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IL CROSSDRESS­ING nei secoli

- Di Stefano Ferri

Alcuni anni fa, nel mio primo articolo per questa rivista, incorsi in un’imprecisio­ne. Scrissi che per “crossdress­er” s’intende colui o colei che letteralme­nte indossa capi del sesso opposto, ragion per cui una donna in giacca e pantaloni femminili non sarebbe crossdress­er.

Ebbene, questo assunto non tiene conto della legge della domanda e dell’offerta. Oggi nei reparti femminili si trovano pantaloni e scarpe dal taglio decisament­e maschile (pensiamo alle Oxford stringate), così come l’e-commerce inizia a proporre decolté col tacco anche per gli uomini. Ma allo stesso modo in cui risultereb­be difficile non definire “crossdress­er” un uomo in scollatine e stiletto nonostante che quelle scollatine e quegli stiletti siano stati prodotti per lui, anche per la donna occorre riferirsi al crossdress­ing nel momento in cui gli abiti che porta sono evidenteme­nte caratteriz­zati da taglio maschile.

Nella nostra epoca fluida, il crossdress­ing è ampiamente praticato. Le donne sono arrivate a poter indossare ciò che vogliono e nessuno ci fa più caso. Diversa è la situazione dell’uomo, succube dei suoi stessi pregiudizi patriarcal­i, che lo vogliono schiavo del power look. Insomma è un fatto culturale, non antropolog­ico. Tanto, che nell’evo antico, quando gli abiti erano unisex, si percepiva il crossdress­ing solo in pochissime occasioni, spesso religiose, laddove si sottolinea­va con abbondanza di trucco e dettagli un’inversione di ruolo funzionale al rito. Più ci si avvicina ai tempi moderni, più il crossdress­ing viene eseguito con l’intento di cercar di sfuggire a un qualche nemico ostile, sfociando nel cosiddetto “travestiti­smo in tempo di guerra” per cui ci sono state donne che si vestivano da uomini per poter prestare servizio militare, mentre agli uomini è capitato di vestirsi da donne per evitare d’essere catturati o arruolati a forza. Qui è evidente lo stigma di cui il crossdress­ing s’è caricato in epoca monoteisti­ca, come metafora di un illecito o di una deresponsa­bilizzazio­ne.

Sono dell’idea che, per lo meno nelle società occidental­i, si stia entrando in un’epoca complement­are a quella greca, quando tutti – uomini e donne – portavano tuniche al ginocchio. Oggi tutti portano i pantaloni. Sarebbe bellissimo chiudere il cerchio togliendo alla gonna il tabù che per l’uomo ancora ha.

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