Chi vinc e in Coppa del Mondo è perc hé lavora su l dettaglio. E per dettaglio si intende anc he trovare la giu sta c ombinaz ione sc i-attac c o-piastrasc arpone per la Gran Risa, la 3-Tre, la Streif...
Era il 14 dicembre del 1986 e la squadra italiana era molto attesa, un po' come oggi accade con la squadra femminile, non certo quella del gigante maschile. La nazionale italiana già in quegli anni dormiva all'hotel Ladinia, la mattina della gara si era svegliata e aveva da gestire due manche perfette e la grande emozione di essere la favorita. «Eravamo un bello squadrone, un po' come la Svizzera di slalom oggi. Eravamo sempre in tanti nelle prime 15 posizioni, Alberto (Tomba, ndr) era tra i più giovani e non così atteso». La Bomba si è poi piazzato secondo sulla Gran Risa del 1986 che Richard continua a non riuscire a mettere perfettamente a fuoco. «Mi sembra ci fosse neve dura, battuta in modo normale, anche da dietro facevano i tempi». A metà gara non era primo, ma non sa in quale posizione si trovava. È sceso senza fare calcoli; allora come oggi non si potevano fare. «Solo gente come Tomba o Hirscher potevano permetterselo». Gli altri hanno sempre lottato con imperfezioni e sbavature e così serviva la gara perfetta per accendere il tifo italiano, numeroso ma non ancora abituato a tendoni vip, ostriche e champagne. Il pubblico era numeroso e competente e arrivava in massa con i pullman. «Uno dei più belli del circuito». Pramotton aveva provato la pista qualche giorno prima, ma era una prassi per tutti: i regolamenti internazionali all'epoca erano diversi e sul pendio di gara si poteva sciare fino a poche ore prima.
«Una giornata davvero dura, ma fantastica! Probabilmente lo slalom gigante più impegnativo che abbia mai fatto in termini di condizioni, ma alla fine ce l'abbiamo fatta!» [Henrik Kristoffersen]
Pramotton arrivava dalla vittoria nel gigante di Sestriere e dal terzo posto in slalom. Il calore dei tifosi iniziava a farsi sentire, era concentrato e un po' agitato alla partenza. Qualche istante prima, alcune indicazioni via radio da Tino Pietrogiovanna. «Essenziali e interessanti». Poi l'ora della verità. Cinque, quattro, tre… un urlo, due spinte e via a cercare la gloria. Due manche tirate, il recupero, il boato del pubblico e una festa italiana iniziata al parterre e conclusa al Ladinia. «Che bella giornata, l'avevamo conclusa nel nostro albergo insieme al presidente Gattai».
La Gran Risa è sempre stata dolce, agli occhi di Richard. Una vera pista da gigante. E per vera intende un po' larga e un po' stretta, con dossi e terreno mosso. Dove si vince sciando dalla prima all'ultima porta e dove invece si può perdere in fondo al muro, quando raccorda sul piano. Pendii tosti, dove serve sempre essere aderenti al terreno e dove non conta solo l'attrezzo.
«Una delle più belle, anche se la migliore per me rimane ancora Adelboden. Di certo non amo e non ho mai amato autostrade di neve come Beaver Creek oppure lo slalom di Zagabria». Gusti da vero intenditore del gigante, che ancora oggi non si definisce un fuoriclasse, ma uno sciatore normale capace di scrollarsi di dosso il peso dell'emozione in due porte. «Vi immaginate essere nel gabbiotto di partenza soli, con cronometrista, skiman, allenatore e sotto una marea di gente che fa casino? I fuoriclasse come Marcel e Alberto gestivano due manche senza problemi». Aspetti difficili da percepire, impossibili per il pubblico che è al traguardo in mezzo alla musica a brindare nei tendoni vip o sulle tribune, scattando selfie e video ricordo. Lo sci si è evoluto anche sotto questo aspetto e dalla semplice gara oggi si è passati a grandi eventi. Lo spettacolo e il fascino rimangono, gesti tecnici e imprese grandiose pure, ma a cambiare forse è la percezione. O più semplicemente, le cose belle della vita continuano a non vedersi con gli occhi e a rimanere nel cuore.