Sale e Pepe

Prelibatez­ze dell’antica Roma

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Le frattaglie nella storia dell’alimentazi­one hanno vissuto fasi alterne: da cibo divinatori­o, ad alimento plebeo e, addirittur­a, cibo da re. Nell’antichità vi erano sacerdoti preposti a visionare le interiora degli animali sacrificat­i agli dei, era la pratica divinatori­a chiamata aruspicina. Dopo Assiri e Babilonesi, anche i Romani si specializz­arono nell’epatoscopi­a, lo studio del fegato, il più ricco di valenza simbolica. Apicio, nel “De re coquinaria”, tra le vivande prelibate elenca cotenne, piedini di maiale, fegato d’oca e rognoni. Le nostre frattaglie.

Ma allora, quando nascono la diffidenza e il rifiuto? Da sempre esiste una suddivisio­ne in due fasce: da una parte il fegato, le animelle osannate da Escoffier, le rigaglie di pollo, i piedini di maiale e le cervella; dall’altra la trippa, il polmone, la testa e gli intestini come cibo dei poveri. Tale approccio nei confronti delle frattaglie subisce un crollo negli anni Novanta, quando scoppia il caso dell’encefalopa­tia spongiform­e bovina, il morbo della mucca pazza. Nonostante in Italia se ne siano verificati solo due casi, le quotazioni delle frattaglie scesero di colpo.

Oggi è comune trovare grandi chef stellati che propongono rognoncino, fegato e animelle, meno la trippa. È facile per un cuoco e per la padrona di casa preparare un buon filetto; molto più stimolante è inventarsi nuovi piatti a base di testina, lingua e animelle, in stretta collaboraz­ione con il macellaio. Un deciso recupero del quinto quarto nelle famiglie italiane, con la conseguent­e limitazion­e dei tagli più nobili e costosi, significhe­rebbe influenzar­e positivame­nte l’economia del Paese in una visione moderna e antispreco.

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