Tomba? Un po’ borazzo ma simpatico
Castel de' Britti è su per la collina oltre San Lazzaro, un piccolo presepe vivente, a venti minuti dal centro. Un paesino che adesso si sente gemellato con tutto il mondo, baciato da una grazia misteriosa. E se capitano Zurbriggen o Girardelli a prendere un caffè al bar Centrale fanno finta che sia una cosa normale. La cosa forse non troppo normale è che proprio qui, su questi prati dove la neve, quando c'è, è uno spelacchio da ridere, sia nato lo sciatore dei sogni, il più grande. E Bologna, che con lo sport sonnecchia fra le agonie di un calcio sprofondato nelle cantine del calcio e la pallacanestro che va e viene come una luminaria di Natale, lo guarda con quell'aria un po' distaccata come quando per strada passano Dalla, Morandi o Guccini. E i papà dicono ai bambini: «Guarda mo', quello lì è Alberto Tomba, uno dei nostri», come se fosse scontato che tutti quelli che vengono giù con gli sci dalla discesa di San Luca prima o poi diventino il numero uno del mondo.
«Tomba? Un po' borazzo ma simpatico», dicono sotto i portici del centro. Dove per borazzo da queste parti s'intende il semplicione, un po' grezzo, un po' ruvido, ma con i soldi (mentre invece il tarazzo è la stessa cosa ma senza soldi e con la sveglia che suona tutte le mattine alle 7). Bologna adesso frigge per il bambinone cresciuto a omogeneizzati e tagliatelle al ragù, che l'altra sera era all'hobby One a ballare, che «l'ho visto l'altra mattina a prendere il giornale», che dopodomani la Marisa fa una festa e forse viene anche lui. E che prova a vincere un'altra Olimpiade.
Una storia facile facile quella di Alberto Tomba. Come il refrain di una canzone orecchiabile. E piace perché tutti, pensandoci, dicono: «Ma quello potevo essere io». Come si diventa Tomba? Oppure A.T. come lo chiamano ormai all'americana. Tanto per cominciare si nasce appunto a Castel de' Britti, dove ci vuole un parroco che suona le campane della chiesa per annunciare la vittoria, esattamente come fa quello di Maranello per la Ferrari. Famiglia che sta bene. Il padre, Franco, ha un negozio di abbigliamento in via Indipendenza, Bologna centro, che si chiama Minarelli e che fa chic nel passaggio del sabato pomeriggio. Tomba, gente simpatica, diretta, senza tante ciance. La villa a Cortina, la villa a Milano Marittima e l'avanti indré con Castel de' Britti. Alberto è subito Albertone fin da piccolo. Arriva a casa tutte le sere con le ginocchia sbucciate e allora papà Franco prova a mettergli un paio di sci per vedere se scivola meglio. Mamma Grazia dice «vai piano», ma soprattutto non dice di no. Ci siamo. Le piste dell'appennino sono a un'ora di macchina e allora si va. Corno alle Scale, Sestola, primi campetti, primi paletti, prime gare. C'è anche Giusy Mondini, viene da Modena, dicono che sia più bravo di Alberto che parte sempre per la tangente e va fuori. Il papà di Giusy si chiama Tonino, quello del ristorante Felice che a Modena fa furore. E la famiglia Mondini che socializza subito con i Tomba è una delle chiavi per aprire il fenomeno Alberto. Franco e Tonino fanno a turno ad accompagnare i bimbotti sulle nevi. Per la cronaca Tonino è anche rappresentante della Rossignol ed è poi quel signore che più tardi inventerà Casa Italia e Casa Modena, oasi culinarie dell'emilia ai Mondiali e alle Olimpiadi, dove lambrusco, tortellini e zampone sposano palati stranieri col sapore per poi divorziare col colesterolo.
Giusy Mondini è più bravo ma poi si rompe i legamenti e la carriera si ferma lì. Ma Giusy corre per il Cai Modena che ha come presidente Alberto Marchi, conosciuto come Paletta, un cicalone da grandi baraccate che però in fatto di sci ha l'occhio molto lungo. Il suo negozio, Sola Sport, in centro a Modena è l'ultima frontiera tra la via Emilia e l'abetone. Paletta vede Tomba e intuisce qualcosa. Lo ingaggia nel Cai e comincia a rompere le scatole a Pollacci, il presidente del Comitato della Federsci Emilia Romagna per allargare la selezione regionale e trovare un posto al suo pupillo.
