DEVOZIONE POPOLARE
Il santuario della Madonna del Sangue è letteralmente costruito intorno all’unico muro originale della chiesetta trecentesca intitolata a San Maurizio che fu teatro, nel 1494, del miracolo del sangue. Tale muro ospita un affresco della Madonna del Latte, un’iconografia cristiana piuttosto ricorrente in cui la Vergine è ritratta nell’atto di allattare. Il fatto accadde una sera di fine aprile del 1494, mentre alcuni uomini stavano giocando a piodella, un gioco che consisteva nel lanciare un sasso piatto più vicino possibile a un mucchio di monete. Arrabbiato per aver perso al gioco, uno degli uomini scagliò la pietra che aveva in mano contro l’affresco, colpendo Maria sulla fronte. L’uomo si pentì immediatamente del gesto, chiese perdono e scappò via sconvolto. Le cronache riferiscono che quella notte il portico della chiesa si illuminò di uno strano bagliore e che, l’indomani, il sagrestano vide una sconosciuta di bianco vestita pregare in ginocchio davanti all’affresco. Quest’ultimo, sparita la donna misteriosa, iniziò a grondare sangue proprio dal punto in cui era stato colpito.
La notizia si sparse in un baleno facendo arrivare dai borghi limitrofi una moltitudine di gente che implorava misericordia a ogni effusione di sangue, che si ripeteva a intervalli regolari. L’afflusso di pellegrini rese necessario un primo intervento di ricostruzione della chiesa nel 1627, durante il quale l’affresco venne posto dietro l’altare. L’attuale santuario rappresenta l’ampliamento completato nel 1958 dopo 36 anni di lavori. Al suo interno spiccano le pareti tappezzate di ex-voto che attestano la forza della devozione popolare. asfalto la maneggevolezza è eccezionale: basta pensarlo e sei giù in curva, ed è un attimo tornare su e buttarsi nella direzione opposta. In questo dondolio di cambi di direzione raggiungiamo la sponda svizzera del lago Maggiore e sostiamo davanti al porticciolo turistico di Locarno, giusto il tempo di riprendere fiato e puntare verso la sezione successiva di questo viaggio. Procediamo quindi verso nord-ovest seguendo per pochi chilometri il corso del fiume Maggia per poi ammirare l’orrido di Ponte Brolla, famoso per il canyon scavato dalle acque prima del salto in corrispondenza del ponte ferroviario, nonché per le spiagge di ciottoli che si trovano poco più a monte e che offrono refrigerio agli abitanti nei mesi estivi. Da qui si può scegliere se dirigersi a nord lungo il fiume oppure seguire il corso della ferrovia che collega Locarno a Domodossola.
A ovest nella Centovalli
Naturalmente scegliamo di percorrere la via Centovalli che si sviluppa lungo il corso del torrente Melezzo e che prosegue in Italia con il nome di Val Vigezzo. La valle è famosa per la ferrovia che l’attraversa, la
Centovalli-Vigezzina che collega Locarno a Domodossola: un concentrato di opere d’ingegneria novecentesca con 83 ponti e 31 gallerie distribuiti su 52 km di percorso. Dopo Intragna la massicciata e la strada corrono abbarbicate sul versante settentrionale della valle, a volte intersecandosi e altre solo sfiorandosi, tra ponti scenografici e piani prospettici che si sovrappongono di continuo. La parte davvero bella inizia con il passaggio sotto le arcate del ponte in muratura sopra il Rii di Dröi, che segna la Valle d’Ingiustra. Qui la strada diventa un misto veloce con alcuni tratti più stretti, ma comunque da guidare intensamente, in direzione sud-ovest: affrontarla al tramonto col sole in faccia dà al viaggio un che di epico.
