I danni DELL’ANTROPOMORFISMO
Il cane ci sopporta nella nostra disabilità sociale, perché ha un cuore veramente grande. Per il gatto, poi, l’essere umano è qualcosa di ancor più incomprensibile
Avolte mi chiedo cosa pensino i nostri beniamini a quattro zampe di noi. Non è un quesito bizzarro e inutile, visto che un filosofo come Thomas Nagel, in un lavoro ormai divenuto storico, si è chiesto già nel 1974 “What is it like to be a bat?”. Giusto, cosa si prova a essere un pipistrello? Siamo in grado di capirlo? Una quindicina di anni fa l’editorialista di Nature, Stephen Budiansky, pubblicò un libro il cui titolo era estremamente chiaro - “Se un leone potesse parlare” che peraltro prevedeva un sottotitolo altrettanto esplicito: “noi non potremmo capirlo”. Seguendo queste indicazioni comprendiamo come l’antropomorfismo, ossia l’attribuire ai soggetti di altre specie caratteristiche umane, sia una forzatura che non tiene conto del fatto che ogni animale ha una sua peculiare immersione nel mondo. Questo lo aveva già rimarcato il barone Johann von Uexkull che all’inizio del Novecento introdusse il concetto di “umwelt” per definire un mondo-ambiente proprio di ogni specie capace di stabilire un modo particolare di percepire la realtà circostante. Peraltro, se è vero che “non è corretto antropomorfizzare”, non dobbiamo cadere nell’eccesso opposto, che in genere si traduce in due atteggiamenti: 1) il ritenere che sia impossibile capire, anche in minima parte, la prospettiva delle altre specie; 2) il considerare gli animali completamente diversi dall’essere umano e più assimilabili alle macchine. Se seguiamo il punto 1, come fa Nagel, allora ci chiediamo quale sia in definitiva il compito dell’etologo che, viceversa, studiando le altre specie attraverso l’analisi del comportamento, cerca di capire la prospettiva di un animale. Arriviamo al paradosso di certi ricercatori che affermano che non ci siano evidenze scientifiche sul fatto che un gatto possa sentire dolore e per far emergere queste fantomatiche prove sottopongono i felini a test dolorosissimi. Se seguiamo il punto 2, come fa Cartesio, ci dimentichiamo l’importante lezione di Charles Darwin che nel libro “Le espressioni delle emozioni nell’uomo e negli animali” ha indicato, in modo inequivocabile, l’uomo come termine comparativo. Ogni specie è differente - certo - ma di fronte a un femore di cavallo lo paragono a un femore umano e non a un palo della luce. Gli animali sono diversi per certi aspetti e simili a noi per altri, per questo bisogna compararli all’uomo e non certo a una macchina. Torniamo, perciò, alla domanda di partenza, con occhio più etologico, provandoci con uno sforzo che può essere viziato da qualche errore - come in ogni ipotesi - ma che, a mio giudizio, presenta plausibilità in ragione di tutte le ricerche che in questi anni sono state fatte sul comportamento del cane e del gatto.
PER IL CANE APPARIAMO INDOLENTI E DISORGANIZZATI
Per un cane dobbiamo apparire esseri particolarmente indolenti e disorganizzati, individualisti e incoerenti, ondivaghi nel chiedere affetto e ubbidienza in modo eccessivo e paradossalmente incapaci di attuare momenti e attività di concertazione. C’è chi chiede conferme affettive al cane e poi pretende di essere un leader accreditato. C’è chi tiene il cane in una situazione di isolamento sociale e poi pretende un’ubbidienza quasi in stile caserma. C’è chi riempie il cane di coccole (preambolo del fare qualcosa insieme) e poi non fa nulla con lui. Il cane ci sopporta nella nostra disabilità sociale, lo fa perché in fatto di relazione ha un cuore veramente grande.
PER IL GATTO SIAMO ANCORA PEGGIO…
Che dire, poi, del gatto? Per lui l’essere umano è qualcosa di ancor più incomprensibile. Quando il gatto si trova in difficoltà o deve affrontare un problema - e l’amico che entra in casa lo è a tutti gli effetti - lo prendiamo in braccio, ossia, gli limitiamo lo spazio, quando per lui è proprio la libertà d’azione la cosa che più lo rassicura. Gli portiamo in casa un altro gatto - di fatto uno sconosciuto - pensando di fargli cosa gradita. Lo accarezziamo in modo compulsivo fino a elettrizzarne il mantello, dandogli un fastidio pazzesco, e poi ci meravigliamo se lui si ribella. Insomma, penso proprio che se un cane o un gatto potessero parlare capiremmo perfettamente quello che hanno da dire... ma forse non ci piacerebbe.