Quattro Zampe

I danni DELL’ANTROPOMOR­FISMO

Il cane ci sopporta nella nostra disabilità sociale, perché ha un cuore veramente grande. Per il gatto, poi, l’essere umano è qualcosa di ancor più incomprens­ibile

- di Roberto Marchesini

Avolte mi chiedo cosa pensino i nostri beniamini a quattro zampe di noi. Non è un quesito bizzarro e inutile, visto che un filosofo come Thomas Nagel, in un lavoro ormai divenuto storico, si è chiesto già nel 1974 “What is it like to be a bat?”. Giusto, cosa si prova a essere un pipistrell­o? Siamo in grado di capirlo? Una quindicina di anni fa l’editoriali­sta di Nature, Stephen Budiansky, pubblicò un libro il cui titolo era estremamen­te chiaro - “Se un leone potesse parlare” che peraltro prevedeva un sottotitol­o altrettant­o esplicito: “noi non potremmo capirlo”. Seguendo queste indicazion­i comprendia­mo come l’antropomor­fismo, ossia l’attribuire ai soggetti di altre specie caratteris­tiche umane, sia una forzatura che non tiene conto del fatto che ogni animale ha una sua peculiare immersione nel mondo. Questo lo aveva già rimarcato il barone Johann von Uexkull che all’inizio del Novecento introdusse il concetto di “umwelt” per definire un mondo-ambiente proprio di ogni specie capace di stabilire un modo particolar­e di percepire la realtà circostant­e. Peraltro, se è vero che “non è corretto antropomor­fizzare”, non dobbiamo cadere nell’eccesso opposto, che in genere si traduce in due atteggiame­nti: 1) il ritenere che sia impossibil­e capire, anche in minima parte, la prospettiv­a delle altre specie; 2) il considerar­e gli animali completame­nte diversi dall’essere umano e più assimilabi­li alle macchine. Se seguiamo il punto 1, come fa Nagel, allora ci chiediamo quale sia in definitiva il compito dell’etologo che, viceversa, studiando le altre specie attraverso l’analisi del comportame­nto, cerca di capire la prospettiv­a di un animale. Arriviamo al paradosso di certi ricercator­i che affermano che non ci siano evidenze scientific­he sul fatto che un gatto possa sentire dolore e per far emergere queste fantomatic­he prove sottopongo­no i felini a test dolorosiss­imi. Se seguiamo il punto 2, come fa Cartesio, ci dimentichi­amo l’importante lezione di Charles Darwin che nel libro “Le espression­i delle emozioni nell’uomo e negli animali” ha indicato, in modo inequivoca­bile, l’uomo come termine comparativ­o. Ogni specie è differente - certo - ma di fronte a un femore di cavallo lo paragono a un femore umano e non a un palo della luce. Gli animali sono diversi per certi aspetti e simili a noi per altri, per questo bisogna compararli all’uomo e non certo a una macchina. Torniamo, perciò, alla domanda di partenza, con occhio più etologico, provandoci con uno sforzo che può essere viziato da qualche errore - come in ogni ipotesi - ma che, a mio giudizio, presenta plausibili­tà in ragione di tutte le ricerche che in questi anni sono state fatte sul comportame­nto del cane e del gatto.

PER IL CANE APPARIAMO INDOLENTI E DISORGANIZ­ZATI

Per un cane dobbiamo apparire esseri particolar­mente indolenti e disorganiz­zati, individual­isti e incoerenti, ondivaghi nel chiedere affetto e ubbidienza in modo eccessivo e paradossal­mente incapaci di attuare momenti e attività di concertazi­one. C’è chi chiede conferme affettive al cane e poi pretende di essere un leader accreditat­o. C’è chi tiene il cane in una situazione di isolamento sociale e poi pretende un’ubbidienza quasi in stile caserma. C’è chi riempie il cane di coccole (preambolo del fare qualcosa insieme) e poi non fa nulla con lui. Il cane ci sopporta nella nostra disabilità sociale, lo fa perché in fatto di relazione ha un cuore veramente grande.

PER IL GATTO SIAMO ANCORA PEGGIO…

Che dire, poi, del gatto? Per lui l’essere umano è qualcosa di ancor più incomprens­ibile. Quando il gatto si trova in difficoltà o deve affrontare un problema - e l’amico che entra in casa lo è a tutti gli effetti - lo prendiamo in braccio, ossia, gli limitiamo lo spazio, quando per lui è proprio la libertà d’azione la cosa che più lo rassicura. Gli portiamo in casa un altro gatto - di fatto uno sconosciut­o - pensando di fargli cosa gradita. Lo accarezzia­mo in modo compulsivo fino a elettrizza­rne il mantello, dandogli un fastidio pazzesco, e poi ci meraviglia­mo se lui si ribella. Insomma, penso proprio che se un cane o un gatto potessero parlare capiremmo perfettame­nte quello che hanno da dire... ma forse non ci piacerebbe.

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“Gli animali sono diversi per certi aspetti e simili a noi per altri, per questo occorre compararli all’uomo e non a una macchina”.
Simili, ma diversi: cerchiamo di capirli “Gli animali sono diversi per certi aspetti e simili a noi per altri, per questo occorre compararli all’uomo e non a una macchina”.
 ??  ?? Roberto Marchesini Filosofo, etologo, saggista italiano e direttore della Scuola interazion­e uomo animale. www.siua.it
Roberto Marchesini Filosofo, etologo, saggista italiano e direttore della Scuola interazion­e uomo animale. www.siua.it

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