Senza neanche rendermene conto, in poche decine di chilometri sono entrato in piena simbiosi con la supermotard da viaggio. Complici le sospensioni con escursione di 180 mm che divorano ogni imperfezione dell’asfalto e i freni estremamente
Il propulsore LC8c da 889 cc, capace di
105 CV a 8.000 giri e 100 Nm a 6.500 giri, è incastonato in un telaio in acciaio al cromomolibdeno di cui è elemento sollecitato. Se motore e telaio sono quelli della 890 Adventure, cambiano le sospensioni: la forcella WP Apex da 43 mm è più lunga per compensare l’abbassamento dovuto alla ruota da 17”, e anche il forcellone è più lungo per offrire maggiore stabilità alle alte velocità ma senza inficiare la maneggevolezza. Entrambe hanno 180 mm di escursione e sono tarate sul rigido, così da essere adatte alle acrobazie come al turismo su strade da bitumenduro. L’altezza della sella a 860 mm e il peso di
206 kg la rendono abbastanza maneggevole nelle manovre da fermo anche per i meno longilinei; in ogni caso basta innestare la prima e partire per intuirne da subito le doti di agilità. La triangolazione di sella, pedane e manubrio insieme al serbatoio piuttosto snello, contribuiscono a caricare le masse verso l’avantreno, consentendo però di tenere il busto eretto. Tutto in questa moto proietta il pilota in avanti, verso la strada che viene dominata senza incertezze: che si tratti di snocciolare le marce una dietro l’altra, di entrare in curva in staccata o di uscirne a gas spalancato, il controllo è sempre impeccabile e le traiettorie rigorose. È una moto che si guida col pensiero già dopo poche decine di chilometri, grazie alla distribuzione delle masse e alla ciclistica che favoriscono la simbiosi uomo-macchina. L’unica incertezza è data dal quickshifter che sembra funzionare meglio a gas costante che non in accelerazione, come invece ci si aspetterebbe da una moto con peculiarità sportive. Sorprende piacevolmente la sua capacità di essere ben gestita nella guida sportiva come in quella contemplativa: le pinze J-Juan mordono senza pietà i due dischi da 320 mm all’anteriore ma consentono al contempo una modulabilità estrema. L’impianto frenante è dotato di ABS Cornering gestito dalla piattaforma IMU a sei assi. Per chi ha davvero il manico per derapare, è prevista la modalità ABS Supermoto che permette di bloccare la ruota posteriore lasciando attivo l’antibloccaggio dell’anteriore. Oltre ai riding mode Street, Rain e Sport, chi volesse avere il massimo dalla moto e magari portarla in
pista potrà aggiungere Track che permette di regolare tutti i parametri dell’elettronica.
La 890 SMT risponde bene alla chiamata di una moto a metà tra la sportività di una supermoto e il comfort di una tourer: la sella non è tra le più comode ma consente lunghe percorrenze senza fastidi o dolori e offre spazio a sufficienza per due. Per viaggiare occorre tassativamente sostituire il minuscolo cupolino con il parabrezza della Adventure, che lascia comunque scoperte le spalle. L’afflusso d’aria rimane percepibile dal basso per le pance del serbatoio quasi inesistenti. La capacità di quest’ultimo è di 15,8 litri che assicurano una percorrenza di quasi 300 km: non è una cifra da maratoneta ma è quanto basta per viaggiare tranquilli anche fuori dai confini europei. La KTM 890 SMT si configura come una buona scelta per chi ama viaggiare su strada con una guida sportiva, senza rinunciare all’agilità che solo una supermotard può offrire.
modulabili, il controllo diventa quasi telepatico: si guida senza pensarci. La sequenza di curve della Centovalli rapisce in un loop seducente e magnetico, un flusso di coscienza in cui gli occhi leggono la strada e la mente la elabora mentre è persa in chissà quali pensieri. La temperatura si abbassa ma è un semplice dato sul cruscotto: la giacca Clover GTS-5 WP compie egregiamente il suo lavoro di guscio comodo. Nell’arco di 12 ore siamo passati dai due gradi all’alba ai 15 gradi sulle rive del lago e ora corriamo nel vento gelido del tramonto, sempre nello stesso microclima interno e senza aggiungere o togliere strati. È un nirvana motociclistico, uno di quei rari momenti di pace interiore in cui si è tutt’uno con la moto ed esiste solo la strada che si insinua nel paesaggio. L’orrido, la ferrovia, la strada sono i diversi livelli di profondità di una scena che muta di continuo nel rapporto tra le sue parti, a volte con l’intromissione di una diga o una cascata come avviene sul Lago di Palagnedra. La propaggine ovest del lago è a ridosso del confine italo-svizzero ed è lì, a Camedo, che bisogna lasciare la strada per ammirare l’eleganza del ponte Ruinacci, il manufatto in ferro su cui da un secolo passano i treni che percorrono la valle. Superata la frontiera ci fermiamo per la notte a Re, pronti a visitare l’indomani il santuario della Madonna del Sangue.
