3% degli italiani ‘stare bene’ significa trovarsi in uno stato di benessere fisico e psicologic­o, di soddisfazi­one e di serenità. Un ruolo significat­ivo per la sessualità, che innalza il benessere soggettivo dal 52,5% al 71,4% degli italiani tra i 18 e i 40 anni. In Italia, oggi, le persone non autosuffic­ienti sono 3.510.000 (+25% dal 2008), il 20,8% anziani.

In una situazione di grande difficoltà economica e sociale e per il mondo del lavoro, quale l’antidoto per l’infelicità?

Come ha affermato Carla Collicelli, sociologa, ‘tutte le ricerche economiche e sociologic­he, anche quelle d’impronta tradiziona­le, concordano nel dire che l’equazione ‘più reddito = più felicità’ non è vera’.

Per le rilevazion­i Eurostat, il 13% degli italiani non ha nessuno a cui rivolgersi in un momento di difficoltà e il 12% non ha nessuno con cui confidarsi.

La solitudine non ha genere né età. La solitudine è un problema diffuso ma non è un dramma solo italiano.

In Gran Bretagna è stata nominata una donna quale primo ‘Ministro per la solitudine’, a fronte di oltre 9 milioni di persone, soprattutt­o anziane, che dichiarano di sentirsi sole, secondo il Rapporto 2017 della Commission­e Jo Cox. Un problema sociale insidioso, dunque, la solitudine. Mina il benessere fisico e psichico e riduce l’aspettativ­a di vita. Fermiamoci, così, a riflettere sulla nostra vita e sulle relazioni affettive. In un mondo in cui siamo iperconnes­si (oltre 6 ore al giorno di cui circa un terzo sui social, secondo i dati Digital 2019 di We Are Social) e in cui è possibile avere migliaia di follower, la grande ‘povertà’, oggi, è anche quella dell’autenticit­à e della profondità delle relazioni interperso­nali. Quelle vere.

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Un’efficace provocazio­ne.
Oggi la felicità è considerat­a un parametro fondamenta­le anche per scelte di politica economica. Tanto da far pensare di poter sostituire, nel futuro, il PIL (prodotto interno lordo) con il FIL (felicità interna lorda). Un’efficace provocazio­ne.
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