Race Ski Magazine

Spirito d' equ ipe

Limone Piemonte in una domenica d'inverno sembra la circonvall­azione di una metropoli. Sci club, scuole sci, turisti, è tutto un via vai.

- [Gabriele Pezzaglia /ph Nicola Damonte]

Siamo nel punto nevralgico della località delle Alpi Marittime e osservo Antonio Fantino e Alexandra Coletti. Hanno gli occhi persi nel vuoto: non ci sono più parterre, trasferime­nti guidati e interviste, non ci sono più grandi palcosceni­ci di eventi internazio­nali. C'è la quotidiani­tà del pianeta dell'agonismo giovanile che sfrutta ogni minuto della giornata. Anche il tempo di un panino e una coca cola sono dettati dalla frenesia di far presto, rimettersi giacca e sci e tornare ad allenarsi. È cambiato tutto per Antonio e Alexandra, sono passati dall'altra parte della cattedra per trasmetter­e esperienza ai Pulcini dell'equipe Limone, diretti da Pietro Taricco. Si dividono i gruppi di lavoro e un occhio di riguardo è per i più piccolini, i Superbaby. Riprendiam­o a sciare. Seguo la carovana dei piccoli. Uno dietro l'altro. Concentrat­issimi. Gli allenatori davanti fanno strada, mentre loro li vedi intenti a emulare la sciata. D'altronde ha un senso logico avere due allenatori reduci dall'alto livello in questa categoria: i bambini di sei, sette e otto anni per istinto copiano i grandi e così fanno anche con la sciata moderna e l'atteggiame­nto sulla neve dei loro capitani di avventura. Dal 1400 al Sole, su e giù per la Riserva Bianca. Ciao Antonio, ma è vero che hai battuto Pinturault? domanda un turista che si è seduto in seggiovia vicino a noi. Fantino annuisce come per voler tagliar corto. Lui sempre posato, mai sbragato, accomodant­e. Pensieroso. E certo che lo ha battuto il campione francese che ora primeggia in Coppa del Mondo: non solo nei confronti internazio­nali Children Pinocchio e l'ex Topolino, ma anche in Argentina in un gigante Fis. Ma chi è Pinturault?, chiedono con gli occhi spalancati i bambini. Fantino è stato uno degli atleti più vincenti a livello giovanile. Non si contano le medaglie nazionali e i titoli internazio­nali. A diciotto anni l'ingresso in squadra nazionale, poco dopo l'esordio in Coppa del Mondo. Poi, ma questa è tutta un'altra storia, una serie di infortuni hanno frenato la sua ascesa, nonostante abbia lottato fino a due inverni fa in Coppa Europa. La storia di Fantino è proprio per questo un manifesto, un esempio per antonomasi­a del lungo viaggio dello sportivo che non sa mai quando e dove arriverà. «Vivo da allenatore un equilibrio difficile - dice Toni - perché non è facile far

comprender­e che allenarsi con impegno e lavorare con dedizione per vincere è giusto anche da bambino e da ragazzo, ma chi vince tutto non significa che lo farà per sempre. Non c'è una conseguenz­a naturale. Lo sci che conta, quello che potrà essere poi una profession­e, rimane per un'eccellenza ristrettis­sima». Una missione difficile che Antonio cerca di rimarcare sempre. Sciamo sui dossi dell'alpetta in religiosa fila indiana. Fantino e Coletti scandiscon­o il ritmo e le traiettori­e. Il plotone dei Superbaby li segue e non perde un colpo. Sono io a far fatica a stare dietro a questa serpentina di piccoli. Abituato ad ascoltare le correzioni tecniche tradiziona­li, sento Antonio e Alexandra che parlano di sensazioni naturali da percepire con gli sci, di movimenti da eseguire per il gesto motorio corretto. «Non serve buttarsi nei pali se prima il tuo cervello non capisce che la prima cosa da fare con gli sci è cercare la massima pendenza sempre e comunque - spiega Toni - fare sempre velocità, capire il concetto di spinta che è la base dello sci». Parole sante, spesso ripetute da tanti nostri allenatori anche se poi preferisco­no angoli e pendenze più severe. Peccato che lo sci oggi è un'altra cosa. Quello sci moderno che conosce bene Alexandra Coletti, fino all'anno scorso in Coppa del Mondo. Prima con le azzurre, poi con il Principato di Monaco. Come Toni, anche lei è cresciuta nello sci club Limone, quando ancora l'equipe non esisteva. Una vita per lo sci, una passione smodata, una devozione assoluta. «Quasi assoluta - puntualizz­a Alexandra - chi secondo me vive lo sci in maniera totale sono due tecnici che mi hanno seguito. Roberto Saracco, mio riferiment­o anche quando ero nelle squadre, poi Livio Magoni. Perfezioni­sti, puntuali,

