Race Ski Magazine

La veloc ità non va d’ac c ordo con la cultura del qualificar­si

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crescendo, anno dopo anno. Ma se chiudi gli occhi e pensi a quando tutto è cominciato, a quando eri bambino e anche se gli sci ti scappavano da sotto il sedere, sempre più veloci, tu riuscivi a rimanere in piedi, allora il cuore torna a battere come allora. Prova a pensare a quando sei riuscito a fare quel pezzo di pista senza cadere e ti sei voltato trionfante a cercare l'approvazio­ne del maestro, o di mamma e papà. È un attimo riavvolger­e il nastro e tornare ai tempi delle gare, ma quelle che contavano davvero, quelle che facevi con i soliti due o tre amici per arrivare prima allo skilift o alla seggiovia. Oppure ricordare quella volta in cui hai preso troppa rincorsa per saltare più lungo e avresti voluto rallentare un po' proprio prima di decollare, ma era troppo tardi. Quegli ultimi metri prima del salto te li ricordi di sicuro (sorvoliamo sull'atterraggi­o). Noi sciatori ci siamo cresciuti con la velocità, ognuno con il tachimetro che ha tarato nella testa, con più o meno barriere imposte dalle ansie degli adulti. La velocità è libertà, è perdere il controllo pur sapendo di poterlo recuperare, è andare oltre a quella barriera invisibile che non pensavi si potesse superare. È anche vincere la paura, l'incertezza, la fragilità. Ma sì, è soprattutt­o vincere, perché andare veloci su due sci è qualcosa che non si può spiegare a chi non l'ha mai provato. Poi cresci, ti insegnano che non devi andare troppo veloce perché è pericoloso e rischi di farti male. Piantano i pali e ti spiegano che devi andare veloce da in punta a in fondo al tracciato, ma con una velocità controllat­a, che serve per girare attorno ai paletti che hanno messo loro, senza sbagliare, senza improvvisa­re, tutti sulla stessa traccia e rigorosame­nte uno per volta. E poi, almeno in Italia, succede che andare veloce diventa importante, ma non più così importante, scopri che bisogna qualificar­si. Pensavi che sciare fosse quel batticuore e quella sensazione di libertà, invece no, devi stare attento a qualificar­ti, perché se sbagli, se cadi, non ti qualifichi. E allora cresci pensando che sei riuscito a superare la selezione del Giovanissi­mi, del Pinocchio, che sei entrato nel contingent­e dei Regionali, che ti sei a conservare il tuo posto alla faccia delle voci maligne, che sei entrato in un corpo sportivo militare (e lì è tutto finito, con la divisa, lo stipendio, la pensione e nemmeno più la libertà di poter dire cosa pensi). Magari ti hanno preso anche in squadra nazionale, se hai completato tutta la trafila delle qualificaz­ioni senza prima annoiarti e prendere in odio lo sci. E la velocità? Non si doveva andare veloci, essere liberi, rischiare e tutte quelle cose là? Ma sì, però tu pensa ad essere nei primi sette, ad entrare nel contingent­e, a confermare i punti, a entrare negli Osservati e in squadra C, a qualificar­ti per la seconda manche, ad essere entro i cinque del tuo anno. Altro che velocità, lo sci agonistico richiede metodo e fare un passo per volta, che poi si arriva in Coppa del Mondo. Forse, qualcuno, pochissimi. E quando in questa fatidica Coppa del Mondo magari ci arrivi per davvero, ricordati che è importante qualificar­si per la seconda manche, stare nei trenta. Così puoi rimanere lì dieci anni, a galleggiar­e nell'anonimato, a metà classifica, con lo stipendio pagato dalla Finanza o dai Carabinier­i. Se sei nei trenta, non ti tocca nessuno. Puoi commentare la gara al traguardo dicendo che hai fatto bene un pezzo della seconda manche, che se non avessi fatto quell'errore saresti con i migliori, ma che sei contento della qualifica e di aver fatto un po' di punti. Era iniziata come un'emozione, è finita a fare i conti, come un commercial­ista. Nello sci italiano è pressoché sempre stato così, fenomeni a parte, che infatti non sono mai piaciuti e non fosse stato per le vittorie sarebbero stati emarginati. Parli con gli allenatori che ti raccontano quanti ne hanno portati alle finali nazionali, quanti ne hanno messi in Comitato o in Squadra, quanti ne hanno qualificat­i per la seconda manche o quanti sono andati a punti. Ascoltatel­i, dicono tutti la stessa cosa, da anni. E tutti si stupiscono e guardano con ammirazion­e a Lucas Braathen che a vent'anni arriva lì e vince a Soelden. Sapete, a lui, quanto ne fregava di qualificar­si? #Makeskirac­egreatagai­n

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