L’imponente costruzione in stile neobizantino che vediamo oggi ha poco a che fare con la chiesa teatro del miracolo da cui tutto ebbe origine, ma i numerosi ex-voto al suo interno commuovono per le centinaia di storie semplici quanto cruciali che raccontano.
Proseguiamo verso ovest superando il bel borgo di Malesco; ora la strada si è fatta meno guidata, con curve ampie e veloci. Il rispetto dei limiti di velocità ci obbliga a una piacevole andatura di trotto che ci
La giacca GTS-5 è il nuovo top di gamma dell’azienda vicentina e rappresenta un grande passo in avanti in termini di vestibilità e di materiali utilizzati. Si compone di tre strati utilizzabili separatamente e combinabili a seconda delle necessità. Prima di scendere nel dettaglio, va detto che il guscio esterno collabora con la membrana antipioggia interna secondo quello che la Casa chiama Double Membrane System: lo strato esterno blocca l’80% dell’acqua, il rimanente 20% che passa da zip e cuciture viene bloccato dalla membrana interna Aquazone. In questo modo la membrana interna rimane meno sollecitata evitando la concentrazione di condensa. Un ulteriore vantaggio è dato dal fatto che il laminato esterno si asciuga rapidamente, rimanendo più leggero. Con questo sistema le colonne d’acqua dei due strati (ciascuno da 8.000 mm) si sommano arrivando a un buon livello di impermeabilità senza l’utilizzo di materiali troppo rigidi.
Lo strato esterno è realizzato in Duratek 10 per le parti più esposte e Duratek 9 elasticizzato per fianchi e parti sollecitate; entrambi i tessuti sono laminati e quindi impermeabili e traspiranti. Un plauso va alla qualità del Duratek 10 che dà l’impressione di un tessuto naturale (ricorda vagamente il lino grezzo) pur essendo sintetico. La giacca si caratterizza per gli ampi pannelli d’aerazione: oltre alle zip che corrono per tutta la lunghezza delle braccia, troviamo due pannelli sul petto e un’ampia pannellatura sulla schiena che nascondono uno strato in rete 3D che prosegue oltre l’altezza delle zip fino alla spalla, all’altezza del collo, così da ampliare la superficie ventilata. Grande novità è la doppia zip di chiusura anteriore che permette di inserire una striscia in rete 3D per aumentare l’afflusso d’aria sul corpo.
Le tasche cargo esterne, due davanti e il tascone posteriore, sono piuttosto ampie grazie al taglio a soffietto. Sempre davanti troviamo due tasche con zip che all’occorrenza possono fungere da ulteriori prese d’aria. Altre due tasche si trovano nel vano che accoglie i pannelli anteriori quando aperti. Molto comodo il taschino sulla manica sinistra, atto a ospitare il Telepass o il biglietto dell’autostrada.
Su spalle e gomiti trovano posto le protezioni
CE di livello 2 ventilate Betac; è presente la predisposizione per il paraschiena di livello 2 ventilato e, novità importante, la predisposizione per le protezioni pettorali Chest-Pro, anch’esse ventilate, che trovano posto dietro ai pannelli pettorali. Se non si usano le protezioni Chest-Pro si hanno a disposizione due tasche Napoleone in più. Non mancano le regolazioni di volume con doppia cinghia su braccia e fianchi per far aderire le protezioni; sui fianchi sono presenti anche due zip per agevolare la seduta.
La membrana estraibile Aquazone – traspirante, antipioggia e antivento – è di tipo In&Out e può quindi essere utilizzata sia come strato interno che all’esterno prestandosi a un utilizzo versatile: in caso di acquazzone estivo può essere indossata e rimossa rapidamente; sotto un temporale invernale aumenta il comfort termico e tiene all’asciutto il contenuto delle tasche. La membrana interna può essere utilizzata come capo a sé stante, ad esempio come antivento e antipioggia da trekking, o insieme allo strato termico da 120 g/mq: una buona soluzione per ridurre il bagaglio in viaggio.
La giacca GTS-5 risulta nel complesso molto comoda e ben fatta, ma ci sarebbe piaciuto che le connessioni tra i vari strati fossero tramite zip e non con bottoni a clip. Il fatto di avere tre strati indipendenti da chiudere ognuno con la sua zip da un lato offre una maggior tenuta al vento, dall’altro rende più lunghe le operazioni di apertura e chiusura.
