ONWARD
Il nuovo film Pixar, grande omaggio al genere fantasy, “vittima” dell’emergenza Covid-19: dalle sale finisce direttamente in streaming. Così Disney ne approfitta per lanciare, in Italia e altrove, il proprio servizio Disney+ attraverso una grande, primissima visione.
Come reagisce il cinema, soprattutto quello delle grandi produzioni, se i cinema sono costretti alla chiusura? Può scegliere di aspettare che l’emergenza pandemica Covid-19 passi e posticipare l’uscita oppure anticipare le cosiddette finestre e andare in streaming. Onward, il nuovo film Pixar, ha scelto la seconda ipotesi. A dire il vero il film le sale le ha viste in America e ancora prima alla Berlinale, ma per pochissimi giorni e con il lockdown alle porte, quindi se non invisibile quasi. Così Disney ne approfitta per lanciare in alcune zone, tra cui l’Italia, il proprio servizio streaming Disney+ attraverso questa grande, almeno da noi, primissima visione. Il film, diretto da Dan Scanlon, racconta una storia tipicamente Pixar, ovvero che ha a che fare con la perdita: in questo caso i due protagonisti sono due giovani elfi che hanno perso il padre. Attraverso la magia, altra cosa che nel mondo in cui vivono si è persa, trovano un incantesimo per riportarlo in vita, almeno per un giorno: ma manca loro una pietra fondamentale. Per cui, con il corpo del padre a metà - quella inferiore - partono per questo viaggio epico in cui scoprire, oltre alle loro capacità stregonesche, il loro rapporto anche a partire dai ricordi del padre, da quella che sarebbe potuta essere la loro vita. Scanlon, assieme a Jason Headley e Keith Bunin, scrive un film che è innanzitutto un grande omaggio al genere fantasy di cui Onward raccoglie temi e motivi fin dal titolo, che non è il nome del protagonista come di solito nei film d’animazione, ma che significa avanti o oltre (e infatti il sottotitolo è Oltre la magia) a indicare il senso del viaggio, ma soprattutto della ricerca, della quest alla base di tutto l’immaginario fantasy compresi videogiochi e giochi di ruolo; e il film è un vero e proprio canto affettuoso al genere, ricco di citazioni prossime al plagio (il cammino della fede come in Indiana Jones e l’ultima crociata) senza nessuna forma di ironia o parodia, come fu per Shrek, ma con l’intenzione di creare con lo spettatore, specie se nerd, una forma di identificazione, una sorta di riconoscimento identitario. Come poi quasi tutti i romanzi fantasy e i film animati, quello di Scanlon è un racconto di formazione dal sapore autobiografico (ispirato alla morte del padre e al rapporto del regista con il fratello e partorito dopo aver ascoltato un audiocassetta, come si vede nel film) nel quale ci sono i tipici riti del passaggio a un’età adulta
- o perlomeno adolescente - ma anche un percorso di consapevolezza emotiva, tratto distintivo dei film Pixar, in cui la perdita e l’elaborazione del lutto diventano indispensabile tappa per il conseguimento della maturità: il rocambolesco tentativo di riportare in vita il padre è per i fratelli Lightfoot il modo per mettersi in contatto l’uno con l’altro usando l’arma infallibile dei ricordi (come in Coco). Quello che è sempre interessante nei film Pixar
è il modo in cui si mettono in scena sentimenti più maturi e profondi rispetto a quelli che si possono provare in un film d’animazione mainstream: non solo per lo scandaglio del lutto e il modo diretto in cui la morte fa parte dell’universo narrativo del film, ma anche per l’importanza data ai punti di vista, all’empatia con l’altra in barba al dominio assoluto del protagonista, lo spostamento delle esigenze del racconto verso le esigenze del sentimento anche arrivando a esaltare stati emotivi come la rinuncia, il passo indietro, il rimpianto. Onward può bearsi di un lavoro tecnologico e creativo di primissimo ordine, di un senso del magnifico e dello spettacolo che in pochi si possono concedere nel mondo dell’animazione e che si sposa benissimo con l’atmosfera fantasy; inoltre, Scanlon e il suo team creativo non lesinano in trovate ora toccanti - come la figura del padre materializzato solo dalla cintura in giù e che comunica con i figli attraverso il tocco dei piedi - ora buffe, come le fatine motocicliste. E anche il comparto vocale dell’originale è all’altezza di un Blockbuster con Tom “Spider-Man” Holland e Chris “Star Lord” Pratt, mentre in Italia ai doppiatori professionisti ci sono i camei di volti noti come Fabio Volo, Sabrina Ferilli e FaviJ.
Ciò che rende il film decisamente minore, anche se non proprio deludente, è il sembrare uscito da un generatore automatico di film Pixar, con tutti gli elementi caratteristici dei film della società controllata Disney, il modo di trattare i sentimenti e di veicolare il racconto che ricalcano degli schemi fin troppo evidenti, aggiornati a piccole varianti e tocchi di correttezza politica (come la poliziotta che, attraverso una velocissima frase, si può identificare come omosessuale). Segno inequivocabile di una stanchezza creativa che sta affliggendo i suoi film da un po’, concentrando la resa sulla pura emotività, sul portare il pubblico - specie quello adulto - alla lacrima: giochino facile che la prolificità non smentisce. Ma in tempi di magra per i nuovi film, non saremo certo noi a lamentarci.