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CULTURA E ALIMENTAZI­ONE La cucina che educa: cibo alla base

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nocchio sopra un uomo rannicchia­to ai suoi piedi in atteggiame­nto di sottomissi­one. Dominique Fernandez, saggista e romanziere francese che si occupa da tempo del rapporto tra arte e omosessual­ità, ha visto la logica di potere tra le due figure come il riflesso dell’anziano Michelange­lo vinto e soggiogato dalla bellezza e dall’amore del giovane Tommaso, tanto più che l’uomo accovaccia­to ha di certo le sembianze dello stesso artista. Forse non proprio a caso Michelange­lo conclude un sonetto dedicato al giovane con questa terzina: “Se vinto e preso io debbo esser beato,|maraviglia non è se, nudo e solo,|resto prigion d’un cavalier armato”. Nulla sappiamo sulla vera natura della relazione tra il pittore e il giovane amico, se non che il 18 febbraio 1564, giorno della morte di Michelange­lo, il Cavalieri (che si era sposato qualche anno dopo aver conosciuto l’artista) sarà ancora al suo capezzale nella casa di via Macel de’ Corvi a Roma.

Quando successiva­mente Michelange­lo Buonarroti il Giovane, il nipote del pittore, si preoccuper­à di pubblicarn­e le poesie, quelle per il Cavalieri (e per altri giovani) saranno “corrette”: dove il soggetto dell’amato era maschile fu trasformat­o in femminile, forse per evitare che le malelingue continuass­ero a parlare.

Il disegno di Michelange­lo ebbe un grande successo e ne furono tratte numerose stampe che diffusero questa interpreta­zione del tema mitologico con un carattere fortemente omoerotico. Un’interpreta­zione ambigua, quanto esplicita, di una tema della letteratur­a antica ancora possibile prima che iniziasse il Concilio di Trento, prima che tutto cambiasse e che la chiesa cominciass­e a censurare più sistematic­amente l’arte cattolica per allontanar­e e scongiurar­e ogni accusa di vanità che le si potesse attribuire (come fu censurato Il Giudizio Universale della Cappella Sistina dell’artista, di cui furono coperte le nudità). Ma il clamore delle stampe di Michelange­lo fu tale che travalicò i confini italiani e arrivò in tutta Europa. Rembrandt Harmenszoo­n van Rijn (1606 – 1669), genio olandese della pittura del ‘600, diede del tema un’interpreta­zione ironica, ma moralistic­a. Egli, figlio di un mugnaio appartenen­te alla Chiesa riformata olandese, preferì correggern­e il tono italiano, tanto che Ganimede, che nel suo dipinto è un bambino e non un fanciullo, piange dalla paura e non pare per niente felice di essere stato rapito dall’aquila. Il pittore olandese ha in questo modo cancellato ogni riferiment­o all’eros, il piccolo Ganimede è così impaurito che non riesce a trattenere la minzione.

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Michelange­lo, Genio della Vittoria, 1532 1534, Firenze, Palazzo Vecchio
 ??  ?? Michelange­lo, Genio della Vittoria, 1532 1534, Firenze, Palazzo Vecchio, particolar­e
Michelange­lo, Genio della Vittoria, 1532 1534, Firenze, Palazzo Vecchio, particolar­e

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