Ce la fa. Solo che l'albertone è un incompiuto ambulante, al quale neppure Siorpaes, il suo maestro di Cortina, riesce a dare un senso. Intertempi da brivido, formidabili, incredibili e poi il solito salto della porta.
Mette il naso nelle giovanili azzurre ma poi va a finire all'abetone a fare una gara di recupero per raccogliere punti. Paletta è disperato. Frase celebre: un tecnico azzurro (Alberto fa: «il peccato lo dico, ma non il peccatore…») fa provare ai ragazzi la posizione ideale da tenere nello slalom. Da fermi. Poi guarda Tomba e gli fa: «Tu sarai un bravo cittadino che sa sciare bene, ti potrai divertire fin che vuoi sulla neve ma scordati assolutamente di diventare un campione».
Intanto Alberto telefona a Paletta: «Oh, Alberto, sono saltato anche oggi». «Ma come», fa Paletta, «mi vuoi dire che scarponi usi?». «Quelli nuovi, vogliono sempre che usi i nuovi», risponde Alberto. Paletta ha un'illuminazione. Fa scendere Tomba, gli fa mettere gli scarponi vecchi e li modifica inserendo una soletta per alzarlo leggermente. Il Mago Zurlì dello sci modenese entra nella leggenda. Alberto non salta più. Il problema adesso è farlo rigare dritto. Bolognese, biassanot, allegrone, sbrindellone. Non esce più dalle porte ma dalle finestre degli alberghi dei ritiri, di notte. Si fa inghiottire dalle ore piccole, poi quando rientra, all'alba, infila sotto la porta dei dirigenti azzurri i soldi della multa. Tanto per velocizzare la procedura.
Sempre in ritardo, mega pellicce, la bella macchina, la bella vita, come un bolognese di città che se la gode e che in più ci sa fare sugli sci. Nei primi due anni di Coppa del Mondo non funziona. Ma c'è un episodio a cavallo del quale praticamente nasce il campione. Dal Cimone a Passo del Lupo, sulle piste di casa, organizzano una gara che si chiama «100 curve», proprio perché bisogna girare 100 volte prima dell'arrivo. È il 1986, Albertone fa un capitombolo storico, poi si rialza e dopo un po' ricade di nuovo come Super Pippo quando fa l'imbranato nei cartoni animati. Poi parte per l'avventura dei Mondiali di Crans Montana. Vien giù bene ma sembra tagliato fuori per la medaglia. A tre porte dalla fine lo svizzero Gaspoz salta e Alberto si trova attorno al collo un bronzo che vale oro e la scritta Cai Modena che invece vale oro per Paletta al quale compare nella pupilla, come d'incanto, il dollaro di Paperone.
Sei slalom e tre giganti vinti in Coppa del Mondo e poi arriva l'oro in gigante e in slalom a Calgary. Nel negozio di via Indipendenza comincia il pellegrinaggio dei sudditi, tenuti a bada da Marco, il fratello. Alberto ora ha 25 anni, è fidanzato con Cristina che lavora come commessa da Benetton sotto le Due Torri. Anche lei diventa famosa e finisce su Novella 2000. Il campanile di Castel de' Britti suona continuamente. Papà Franco pianta una foresta di alberi in giardino.
A Sestola cresce e prospera il Tomba club, fondato da Luigi Pagliai, titolare di un'agenzia di viaggi. Poi c'è Andrea Magnani, c'è Luigi Quattrini, responsabile degli impianti del Cimone, c'è Aurelio Magnani, conosciuto come «quello del gatto delle nevi», poi Mauro Boselli, Paolo Biolchini. Sono gli amici che sciavano con lui, che hanno deciso di seguirlo trasformando gli arrivi della corsa in curve da stadio. Oggi i soci sono oltre mille e arrivano da tutta Italia.
«Bello carico», dice Alberto al cancelletto prima della gara e «Bello carico» diventa lo slogan dei tifosi. Si chiamano così un bar di Sestola, una linea di abbigliamento e un vino. Ma la banda di Sestola a volte diventa molesta perché sbriciola il silenzio della corsa con urlacci da osteria. Zurbriggen durante uno slalom viene fischiato mentre scende e si arrabbia. Il Tomba club gli chiede ufficialmente scusa e lo fa socio onorario. Il fenomeno si dilata a vista d'occhio. C'è Emanuela, una ragazza di Napoli, che delira per la «Bomba». Arriva a Sestola accompagnata dalla mamma, lei parte con quelli del club per seguire le gare in capo al mondo