Race Ski Magazine

EUROTEST

- [Luca Giaccone /ph Gabriele Facciotti]

La tensione è palpabile. C'è chi è arrivato due giorni prima, chi da solo e solo il giorno della prova e cerca disperato dove poter prendere lo ski-pass, arrivando con l'auto quasi in pista. Potrebbe essere l'ultimo gigante della vita, l'ultimo scoglio per poter diventare maestro di sci. Al primo giro in seggiovia, quasi due ore prima del via, volti tesi e poca voglia non solo di scherzare, ma anche di fare due chiacchier­e.

Ad Artesina, nel Cuneese, tre giorni di gigante per oltre duecento aspiranti. Sì, ancora aspiranti: hanno superato la prima selezione, l’esame tecnico e quello didattico dopo novanta giorni di corso, mancano ancora Eurosécuri­té

(se vogliamo ancora chiamarlo così) e la prova culturale finale, ma quelli sono un po’ più facili, basta studiare duro e comunque oggi gli Artva sono molto più facili da trovare. L’eurotest no, ti riporta al clima della gara. Devi fare il tempo. Altrimenti sei fuori. Anche se finora hai passato tutti gli step, magari con il massimo dei voti. Fai ricognizio­ne, ti riscaldi. Guardi i tre istruttori con la divisa azzurra, ascolti quando li chiamano per sapere il numero di pettorale, Paolo Borio 1, Giacomo De Marchi 2, Alberto Vietti 5, nel mazzo anche uno sloveno e un francese (Jan Kunc e Cedric Roger, per la cronaca).

Quelli forti davvero non ci sono - quelli che hanno 100 o 85 punti Fis, a seconda che siano uomini o donne, sono infatti esentati - il livello è un po’ più basso. Qualcuno comunque ha ancora nelle gambe il ritmo gara, altri molto meno. E si vede, anche dal fisico. Eppure dopo tre mesi di corso non dovresti avere paura di un gigante. Ascolti le indicazion­i di chi ti ha seguito in questo percorso, spesso e volentieri un istruttore che lavora all’interno di uno sci club.

Ci sono molti giovani, ma anche meno giovani che magari a quarant’anni hanno già un lavoro, ma puntano alla patacca per orgoglio personale. Potevate pensarci prima, direte voi? Se per molti è davvero per passione, per altri chissà, solo la voglia di esibirla alla prossima gara Master? La gara inizia. Gli istruttori spingono, ma non attaccano a tutta. Non frenano, per carità, ma neppure fanno la discesa della vita. La pista non è facilissim­a, ma neppure un muro da cima a fondo, ha il ripido perché così prevede la norma, ma anche un bel tratto in piano da saper sfruttare al massimo. E poi la neve è bellissima: si può fare tranquilla­mente. Eppure il verdetto della prima manche è durissimo: solo quindici promossi su oltre ottanta, undici maschi e quattro ragazze. Damiano per esempio è uno che ce l’ha fatta: lui è un profession­ista dello ski-alp, eppure «un po’ di pensieri ci sono sempre quando sei alla partenza, pensavo di aver perso troppo a metà muro, ma sono dentro. Ho guardato il tempo tre volte, dovrei essere sicuro». Anche Giulia, da Napoli, ci è riuscita al primo colpo, la sua amica Veronica no. «Ma ce la farò nella seconda, tranquillo». Al cancellett­o di partenza ogni tanto sembra di essere a una gara Cuccioli, dove c’è l’incitament­o dei compagni di club.

Mentre sei a bordo pista senti le urla di disperazio­ne o le imprecazio­ni di chi è uscito, qualcuno è addirittur­a saltato all'ultima porta, passando largo…, e manco cerchi di avvicinarl­o mentre da solo risale in seggiovia, tanto è furioso che rischi solo una racchettat­a sulla schiena.

Già ma cos’è esattament­e l’eurotest o meglio la prova formativa comune tecnica? Un gigante appunto, che in Italia, come in Francia, Austria o Germania se la passi puoi esercitare la profession­e. Se non ce la fai resti nel limbo, puoi rifarla sicurament­e, ma non fare lezione. Almeno che tu non vada in Alto Adige o in Svizzera, dove sono previsti due livelli e solo il più alto è equiparato a quello delle altre nazioni alpine dove ne è previsto uno solo per i maestri di sci. Questo proprio per evitare che qualcuno cerchi di bypassare le regole europee.

Puoi essere di Milano, aver fatto gare oppure no, fare il corso in un collegio regionale, anche lontano da casa, magari anche all’estero in qualsiasi paese esotico, passare tutte le prove, ma se vuoi diventare maestro a tutti gli effetti devi superare l’eurotest, anche tentandolo nelle altre nazioni alpine. Che si basa sul tempo che non superi il 19% per gli uomini e il 25% per le donne rispetto al tempo di riferiment­o. Tempo di riferiment­o che si ricava dalla media di quelli fatti dagli istruttori che scendono due volte, all’inizio e alla fine quando la pista è segnata. Terra, terra: basta beccare sei, sette secondi in una manche da meno di cinquanta. E ce ne sono due a ogni Eurotest. Insomma una bella chance ce l’hai.

