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Daron Rahlves cosa fa ora?
«Penso di poterti dire che sto ancora vivendo il sogno di essere uno sciatore professionista. Vivo a Truckee in California e scio principalmente a Sugar Bowl Resort a Tahoe. Le mie montagne, una casa. E non ho dubbi nel ritenermi molto fortunato per questo. In questo strano anno sono stato in Europa con la mia famiglia e alcuni amici per conoscerne la cultura e ovviamente per trascorrere bei momenti sciando e seguendo le gare di Coppa del Mondo come a Wengen, Sankt-anton, Kitzbühel, Zauchensee e Schladming. Abbiamo anche visitato la fabbrica Atomic di Altenmarkt insieme al loro Atomic Performance Center. A questo proposito devo dirti che mi è sempre piaciuto mantenere una forte connessione col brand che mi segue e che mi ha aiutato in molti modi durante la mia carriera. E poi trovo bello spiegare e poter mostrare ai miei figli da dove vengono i loro sci, i loro scarponi fino a spiegar loro come vengono fatti. Una volta rientrato a casa ho ripreso ad allenarmi per alcune gare: mi piace ancora quella sensazione di buttar giù curve su sci da gigante e superg. Continuo inoltre a supportare gare di sci giovanile nel mio stato: ho ospitato eventi di sci allo Sugar Bowl chiamati D Money's Poker Run e Quad Crusher Uphill Downhill; amo condividere la mia passione per lo sci con gli altri. All'inizio di marzo ho girato con Ski Magazine a Fernie, in un corso di e-learning Ski The Trees che fornisce suggerimenti per migliorare le abilità fisiche, tattiche e mentali dello sci tra gli alberi».
Cos'è stato per te lo sci e cosa rappresenta oggi? «Le domande semplici a volte si rivelano le più complicate. Per me lo sci è libertà o comunque un insieme di sensazioni connesse a essa. Sciare è avventura e sfida. Penso sia per questo motivo che condividere le esperienze outdoor con amici e famiglia si trasformi in pura gioia, un lifestyle che non posso che amare. Credo sia sempre stato così per me».
Qual è il tuo rapporto con la velocità?
«Ahhhh la velocità! Pure speed! Yesss! Più veloce vai, più tutto diventa intenso e richiede concentrazione e attenzione. Essere focalizzati su quello che stai facendo, quella scarica di adrenalina che senti quando sei al limite, è eccitante: non posso farne a meno».
Ora forse iniziamo a capire cosa ti ha spinto al progetto Race the Face con Jeremie Heitz. Abbiamo ancora tutti negli occhi il contrasto di quelle pieghe sugli spigoli tra le porte e quel pendio alpino così ripido. Come se due mondi si unissero. Un'idea molto anni '80 per certi versi eppure così moderna per il modo di sciare che Jeremie sta portando avanti e per come uno sciatore come te si è messo in gioco su un terreno non propriamente preparato. «L'idea è stata di Jeremie, poi grazie al supporto di Red Bull è diventata realtà. Dal mio canto ho sempre avuto il sogno di gareggiare giù da una big mountain. Così quando sono stato invitato a partecipare a questo progetto, bam, Eccomi. Heitz è uno sciatore fenomenale, davvero pazzesco e anche molto preparato dal punto di vista alpinistico. Nutro molto rispetto verso di lui per questo motivo. Ho vissuto questa esperienza proprio come una possibilità sia per divertirmi, sia per imparare molte cose. Abbiamo studiato la pista come si fa per le gare. In realtà abbiamo risalito tutta la parete del Hobarghorn prima di sciarla. Diciamo che così ci siamo scaldati! (ride, ndr).
Inoltre percorrere tutto il pendio mi ha dato modo di osservare la linea, capire le condizioni. Fondamentale per mettere insieme un piano per sciare solidi e veloci».
Quali sono state le difficoltà?
«La parte più difficile è stata caricarci i nostri zaini e avvicinarci al gate di partenza. Strano, ma avevo il timore che il pannello del cancello catturasse lo zaino e innescasse una rotazione della parte superiore del nostro corpo, il che avrebbe innescato un brutto incidente. La pendenza era costante da cima a fondo e la neve è stata l'ideale, quindi perfetta per il nostro progetto. In partenza avevo le solite farfalle allo stomaco e le gambe tremanti, ma appena ho calciato mi sono sentito forte e pronto ad attaccare. Come in gara».
Quindi come è stato per te sciare una parete alpina così aperta e ripida?
«Con quella polvere compressa è stato perfetto, è andato tutto liscio, quasi in dolcezza. Mi sono sentito veramente bene. Bellissimo».
Toglici una curiosità, pratichi abitualmente lo sci-alpinismo?
«Sinceramente no. Questa infatti è stata una grande opportunità per me, seppur così particolare. Con Jeremie Heitz ho imparato un sacco di cose. Il mio allenamento