Realizzati negli stessi materiali, ma con membrana impermeabile utilizzabile solo all’interno, i pantaloni GTS-4 hanno tasche cargo molto profonde e ampi pannelli di ventilazione. Al contrario della giacca convincono poco in quanto a vestibilità: il taglio tende a stringere sulle cosce sopra al ginocchio, abbassando il cavallo e rendendo difficile i movimenti in sella. Consigliamo di provarli e valutare l’acquisto di una o due taglie in più.
In questo viaggio abbiamo usato i guanti Sierra WP, sempre di Clover, realizzati in pelle e microfibra con membrana Aquazone e imbottitura Primaloft da 170 g/mq. Provvisti di protezioni sulle nocche, sul palmo e sulle dita, hanno doppia chiusura e inserti elasticizzati per favorire i movimenti e la presa. Sono caratterizzati da un volume ridotto che permette un buon feeling con le manopole; di contro offrono un buon comfort solo fino a circa 5 gradi. Molto utili le strisce tergivisiera in gomma sull’indice.
permette di osservare il cambiamento del paesaggio che si fa più antropizzato man mano che ci avviciniamo a Domodossola. Evitiamo però l’ingresso nella città, preferendo puntare verso nord lungo la
Val Formazza. Imbocchiamo quindi per qualche chilometro la strada del Sempione per uscirne a Crodo in favore della più tranquilla SS659 che ci riserva piccole e gradite sorprese come il borghetto di Pontemaglio.
L’acqua che plasma il mondo
A Premia usciamo dalla strada principale per esplorare la zona degli orridi, il più famoso dei quali è quello di Uriezzo. È l’acqua del Toce ad aver plasmato l’orografia di questi luoghi, scavando canyon e gole che sembrano il negativo delle falesie che fanno da quinta a questo palcoscenico della natura. Luoghi ben conosciuti dagli appassionati di trekking e camminate a vari livelli, come da chi ama arrampicarsi a mani nude sulla roccia verticale: troviamo la falesia di Balmafregia popolata da scalatori che sembrano formichine a confronto con l’immensa parete. Tutt’intorno qualcuno si gode il timido sole sdraiato sul prato, mentre mucche sparse pascolano nel verde. Qui la strada si biforca: a destra si va verso gli orridi di Uriezzo, raggiungibili con una passeggiata di cinque minuti dopo la fine della strada; a sinistra invece l’asfalto termina con l’oratorio di Crego, sotto il cui porticato ci godiamo il silenzio della Valle Antigorio.
Le 48 colonne che ne costituiscono il peristilio sono realizzate in serizzo antigoriano, la pietra di cui sono fatte le montagne che circondano l’edificio che, a sua volta, sembra captarne le energie. Forse era proprio questa l’intenzione di Don Lorenzo Dresdo, il parroco che realizzò l’opera tra il 1852 e il 1878, trasferendo il suo spirito mistico nell’arte del muratore e dello scalpellino.
Ripreso fiato, affrontiamo l’ultimo slancio che ci porta alla fine del giro, puntando verso nord e salendo di quota. A Foppiano
entriamo nel tunnel elicoidale Le Casse che in tre chilometri ci porta a superare un dislivello di 200 metri: quando ne usciamo, siamo circondati dalla neve che imbianca la roccia scura delle montagne. Dopo Canza inizia l’ultima scalata verso le cascate del Toce: curva dopo curva la strada sale sul fianco della montagna fino a raggiungere lo spettacolare salto d’acqua di ben 143 metri.
La cascata è tra le più poderose delle Alpi ma è visibile in tutta la sua maestosità solo per pochi giorni tra giugno e settembre: le acque del Toce sono infatti regolate dalla diga di Morasco e vengono utilizzate per alimentare le centrali idroelettriche della valle.
Nonostante non sia in piena, questo salto a quota 1.675 rimane molto suggestivo, anche grazie all’hotel costruito lì di fianco nel 1863 che non sfigurerebbe in una pellicola di Wes Anderson.
La bellezza di questa cascata è stata decantata da molti visitatori illustri, da Wagner a D’Annunzio, e il marketing del territorio non manca di ricordarlo a ogni occasione e su ogni cartello e brochure. In realtà qui c’è molto di più che una bella cascata da ammirare: questo è un territorio da vivere ed esplorare passeggiando e arrampicandosi, in bici e in moto. Non c’è bisogno di essere poeti o compositori per apprezzarlo, così come non è necessario essere piloti e grandi manici per godere della SuperMoto Touring di Mattighofen: basta avere voglia di esplorare le strade del mondo con brio e agilità.