«Lei ballerà fra le stelle accese E scoprirà, scoprirà l'amore L'amore disperato» Nada, 1983
È facile amare lo sci. Tutti noi che in un modo o nell'altro ci definiamo sciatori, se ce lo dovessero chiedere, risponderemmo senza esitazioni di sì, che noi amiamo lo sci. E ci mancherebbe. Anche Marco Schwarz ama lo sci, sicuramente. Ha venticinque anni, verosimilmente ha gli sci ai piedi da almeno venti di questi anni e se qualcuno glielo dovesse chiedere, risponderebbe come noi, di sì, che lui ama lo sci.
Un anno fa, più o meno, era fine febbraio, Marco si è rotto il legamento crociato e un menisco del ginocchio sinistro. Stava gareggiando a Bansko, in superg, ed è atterrato male da un salto. Sono quasi certo che dopo lo scoramento e il dolore del momento, il suo grande amore per lo sci non abbia vacillato in alcun modo. Certo, qualche maledizione in dialetto della Stiria l'avrà detta, avrà imprecato contro la sorte, che proprio a lui che era in forma doveva capitare. Mai è stato liscio il vero corso dell'amore, citando Shakespeare nel Sogno d'una notte di mezza estate. Avrà pensato qualcosa del genere Marco in attesa dell'intervento chirurgico, quando era nudo come un verme sotto il telo verde prima di entrare in sala operatoria. O forse, più probabilmente, avrà tirato qualche porcozio. E anche nei giorni seguenti, quando il ginocchio faceva un male cane (sì, lo fa dopo l'intervento, ci sono passato più volte). Poi, però, l'amore ha ricominciato ad albergare nel suo cuore. Passata l'incazzatura più grossa, alla fine si finisce per perdonare. E anche Marco ha perdonato lo sci, non poteva che andare così. Avrà tenuto ancora un po' il broncio nei primi giorni di fisioterapia, poi ai primi passi, magari in piscina con poco carico sull'articolazione, spingendo i primi pesi all'isocinetica, avrà iniziato a desiderare con tutto se stesso di rimettere gli sci ai piedi, di allenarsi con i compagni, di fare slalom, la sua disciplina preferita. Avrà pensato che poi non c'era nemmeno più quello là, quello che vinceva sempre tutto e che magari prima o poi sarebbe toccato a lui, e non in combinata o in parallelo, che tutti sanno che non conta nulla, ma in slalom, o in gigante. Non vedeva l'ora di riabbracciare ciò che amava di più, lo sci. Oh sì, quanto lo amava. Anzi, glielo avessero domandato adesso, avrebbe risposto che ora, dopo un periodo di distanza, dopo una pausa di riflessione, lo amava di più.
E giorno dopo giorno, tutto è tornato come prima, anzi meglio di prima.
Tutti i pezzi sono andati al loro posto, Marco sembrava felice come non mai e progrediva veloce. Qualche bella manche, qualche errore, poi terzo ad Adelboden, secondo a Kitz. Mica roba da poco. Fino a Schladming, che è un po' come Parigi per uno slalomista, è veramente il posto più romantico che ci sia se si ama lo sci. Pettorale numero uno, prima manche perfetta. Marco si è seduto nel leaderboard e non si è più alzato da lì. Probabilmente si sarà sentito un re in quelle due ore tra la fine della prima manche e la chiusura della ricognizione della seconda. Probabilmente gli sembrava di volare e la folla dei 40.000 della Planai si apriva al suo passaggio come il Mar Rosso per Mosè. Avrà pensato che lo sci lo amasse tantissimo. Poi, però, qualcosa si è rotto. All'improvviso, succede sempre così, uno non si spiega come sia possibile, che andava tutto così bene, e l'altro gli volta le spalle. Quando Marco si è affacciato in partenza, quando è stato inquadrato dalle telecamere in mondovisione, quando toccava a lui, quando l'austria si è fermata e ha trattenuto il respiro per attendere la sua spinta sui bastoni e l'apertura del cancelletto, insomma quando tutti volevano vedere la sua folle danza tra i pali della Night Race, non sono così convinto che Marco amasse ancora così tanto lo sci. I suoi occhi erano sbarrati, confusi. Non sembrava lucido. Sono bastati pochi secondi perché si accorgesse che nessuna delle fibre di pioppo, di acero, di titanal, di carbonio e di tutto ciò di cui sono fatti i suoi Atomic, aveva il benché minimo feeling con lui. Sembrava in balia del destino, di una forza oscura. E lì è finito il sogno, in un boato di disapprovazione e delusione di tutti quelli che per aspettare la sua discesa si erano sgolati decine di birre, avevano preso freddo e sventolato bandiere biancorosse. E con il sogno era finito anche l'amore.
Il suo, quello dei tifosi, quello dell'austria. Poi Marco si è rialzato, confuso, ha fatto finta di assorbire il colpo con nonchalance, ed è ripartito. Ma non era più la stessa cosa. Al traguardo ha visto Kristoffersen che sorrideva felice, lui sì che amava lo sci. Nel suo cuore, invece, solo nero, dolore e voglia di andare a nascondersi. È difficile amare in modo così intenso, bisogna nascerci, avere la fibra per sensazioni tanto forti, per reggere agli alti e bassi a cui ti sottopone una passione travolgente. Ma il tempo è la migliore delle medicine, dicono. Sono sicuro che piano piano Marco avrà assorbito il colpo, avrà curato l'orgoglio ferito e sotto a tutte le macerie ci sarà già un germoglio che rifiorisce. In fondo, è facile amare lo sci.