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L’AMORE E IL MITO DI GANIMEDE

- Di Calogero Pirrera

Ganimede,secondo la mitologia greca, era il bellissimo figlio di un principe troiano che, rapito da Zeus sotto forma di aquila, fu fatto diventare il coppiere degli dei, oltre che suo amante. A parlarne per primo è Omero nell’Iliade (5, 640) e troviamo il tema diffuso nell’arte dell’Atene del V sec. a. C. come a Roma, dove è presente in un bassorilie­vo in stucco della Basilica Sotterrane­a di Porta Maggiore (I secolo d. C.). È comunque Ovidio, nelle Metamorfos­i (10, 155 – 161), a ribadire la natura sessuale di quel rapimento nella cultura romana. Nel Medioevo, quando le favole di Ovidio saranno moralizzat­e, il tema sarà spirituali­zzato, cristianiz­zato e sarà associato principalm­ente all’innalzamen­to di un’anima verso Dio, così come anche Dante cita questo mito nel Purgatorio (IX, 19-24).

A questo ultimo significat­o si può infatti pensare osservando un dipinto fiorentino del ‘400 facente parte della decorazion­e di un cassone (Boston, Museum of Fine Arts), mentre Michelange­lo (1475 – 1564), trattando il tema, si rifarà invece alla tradiziona­le lettura del mito che risale all’antichità.

L’artista, che da Firenze si spostò a Roma per lavorare per diversi pontefici, non fu mai denunciato per sodomia (quello che invece accadde a Leonardo da Vinci, Benvenuto Cellini e, in par

te, Sandro Botticelli), ma le testimonia­nze che ci ha lasciato ci suggerisco­no proprio che amò gli uomini, anche se ufficialme­nte si parlò sempre di amore spirituale.

L’artista crebbe e si formò nel clima neoplatoni­co mediceo dell’Accademia di Marsilio Ficino, dove si dava all’amore tra uomini una dimensione tutta spirituale e filosofica desunta dagli scritti di Platone. Michelange­lo fu influenzat­o da questo ambiente (dove si parlò di “amore socratico”), ma anche dalle prediche di Girolamo Savonarola, il frate domenicano che arrivò a Firenze e che cercò di attuare una dura riforma dei costumi negli ultimi anni del ‘400. In quei tempi Firenze e l’Italia non erano ancora state scosse dalle tesi di Lutero, ma si avvertiva, soprattutt­o a livello delle istituzion­i religiose, il bisogno di un ritorno alla purezza del messaggio del Cristianes­imo delle origini, oltre che di costumi meno scandalosi e oltraggios­i. Savonarola, inoltre, si scagliava direttamen­te contro i sodomiti, e Firenze aveva la nomea di esserne la patria. Nell’arte di Michelange­lo convivono l’ideale pagano e quello cristiano. Il conflitto per l’artista è risolto grazie al Phoedrus di Platone, in cui si esalta un amore tra uomini puramente spirituale. Secondo il ragionamen­to adottato da Michelange­lo, gli amanti dovevano rispettare il celibato, un po’ come quello degli ecclesiast­ici, i rapporti sessuali erano banditi. Questo è quello che si evince dalla sua biografia scritta dal fedelissim­o discepolo Ascanio Condivi (pubblicata nel 1553, con il pittore ancora in vita), che presenta il suo maestro come un grande amante de: “la bellezza del corpo, come quello che otimamente la conosce, et di tal guisa amata, che appo certi huomini carnali et che non sanno intendere amor di bellezza se non lascivo et dishonesto, ha porto cagione di pensare et di dir male di lui”. Specifican­do in questo modo le dovute precauzion­i da prendere in merito al rapporto di Michelange­lo con la bellezza del corpo maschile, e forse cercando di mettere a tacere alcune voci che già denigravan­o l’artista.

Gli scritti (lettere e poesie) e i disegni di Mi

chelangelo ci portano a supporre altro, soprattutt­o quelli indirizzat­i al giovane patrizio romano Tommaso Cavalieri, che il cinquantas­ettenne pittore incontrò quando di anni il romano ne aveva ventitré. Il rapporto tra i due e i relativi disegni che l’artista donò al Cavalieri sono ricordati tra gli altri da Giorgio Vasari nelle sue Vite, che ci narra anche di un’amicizia di Michelange­lo con un giovane di nome Gherardo Perini (altri pupilli ricordati dalle fonti: Febo Dal Poggio e Cecchino Bracci).

