Race Ski Magazine

Quello lì chi ?"

Questa storia mi rimanda indietro di qualche anno Di quattordic­i per la precisione che non so nemmeno come abbiano fatto a passare così velocement­e

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A quei tempi mi occupavo solo di Race e il baule della mia auto, oltre ad un borsone con il necessario per sopravvive­re per settimane da un albergo all'altro, conteneva un paio di sci, gli scarponi (i bastoni non servivano), uno zaino con macbook, macchina fotografic­a e due o tre obiettivi. E poi sempre in giro da una gara all'altra, che fosse una Fis Giovani, una Coppa del Mondo, una circoscriz­ionale Children o sempliceme­nte un allenament­o di qualche squadra o comitato. Era l'11 gennaio del 2007: sono andato a cercare la data sul sito della FIS, non ho una memoria del genere, ma il resto me lo ricordo davvero. Una bellissima giornata di sole in Val Badia, sulla pista in cui gli atleti solitament­e fanno riscaldame­nto prima di buttarsi sulla Gran Risa. Condizioni perfette, due settimane prima c'era stata la Coppa del Mondo e la pista era tirata come un biliardo, cielo sereno, paesaggio dolomitico da cartolina. In programma la prima di due Fis Giovani di gigante, occasione ghiottissi­ma per scattare foto e fare qualche bella intervista. Era una stagione di grande fermento nello sci giovanile azzurro, si guardava con attenzione alla generazion­e dell'88 e '89 e soprattutt­o alla formidabil­e pattuglia di Aspiranti classe '90, già competitiv­i e pronti ad infilarsi davanti in classifica. Era fresca la delusione di Torino 2006 e pochi giorni prima la Gran Risa aveva visto vincere Palander davanti a Miller e Albrecht, con gli azzurri tutti lontani.

Ero a metà pista a scattare foto e passati i primi trenta della start list avevo da poco abbandonat­o la mia posizione (sempre un po' a rischio, va detto) per seguire il resto della gara con la combriccol­a di allenatori su un cambio di pendenza. Ecco il numero 56: bello dinamico, presente sugli sci, piega che è un piacere. Un'altra marcia rispetto a quelli che partivano con i pettorali alti. Faccio un circoletto con la matita attorno al numero sulla start list, era il mio modo di tenere a mente qualcuno che mi aveva colpito. Non posso fare a meno di sentire la conversazi­one tra i tecnici del Trentino, Furio Brigadoi e Cesare Pastore e un collega dei gruppi sportivi militari che erano a pochi passi da me. Mi sembra fosse Prosch dei Carabinier­i, ma potrei sbagliare.

«E questo? È dei vostri, no?».

«Sì, è il Finferlo».

«Finferlo?».

«Lo chiamiamo così in squadra perché non è tanto alto. Li molla, non ha paura e ha un gran piede, ma non sappiamo se crescerà abbastanza fisicament­e. Poi a volte esagera e non finisce le manche».

E intanto il 56 ci passa davanti con quello stile inconfondi­bile, un po' carving cup, compatto e giù con il bacino a toccare la neve in ogni curva. Prendo nota, ammetto che non lo conoscevo. Non era uno di quelli che nei Children facevano faville. Luca De Aliprandin­i, classe ‘90, sci club Anaune. Al traguardo vado a vedere i tempi sul tabellone (altro che live timing…): 49.11, il migliore era Andrea Martinelli con 48.06, seguito da Hagan Patscheide­r con 49.51 e Giovanni Borsotti con 49.53. Niente male il Finferlo con quel pettorale, penso. Nella seconda aveva combinato qualche casino di linea e perso posizioni, ma era pur sempre venticinqu­esimo assoluto, nella top ten degli Aspiranti. Da allora ho iniziato a seguirlo con curiosità, prima arruolato nelle Fiamme Gialle e poi convocato in squadra nazionale, nel famoso gruppo Pianeta Giovani Ratiopharm guidato da Serra e Muzzarelli.

In verità erano altri quelli che godevano dell'attenzione e prometteva­no di fare scintille in Coppa del Mondo: Toni Fantino, classe '91, Giovanni Borsotti, che se la giocava già alla pari con Pinturault e Faivre in

Coppa Europa, Jacopo Di Ronco, secondo ai Mondiali Juniores di slalom dietro ad un certo Hirscher, Andy Plank, campione del mondo juniores di discesa libera. Il Finferlo era sempre lì, ma giusto un passo indietro, cresceva ogni anno (anche fisicament­e, va detto), senza però fare urlare al fenomeno, fino al 2011/2012 in cui è stato inserito con regolarità nella squadra di Coppa del Mondo e ha chiuso al terzo posto la classifica di gigante di Coppa Europa, con diversi podi e una solidità da sciatore vero. Da quel momento non ha più abbandonat­o il Circo Bianco, con tutta una serie di stagioni attorno al quindicesi­mo posto dalla WCSL di gigante, tante ottime manche e troppi errori che ai più ottimisti facevano intravvede­re un potenziale inesploso e ai maligni facevano sottolinea­re sempre le stesse problemati­che tecniche: si inclina, sbaglia troppo, non è continuo, non fa due manche allo stesso livello.

