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Sulla carta non è una vera gara, per molti invece lo è perché è il lasciapassare per acquisire il titolo di maestro di sci. In molti dopo il corso si trovano davanti all’ultima grande sfida
Da sempre gli infortuni costituiscono una nota dolente nel mondo dello sci alpino: nonostante i molti interventi adottati dalla Fis negli ultimi anni al fine di ridurne il numero, dal regolamento sugli sci ai teli delle porte, passando per l'introduzione dell'airbag e il sempre miglior trattamento delle piste, questi restano ancora elevati. Spesso si sente parlare di infortunio al legamento crociato anteriore, ma quali sono in realtà gli infortuni più comuni nello sci alpino agonistico? E poi, esiste una disciplina più sicura di un'altra o gli infortuni aumentano in modo proporzionale alla velocità? In questo ambito come si pone il parallelo?
L'analisi effettuata ha preso in considerazione gli atleti della nazionale italiana di sci alpino (squadre A, B e C) per un periodo di 6 stagioni tra il 2013 e il 2020. In totale sono stati analizzati 132 atleti, 69 uomini e 63 donne, per un totale di 457 stagioni sciistiche (se un atleta era stato in squadra un solo anno veniva analizzato solo per quel periodo). La lista degli infortuni (in modo anonimo) è stata fornita direttamente dalla Commissione Medica della Fisi. Gli infortuni totali sono stati 367, maggiori negli uomini (201) rispetto alle donne (166). Un dato di fondamentale importanza è la gravità degli infortuni, che nello studio in questione è determinata dai giorni di prognosi dichiarati dalla Commissione Medica. Dei 367 infortuni totali 112 sono stati quelli che non hanno causato uno stop dall'attività, mentre dei restanti 255 ben 71 (19,3%) sono stati quelli severi, ovvero con una prognosi di almeno quattro settimane.
Gli infortuni più comuni si sono verificati a carico dell'articolazione del ginocchio: ben 109 casi e in 31 di questi è avvenuta la rottura del legamento crociato anteriore (l'incidenza assoluta è stata di 6,7 rotture di LCA ogni 100 atleti per stagione). Particolarmente colpita, a causa delle continue sollecitazioni che gli atleti devono sopportare, è anche la regione lombare, ma questi problemi difficilmente hanno causato un periodo di stop eccessivamente lungo. Una menzione a parte per tibia e perone, se infatti questi non sono stati frequenti (9,5% del totale) spesso si sono rivelati molto gravi (nel 28% dei casi lo stop era maggiore di quattro settimane). Per analizzare quale sia stata la disciplina con il più alto tasso di stop sono stati presi in considerazione esclusivamente quelli avvenuti in gara, vista l'impossibilità di avere dati certi sugli allenamenti. Dal momento che in letteratura questo dato viene espresso come il numero di infortuni ogni 1000 manche, è stato necessario effettuare il conteggio delle stesse, che è stato svolto per ogni singolo atleta direttamente dal sito della Fis, tenendo conto delle singole discipline: in totale le manche prese in considerazione sono state 16938.
La disciplina con la più alta incidenza di infortuni è stata il superg (9,9/1000 manche) seguita dalla discesa (6,9), dal gigante (4,5) e dallo slalom (2,5), mentre nel parallelo l'incidenza è stata di 2,7/1000 manche. Andando però a vedere esclusivamente gli infortuni severi, il superg rimane la disciplina più pericolosa con 3,5 infortuni ogni 1000 manche, seguita in questo caso dal parallelo, che mantiene l'incidenza a 2,7/1000 manche, poi la discesa (1,9/1000) e infine gigante (1/1000) e slalom (0,3/1000). Questi dati devono far rifletter molto riguardo la pericolosità del parallelo, questa nuova disciplina che la Fis sta promuovendo negli ultimi anni; se da un lato è vero che a livello generale non causa un numero eccessivo di infortuni, questi però sono spesso gravi con un rischio ben 9 volte maggiore rispetto allo slalom, 3 volte rispetto al gigante e maggiore anche a una disciplina come la discesa in cui si superano spesso i 100 chilometri orari. È quindi evidente come gli infortuni siano determinanti nello sci alpino, correlati alla disciplina e alla velocità; non dobbiamo dimenticare la multifattorialità di questi eventi negativi. Sono infatti innumerevoli le cause che concorrono alla pericolosità di questo sport, dagli sci corti e sciancrati, sui quali la Fis è intervenuta modificando il regolamento, alle condizioni atmosferiche e alla fatica dell'atleta (infortuni maggiori sono nell'ultimo quarto di gara) arrivando fino alle condizioni del manto nevoso (aggressivo o variabile), sulle quali si cerca di agire al meglio nella preparazione delle piste.