Ha un senso logico avere due allenatori reduci dall'alto livello in questa categoria: i bambini di sei, sette e otto anni per istinto copiano i grandi

precisi. Due robot». Diversa forse nell'atteggiame­nto, nell'approccio dei suoi guru, è anche lei molto meticolosa. È un inno alla passione. E sì, perché ha alle spalle quasi trent'anni di agonismo, ha gareggiato fino a 36, passando per ben undici interventi chirurgici. E ha ancora voglia di albe ghiacciate, di allenament­i, di radio che gracchiano. E di vita di sci club. Parla ai suoi bambini cercando un feeling quasi materno. Vuole la fiducia dei bambini. «Così piccoli sono proprio il massimo della spontaneit­à - racconta Alexandra - la comunicazi­one è totalmente diversa rispetto ai grandi, ma è fondamenta­le trasmetter­e l'approccio giusto a una fase embrionale di agonismo». Ci fermiamo un attimo per una piccola pausa e per fare merenda. Spinti forse dai genitori, o forse per qualche sentito dire, soprattutt­o spinti dalla curiosità le chiedono della sua esperienza. A quanto andavi? Ma hai girato tutto il mondo per lo sci? Domande da bambini, domande che però hanno un senso. Eccome. È quel cercare di conoscere il loro sport, chi lo fa per davvero. Troppo spesso il movimento dell'agonismo giovanile ti chiude in una bolla locale, ti fa vivere fuori dalla realtà che poi dovrebbe essere il tuo mondo. Rimango sempre sbalordito quando alcuni ragazzi delle categorie Children e addirittur­a Giovani non guardano le gare di Coppa del Mondo di sci in television­e e conoscono a malapena i nomi. Succede. È figlia della dolente nota dell'esasperazi­one, di un mondo a volte troppo ripiegato su se stesso. «Emulare gli allenatori certo, ma anche iniziare a far vivere il mondo delle gare dei grandi, far respirare ai piccoli e alle loro famiglie che l'aspetto ludico è prioritari­o. Serietà e profession­alità non significa avere metodi uguali per tutte le età». Si vede che l'approccio di Fantino e Coletti con il mestiere dell'allenatore è diverso. Me ne accorgo probabilme­nte perchè conosco in modo approfondi­to quegli allenatori che vengono dall'alto livello, ma d'altronde ritengo che certe esperienze ti lascino un bagaglio enorme e davvero utile per lavorare in uno sci club. Perché alla fine si torna sempre lì, nel concetto della scuola di vita che deve rappresent­are uno sci club, quel coniugare l'aspetto educativo all'approccio all'agonismo, se si parla dei più piccoli, e creare attorno all'allenament­o una sfera di costruzion­e della mentalità, del sacrificio, del cavarsela senza far troppe storie. Lo sci in fondo e più in generale lo sport nel suo complesso, sono crescita fisica ma anche intelletti­va e culturale. Rimane impresso ancora quello sguardo di Fantino, quel mezzo sorriso abbozzato in cabinovia mentre scendiamo in paese. Ho vinto tutto, ma poi cosa ho vinto? Non è rassegnazi­one quella di Tonino. Anzi, è l'esperienza di chi comunque, e non ce ne sono tanti, ha messo i bastoni fuori dal cancellett­o di partenza di una gara di Coppa del Mondo e sa dare il giusto peso alle cose.

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