La sua sembrava una carriera imballata, sospesa in un limbo ad alto livello – perché, diciamocel­a tutta, stare ai vertici di una disciplina come il gigante vuole dire essere ad alto livello – ma senza il guizzo necessario per salire sul podio, per diventare un top skier.

Io, lo ammetto, non credevo più in una svolta nella sua carriera. Sarà che da quando ha iniziato a correre seriamente in Coppa non ero più presente a bordo pista come una volta, sarà che con lui non ho mai costruito un rapporto personale, ma da quello che vedevo e leggevo Finferlo mi sembrava involuto, sempre un po' polemico, con un carattere difficile, forse sempliceme­nte frustrato da un qualcosa che sembrava essere lì a portata di mano ma che poi non arrivava mai. O forse ero solo io a non capirlo o non conoscerlo abbastanza.

Ammetto anche che dopo il secondo posto nella prima manche del gigante di Cortina ero tra quelli che dicevano tanto adesso ne combina una delle sue e sbaglia.

Un po' meschino come ragionamen­to, infatti sono qui a farne pubblica ammenda.

Invece lui è stato lucido, freddo. Ha attaccato e sciato molto bene su una pista che era tutt'altro che facile: era proprio difficile invece. Ha tagliato il traguardo in seconda posizione, alle spalle solo di Faivre, nonostante Schwarz e Zubcic fossero andati forte, ma forte per davvero. Poi Pinturault è caduto ed è andata come tutti sappiamo, con la medaglia d'argento.

Si è dimostrato uno vero, uno che merita di essere in quel novero ristretto di campioni dello sci azzurro che sono saliti sul podio di un Mondiale di gigante, perché questa non è stata una gara fortunata, è stata una prestazion­e di altissimo livello: Colò, Thoeni, Gros, Tomba e quello lì.

Com'è che si chiama? Ah, sì, il Finferlo.

Ma forse è meglio scrivere Luca De Aliprandin­i, un nome che entrato nella storia dello sci azzurro.

Bravo Luca, ti meriti tutto quello che hai ottenuto.

1 NICCOLÒ CHIARUGI

Inizia a sciare già da piccolo per poi entrare all’età di 9 anni nello sci club. Abbandona l’agonismo (non la passione per lo sci) e sceglie di studiare: diploma al Liceo Scientific­o Sportivo, laurea con Lode in Scienze e Tecniche dello Sport all’università del Foro Italico. È proprio in questo contesto che presenta la tesi magistrale Gli infortuni nello sci alpino: analisi di sei stagioni della nazionale italiana.

2 CECILIA PALMIERI

Atleta dello sci alpino e studentess­a universita­ria. Nata nel 2000, maestra di sci in formazione con il corso della Lombardia, le piace mettersi in gioco senza mai darsi per vinta. Ha firmato la chiusura di questo numero di Race, con una lettera aperta che fa riflettere.

3 PIERRE LUCIANAZ

Nato ad Aosta, è fotografo, maestro di sci e gli piace attribuirs­i l’appellativ­o di ski-bum. Dopo anni di competizio­ne nello sci alpino si è avvicinato al mondo del fuoripista, dello sci alpinismo e del ripido. D’estate lo si può incontrare lungo i sentieri in sella alla sua mountain bike, con i piedi a bagno in un torrente mentre pratica la pesca a mosca, oppure lontano da casa con la bici carica.

4 FRANCESCA CURTOLO

Sangue veneto e vibes americane. Cresce nelle Dolomiti facendo l’atleta per poi spostarsi negli Stati Uniti a gareggiare per un college a Lake Tahoe. Tra sciate sulla neve o sull’acqua, e discese in bicicletta, si laurea in giornalism­o ed economia. Segue i canali social di Race e quando spegne il computer è facile trovarla tra i sentieri ampezzani o i bacari veneziani.

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Purtroppo non ho trovato le foto del 2011, queste sono di una FIS del 2012 ma lo stile di Luca è sempre quello
Archivio Purtroppo non ho trovato le foto del 2011, queste sono di una FIS del 2012 ma lo stile di Luca è sempre quello
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