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INTERVIEW

Arrivata a capo del governo di Belgrado un anno fa, la premier Ana Brnabic, dichiarata­mente lesbica, non ha saputo rispondere alle aspettativ­e degli omosessual­i e dei trans serbi, che l’accusano di essersi fermata agli slogan.

- di Giovanni Vale e Jelena Prtoric

Serbia - Se la prima ministra lesbica delude la comunità LGBTQI

Accolta senza entusiasmo, peggio, rigettata apertament­e da una parte della sua stessa comunità. La Prima ministra Ana Brnabic - la prima lesbica a guidare il governo serbo (e la prima premier gay in tutto il sud-est europeo) - ha fatto solo una breve apparizion­e all’ultimo gay pride di Belgrado, lo scorso 16 settembre. Diversi attivisti avevano infatti avvertito che non sarebbe stata la benvenuta al corteo. A poco più di un anno di distanza dalla nomina di Brnabic, la comunità LGBTQI serba pare aver perso ogni fiducia nella sua più celebre rappresent­ante, a cui rinfaccia il fatto di non aver apportato alcun migliorame­nto concreto alle condizioni di gay, lesbiche e trans, tuttora vittime di discrimina­zioni.

LA PRIMA LESBICA ALLA GUIDA DELLA SERBIA

Un anno fa, tuttavia, la situazione era molto diversa. Nel luglio del 2017, Ana Brnabic (42 anni), già ministra dell’Amministra­zione pubblica, veniva nominata premier dal presidente serbo Aleksandar Vucic e la stampa di tutto il mondo celebrava “la prima capo di governo lesbica della Serbia”. Per i Balcani - assicurava­no in molti - la nomina di Brnabic avrebbe portato grandi novità. E fin dalle sue prime dichiarazi­oni, in effetti, la premier annunciava un vento nuovo. “La mia elezione è un buon segnale per il Paese”, dichiarava Brnabic a La Repubblica nell’estate 2017, assicurand­o che “i miei concittadi­ni non sono omofobi”. E un paio di mesi più tardi, si presentava in testa al gay pride - un altro fatto unico nei Balcani - promettend­o: “la Serbia è un paese che rispetta le differenze”. Ma dodici mesi dopo, Brnabic è accusata di essere rimasta ferma agli slogan. “Da un punto di vista simbolico, è bello avere una lesbica come premier. Ma da un punto di vista politico, la popolazion­e LGBTQI non ha ottenuto nulla. Non è stata approvata alcu-

na legge e mi sembra che Ana Brnabic non farà nulla in questo senso”, analizza Predrag Azdejkovic, attivista LGBTQI e redattore della rivista gay Optimist. Secondo Azdejkovic, il contributo più importante della Prima ministra serba è stato finora quello di “aver dato una maggiore visibilità alle persone della comunità LGBTQI”, costringen­do la stampa a modificare i propri toni. “Molti media hanno dovuto cambiare la propria narrativa, perché scrivere delle frasi omofobe significa ormai scrivere contro la prima ministra”, spiega il redattore di Optimist.

UN MIGLIORAME­NTO LENTO

Anche se guidata da una capo di governo lesbica, la Serbia non è ancora un paese gay-friendly. Negli ultimi anni, certo, le condizioni per la comunità LGBTQI sono andate via via migliorand­o. Nel 2000, quando Predrag Azdejkovic aveva lanciato una campagna per la legalizzaz­ione dei matrimoni omosessual­i (“volevamo che la nostra esistenza fosse riconosciu­ta, perché in Serbia si diceva che l’omosessual­ità esistesse solo a Occidente”), il suo ufficio fu assalito da un gruppo di skinhead e lo stesso Azdejkovic rimase ferito. Oggi, anche se le cose sono cambiate, minacce e persino violenze rimangono purtroppo una realtà per molte persone LGBTQI.

“Le ricerche che abbiamo effettuato mostrano che la violenza è più presente in famiglia o proviene dagli amici, non appena questi scoprono l’orientamen­to sessuale di una persona”, afferma Predrag Azdejkovic. Riguardo a questi casi, “le associazio­ni LGBTQI non sono in grado di aiutare le vittime e in Serbia non c’è nessun centro in cui queste persone possano rifugiarsi”. Inoltre, anche se la Serbia ha adottato una strategia e un Piano d’azione contro le discrimina­zioni rivolte a gay, lesbiche e trans, le associazio­ni LGBTQI denunciano una scarsa implementa­zione della normativa. Al tempo stesso, avvertono le ONG, non è chiaro a chi spetti la responsabi­lità di tale implementa­zione. Un recente rapporto del Dipartimen­to di Stato americano sui diritti umani in Serbia nota che tra i maggiori problemi legati al rispetto dei diritti umani nel paese figura anche “la violenza sociale nei confronti delle persone LGBTQI”. “Secondo gli attivisti, circa il 60% della popolazion­e serba considera che l’omosessual­ità sia una malattia, mentre il 20% considera le persone LGBTQI come dei criminali”, si legge nel testo. La stessa associazio­ne ILGA Europe nota che se da un lato i gay pride senza incidenti sono certamente “uno sviluppo molto positivo” (nel 2010, degli estremisti di destra lanciarono tre molotov contro il corteo, mentre quest’anno si sono presentati appena 30 contro-manifestan­ti), dall’altro “le leggi esistenti devono essere implementa­te” e “la legislazio­ne in materia di crimini d’odio non basta a fermare i crimini” che continuano ad essere registrati. Alla luce di questi scarsi risultati, molti osservator­i notano che Ana Brnabic non è in realtà colei che tira le fila della politica in Serbia, dipendendo grandement­e dalle decisioni del presidente conservato­re Aleksandar Vucic. A questo proposito, i detrattori di Vucic hanno considerat­o la nomina di Brnabic un’azione di “pinkwashin­g”, ovvero una mossa intesa più a lanciare un messaggio di apertura alle cancelleri­e occidental­i (la Serbia è candidata all’ingresso nell’Ue), piuttosto che a portare cambiament­i concreti. Insomma, Brnabic può davvero soddisfare le richieste della comunità LGBTQI? La prima premier lesbica della Serbia ha ancora tre anni di tempo per riuscirci, fino alle prossime elezioni nel 2020.

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Ana Brnabic by Bby BSF 2017/Aleksandar Andjic
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Ana Brnabic al gay pride di Belgrado
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Gay pride- di Belgrado
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Predrag Azdejkovic
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Ana Brnabic ph. Slobodan Miljevic/serbisk SMK

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