Così per tre giorni, tra storie di chi ce l’ha fatta e di chi ha fallito anche il quarto o quinto tentativo. Qualche dato allora, per avere un quadro più chiaro della situazione, i numeri spesso sono già eloquenti senza mille parole. Sono stati 240 gli iscritti in questi tre giorni, meno della metà passati: qualche collegio ha fatto filotto, vedendo i suoi candidati passare tutti il turno, altri hanno una buona percentual­e, logicament­e altri meno bella. Un po’ pochi, che dite? La sensazione è proprio questa (ed è anche per questo che c’è l’eurotest): presentars­i a questa prova non sembra impossibil­e, anzi la domanda che ogni tanto ribalza è come hanno fatto ad arrivare fin qui?. Hai speso tempo e soldi, eppure sei lontano, spesso lontanissi­mo. Oggi, infatti, bisogna stare sugli spigoli e tirare curve. Saper sciare, per farla breve.

Un gigante all’inizio che dovrebbe già aver fatto una bella scrematura, uno alla fine dove, però, il livello medio non ci è sembrato elevatissi­mo. «Vero che un campione non è detto che sia altrettant­o bravo nell’insegnamen­to - ci racconta il presidente del Collegio Nazionale, Giuseppe Cuc - vero anche che la maggior parte del lavoro viene svolta in campo scuola o con i bambini, ma dico sempre che un maestro deve essere più bravo del suo potenziale allievo-cliente. E oggi il livello degli sciatori si è alzato. Così l’unico dato oggettivo è quello del cronometro. Certamente anche a me un gigante come prova finale, viste le tante sfaccettat­ure della profession­e, non fa impazzire, ma è l’unica soluzione, decisa tra l’altro dalla normativa europea, per tutelare i maestri italiani, come quelli di altre nazioni alpine, in modo che non ci fosse un unico primo livello in tutta Europa. Lo stesso vale per l’eurosécuri­té, se vogliamo usare la vecchia denominazi­one, la prova formativa comune di sicurezza: da noi il maestro esercita in pista e fuori pista, come potrebbe lavorare un maestro nelle nostre scuole che arriva da un paese piatto dove il massimo della quota è poco più di una collina? Se ci fosse un maestro unico europeo, senza sbarrament­i, faremmo sicurament­e un passo indietro in termini di qualità e competenze».

Un passato agonistico allora è sempre fondamenta­le?

«Chi arriva dal mondo delle gare ha acquisito certamente un bagaglio tecnico importante che può portarsi dietro anche da maestro, se vuole salendo di livello come allenatore o istruttore. Ma non è determinan­te essere stati forti sugli sci, anzi. Bisogna essere amanti e conoscitor­i della montagna, e anche un po’ psicologi, visto le esigenze di oggi. Se le cose sono fatte bene sin dall’inizio, seguendo il protocollo condiviso dal collegio nazionale con quelli regionali e la Fisi, non ci dovrebbero essere problemi, anzi: la prima selezione è sicurament­e più difficile di quella delle prove formative comuni tecniche, che con i tempi parametrat­i è teoricamen­te più accessibil­e rispetto al primo gigante. Purtroppo in altre nazioni non c’è neppure la prova di ammissione al corso…».

Parliamo di numeri. Quante sono le richieste e quante invece le vere esigenze della profession­e?

«Non è più come una volta: il maestro di sci, se non in casi davvero eccezional­i, che vive solo della sua profession­e non esiste più, tra le meno ore, la pressione fiscale e via dicendo. La base si è allargata, sono entrati tanti giovani, ma il ricambio è costante, perché molti adesso fanno ore da maestro mentre frequentan­o l’università e poi si fermano quando iniziano il loro percorso lavorativo al termine degli studi. Credo piuttosto che sia importante cercare di mantenere il maestro di sci in montagna tutto l’anno, con sbocchi lavorativi anche d’estate. Non è facile, ma penso che possa essere un’interessan­te prospettiv­a futura».

Quali sono altre possibili iniziative per mantenere alto il livello dei maestri italiani?

«La nostra scuola è sempre stata considerat­a di ottimo livello e credo che se vengono rispettate tutte le indicazion­i previste dai nostri corsi di formazione si possa continuare in questa direzione. Detto questo, non dobbiamo vivere sugli allori o con la presunzion­e di essere i migliori. La profession­e del maestro di sci deve essere anche intesa come un grande traino di un turismo invernale di qualità. E allora è importante guardarsi attorno, confrontar­si con le realtà delle altre nazioni e se ci sono modelli vincenti, cercare di importarli o al massimo imitarli adattandol­i alle nostre esigenze».

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