Libertà di nome e di fatto
Chimi segue sui social e nella vita sa che il mio sogno è quello di diventare invisibile. Cioè di essere libero di camminare per le vie del mondo senza avere costantemente gli occhi di tutti addosso. Ebbene, c’è una sola città in cui questo accade, sempre e ovunque: New York. Il mio primo impatto con la Grande Mela avvenne molto tardi, quando avevo 49 anni. Strano a dirsi, non c’ero mai stato prima. Ho perso l’opportunità di vederla da giovane, con gli occhi ingenui ed entusiasti di un ragazzo, ma ho avuto il vantaggio di incontrarla nella piena maturità, quando la consapevolezza e l’esperienza mettono in luce valori che altrimenti si perderebbero nei dettagli. Ci sono arrivato da crossdresser, e da tale l’ho vissu
ta. La prima cosa che vi dico è che, giunto in autobus da Newark a Times Square, sentii immediatamente il bisogno di riporre le cuffie dell’iPhone (il mio scudo contro i fischi derisori dei passanti omofobi, razzisti o semplicemente stupidi). Mi fu chiaro da subito che non avrei avuto alcun motivo di usarle.La mia prima passeggiata senza musica di protezione avvenne quell’assolato pomeriggio di fine settembre 2015, tra la 42ma e la 75ma (in piena Broadway). Incurante del jet lag e del peso della valigia mi beai letteralmente non tanto dei grattacieli, di Central Park, del frenetico andirivieni della city that never sleeps, per dirla con Liza Minelli, quanto piuttosto della mia libertà di passeggiare in mezzo alla gente completamente legittimato, sdoganato, considerato uno come tutti al punto da essere ignorato, al pari dei milioni di passanti al di qua dell’Hudson.Tanto potrei ancora raccontare dei miei giorni a New York. Ma quell’emozione resta unica, affiancata solo dalla pari sensazione che provo ogni volta che torno lì, all’ombra di una statua che non per caso si chiama “della libertà”.