LUCA DE LAGIORNATA ALIPRANDINI DELLA VITA
Ce l’abbiamo fatta. Guardami, abbracciami. È tutto vero. Non parla Luca, ma lo dicono i suoi occhi pieni di lacrime ancora trattenute, mentre cerca lo sguardo di Mathieu Faivre. Luca si accascia sulle gambe, si piega, quasi si inchina per stringerlo a sé e scoppiare in un pianto liberatorio. Sono amici Luca e Mathieu. Hanno condiviso mille battaglie, iniziato insieme il percorso in Coppa del Mondo grazie a quella stagione nel circuito continentale nove anni fa, in cui hanno dominato la classifica di gigante e acquisito il diritto per partecipare l'anno successivo alla massima serie.
È stato un lungo viaggio Luca. Da quello sguardo fiero su quel podio di La Thuile dove si celebravano le finali di Coppa Europa, a quell’abbraccio interminabile nel parterre d’arrivo di Cortina 2021 con il transalpino campione del mondo. Un lungo viaggio verso la maturazione e la crescita tecnica, tattica, mentale, verso la costruzione di un fisico solido ed esplosivo. Un percorso in cui hai scalato le classifiche ma che negli ultimi anni si era incastrato: mancava sempre qualche pezzo. Il traguardo lì vicino, la meta così prossima, ma quel maledetto podio sfuggiva sempre e stava diventando un’ossessione.
Del resto nello sport, come nella vita, dopo un po’ quel non riuscire a progredire diventa un peso, inizia a turbarti. Luca ha sempre provato a fregarsene del risultato, o almeno cercava di comunicare che non era così determinante, ma era consapevole che prima o poi quel segno lo avrebbe potuto lasciare. E in un certo momento si è quasi chiuso a riccio, cercando di allontanare quella responsabilità. Perché diciamocelo, l’ambiente della squadra nazionale di gigante, visti i risultati mediocri da troppi anni, si era affidato essenzialmente al trentino, dipendeva quasi esclusivamente dalle sue performance. Ma Luca, che è una persona generosa anche se può sembrare burbero di primo acchito, si era quasi accollato il peso di un movimento. Al punto che in alcune dichiarazioni e addirittura in un messaggio whatsapp personale rimandava al mittente attacchi, respingeva processi, cercava di fare da scudo su tutta la squadra, difendendola senza tentennamenti. Perché di questa squadra rimane il capitano, il vero punto di riferimento avendola vissuta negli anni più di ogni suo compagno e membro dello staff che sistematicamente veniva cambiato. La medaglia d’argento di De Aliprandini ha una forza e una carica, una magia straordinaria. Arriva nel momento e posto giusto, ripaga da mille sacrifici, incomprensioni, crisi e anni in cui il sistema del gigante italiano era sotto processo. Quelle lacrime al traguardo, su quel volto paonazzo, non solo per la fatica ma anche per il calore del sole primaverile, quei crampi nelle gambe ma anche allo stomaco, hanno sancito una liberazione.
Uno stato d’animo, una pienezza interiore, che va oltre al risultato già maestoso così. Non era favorito Finferlo, come lo chiamano da sempre nel giro azzurro, non era un predestinato a salire sul podio iridato. L’allenatore responsabile del team Roberto Lorenzi ce lo ripeteva. Mancava ancora quel benedetto pezzo. E così, per non caricarlo di responsabilità eccessiva, ha cercato di impostare con gli altri tecnici Giancarlo Bergamelli e Walter Girardi una tattica di gara normale. La Labirinti, un pendio che meriterebbe di essere promosso a tappa fissa di Coppa del Mondo, presentava tre sezioni. Il muro iniziale, un budello buio nella seconda, una parte finale più dolce che spianava fino all’arrivo. Il piano di battaglia impostato alla vigilia e ripassato durante la ricognizione era chiaro: vietato partire con troppa foga, evitando l’errore di Luca di strafare dall’inizio, prendere le misure nei primi passaggi, trovare confidenza con il manto, poi attaccare cercando di non commettere errori di linea che tante, troppe volte hanno fatto scivolare il trentino. De Aliprandini ha messo tutto questo in atto, consapevole e convinto, condividendo questa strategia e fidandosi di chi aveva intorno. La forma nelle settimane della vigilia c’era. Eccome se c’era. D’altronde la sciata solida è sempre stata una sua caratteristica, ma quello che stava diventando un problema era unire due manche efficaci. La Labirinti si presentava come l’occasione della vita per cancellare paure, stravolgere pronostici, dimenticare débâcle che stavano segnando la sua carriera. La delusione della deragliata di Adelboden tredici mesi fa, dopo aver dominato nella prima manche, era ancora un macigno pesante, un boccone amaro digerito a fatica nel tempo. Il grande giorno a Cortina rappresentava l’opportunità per levarsi le stigmate dell’incompiutezza e della volatilità, del non riuscire a finalizzare. Dell’essere bravo sciatore, ma non un campione dello sci che poteva essere ricordato per un’impresa antologica.
E di questa ghiotta occasione ne era consapevole il preparatore del team Giuliano Ravera, che più di ogni altra gara è stato vicino a Luca. Un angelo custode, lo ha scortato dall’albergo fino alla cabinovia. Stava per albeggiare, il cielo faceva presagire una giornata serena. Chiacchiere e divagazioni sul motocross come sempre, questa volta ancora di più perché Luca è innamorato del motocross e nel tempo libero lo pratica proprio come Giuliano. Prima della ricognizione quattro curve in campo libero e sono bastate quelle traiettorie disegnate con estrema essenzialità a far capire ai tecnici che poteva essere un grande giorno, finalmente diverso, quello in cui, come sempre raccontava Luca, si doveva fare un’altra gara, perché quelli lì davanti fanno a volte un altro sport. La prima manche? Detto fatto. Luca è un computer per la prima volta: muro in controllo, poi senza calcoli dallo Scarpadon al traguardo. Secondo dietro ad Alexis Pinturault, ma vinta una battaglia c'era da affrontare la guerra.