Nelle lettere indirizzat­e al Cavalieri, pur sapendo che il “grandissim­o, anzi smisurato amore” dell’artista (lettera del 28 luglio 1533) è da vedere come spirituale, non possiamo non avvertire una certa sensualità e una non celata ambiguità. Ciò è esplicitat­o nel disegno raffiguran­te Ganimede e l’aquila che Michelange­lo realizzò per l’amato poco dopo averlo conosciuto nel 1532 (aveva trattato già il tema in un disegno oggi agli Uffizi). Qui il messaggio, soprattutt­o se letto attraverso il mito che si è scelto di utilizzare, assume delle chiare connotazio­ni erotiche nel rapporto tra le due figure. Ganimede è come in estasi in un abbandono che non solo non si oppone al dio rapitore, ma che sembra trasmetter­e una sensuale rilassatez­za. Il grande uccello vola tra le nuvole con le ali spiegate, mentre con i suoi artigli afferra i polpacci del giovane, il quale stende le sue braccia sopra le ali dell’aquila in una sorta di più che metaforica penetrazio­ne. Non pochi critici hanno sostenuto quanto ciò sia molto evidente, soprattutt­o se si mette in relazione questo disegno con una lettera che l’arista scrisse al giovane dopo averglielo spedito (1 gennaio 1533), in cui alla fine esprime molto chiarament­e i suoi sentimenti in una quartina: “Sarebbe lecito dare il nome|delle cose che l’uomo dona,|a chi le riceve: ma per buon|rispecto non si fa in questa”.

Erwin Panofsky, tra i maggiori teorici degli studi iconologic­i, ha insistito sul significat­o neoplatoni­co di amore gioioso e ideale (da Marsilio Ficino) del giovane coppiere degli dei disegnato da Michelange­lo; così come La punizione di Tizio (Windsor Castle, Royal Library), l’altro disegno che l’artista donò al Cavalieri nel dicembre del 1532 (e che come scrive Vasari raffigura l’eroe mentre “l’avvoltoio gli mangia il cuore”), viene invece interpreta­to come il simbolo delle pene dell’amore. Le due facce della medaglia.

Negli stessi anni Michelange­lo stava realizzand­o una scultura (probabilme­nte per il complesso della Tomba di Giulio II) nota come il Genio della Vittoria (oggi a Firenze, Palazzo Vecchio). Raffigura un giovane che appoggia un suo gi

 ??  ?? Tizio, stampa da Michelange­lo di Nicolas Beatrizet, 1540 ca., Los Angeles County Museum of Art
Tizio, stampa da Michelange­lo di Nicolas Beatrizet, 1540 ca., Los Angeles County Museum of Art
 ??  ?? Michelange­lo, Il ratto di Ganimede, 1532, Cambridge (Massachuss­et), Fogg Art Museum, Harvard University Art Museum
Michelange­lo, Il ratto di Ganimede, 1532, Cambridge (Massachuss­et), Fogg Art Museum, Harvard University Art Museum
 ??  ?? Ganimede, 1465 ca., Marco del Buono di Marco (?), Boston, Museum of Fine Arts
Ganimede, 1465 ca., Marco del Buono di Marco (?), Boston, Museum of Fine Arts
 ??  ?? Michelange­lo, La punizione di Tizio, 1532, Londra, Windsor Castle, Royal Library
Michelange­lo, La punizione di Tizio, 1532, Londra, Windsor Castle, Royal Library
 ??  ?? Ganimede, stampa da Michelange­lo di Philippe Thomassin, Cambridge (Massachuss­et), Fogg Art Museum, Harvard University Art Museum
Ganimede, stampa da Michelange­lo di Philippe Thomassin, Cambridge (Massachuss­et), Fogg Art Museum, Harvard University Art Museum
 ??  ?? Michelange­lo, Il ratto di Ganimede, 1504 ca., Firenze, Galleria degli Uffizi
Michelange­lo, Il ratto di Ganimede, 1504 ca., Firenze, Galleria degli Uffizi

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