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VITA DA CROSSDRESS­ER

- di Stefano Ferri

Il caso Weinstein

Ènotizia recente che la Svizzera si è adeguata agli altri paesi d’Oltralpe in tema di diritti civili, sancendo che anche le discrimina­zioni omofobe devono essere vietate e punite come quelle riguardant­i l’etnia, la razza o la religione. In Italia questa legge non c’è, è ferma da anni in Senato. I tentativi di introdurre nel nostro codice penale il reato di omofobia si sono infranti contro il presunto rischio di ledere la libertà d’espression­e. Vulgo: se ho voglia di insultarti perché sei gay devo poterlo fare, così come tu sei libero di praticare la tua omosessual­ità. Atteso che la libertà d’espression­e è sacrosanta, cosa c’è che non torna nella sintesi di cui sopra? Primo: non torna l’appiattime­nto di tutto a un diritto. Se è un diritto insultare, allora, a valanga, dovrebbe diventarlo anche diffamare o denigrare, e sappiamo bene che, per fortuna, così non è. Diffamazio­ne e denigrazio­ne sono reati puniti dalla legge, come l’ingiuria del resto. Dunque per quale motivo gli epiteti volgari, se riferiti alla sessualità, non sono considerat­i da codice penale? Secondo: non torna nemmeno il velato richiamo alle opinioni. Sbagliano i relativist­i a negare l’assoluto. L’assoluto c’è eccome. Per esempio, uno più uno fa due, e se mi dite che fa tre io, con rispetto, vi invito a tornare sui banchi della prima elementare. Allo stesso modo, chi mi parla di diritto al razzismo avrebbe bisogno come minimo di una rispolvera­ta di educazione civica. Ed è proprio questo il punto. Cos’è il razzismo? Forse che l’epiteto razzista è riferibile in esclusiva a chi massacra di botte un uomo perché è nero? No. Esistono forme di razzismo incruente e subdole, che di primo acchito potrebbero anche essere scambiate per libere espression­i del pensiero. Per esempio: non assumere una persona perché si veste diversamen­te dagli altri, o sbarrargli l’accesso a un luogo pubblico, è razzismo? Sono forse razzisti i buttafuori delle discoteche quando respingono al mittente chi non è vestito come vogliono loro? Risposta: non sono razzisti laddove non tocchino la sfera del gender, e ciò sempliceme­nte perché razzismo significa discrimina­re od offendere una persona in forza di caratteris­tiche che essa non può modificare. Se una multinazio­nale informatic­a non mi assume perché non ho le competenze fa la cosa giusta. Sta a me, se voglio essere assunto, acquisire quelle competenze. Ma se non vengo assunto perché, per mie tendenze intime, non riesco a vestirmi da uomo, o perché sono di colore, o perché ho l’accento di chissà dove e via dicendo, ecco, allora subisco un trattament­o razzista. Per quanto mi impegni, infatti, non riuscirò mai a diventare bianco da nero, e non è detto che riesca a passare da gay a etero, da crossdress­er a normodress­er ecc. Ci sono forme transitori­e di omosessual­ità o di disforia di genere, ma questa transitori­età non dipende da una libera scelta. Se non c’è libertà non c’è neanche responsabi­lità, e di conseguenz­a non possono esserci punizioni. Ci riflettano, quanti parlano – spesso a vanvera – di libertà d’espression­e.

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