Baccalà alla vicentina
DI ANTICA TRADIZIONE, LA SUCCULENTA SPECIALITÀ VENETA ESIGE TEMPO E ATTENZIONE ALLA SCELTA DELLA MATERIA PRIMA
La premessa è d’obbligo: il piatto bandiera della gastronomia vicentina non è a base di baccalà, come potrebbero intendere i non veneti, ma di stoccafisso. Sempre di merluzzo si tratta, ma non quello conservato sotto sale (baccalà), bensì quello fatto essiccare per mesi, esposto ai freddi venti del Nord, in particolare delle isole Lofoten, al largo della Norvegia, patria dello stoccafisso migliore. Ne nasce lo “stokk fisk” (termine locale dove stokk significa palo, bastone di legno, e fisk pesce), così duro da dovere essere battuto a lungo per sfibrarsi a sufficienza prima di poter essere cotto e gustato.
Impossibile correggere l’etimo di un alimento che, introdotto in Veneto da un mercante veneziano nel Quattrocento, si diffuse velocemente sulle tavole della popolazione meno abbiente perché conservabile, di grande resa - soprattutto accompagnato da abbondante polenta - e a buon mercato. Rispetto ad altre preparazioni, ciò che differenzia il “bacalà” alla vicentina è che non prevede l’aggiunta di pomodoro, il quale, con la sua acidità, permette di coprire eventuali difetti della materia prima. ‹‹È per questo che la ricetta vicentina non fa sconti, perché il latte è un ingrediente “sincero” che non camuffa i sapori››, commenta lo chef Antonio Chemello, per molti “il re del bacalà”. La semplicità del piatto, visti i pochi ingredienti, è solo apparente: dopo l’ammollo per almeno due giorni, cambiando spesso l’acqua, ci si arma di pazienza per togliere il più possibile delle lische, perché la battitura le frantuma. Un’operazione di pulizia certosina, ma necessaria per un risultato di grande soddisfazione.
La Venerabile Confraternita
A Sandrigo, paese d’elezione del baccalà, gemellato con Røst, isola delle Lofoten, 30 anni fa è nata una Confraternita per preservare un piatto antichissimo che rischiava di essere dimenticato. Ha anche convalidato una ricetta classica, senza demonizzare altre interpretazioni perché, come spesso succede per le preparazioni tradizionali, le varianti familiari sono moltissime. C’è chi taglia a pezzi i tranci di pesce e chi li arrotola, chi usa le sarde sotto sale invece delle acciughe, chi cuoce sul fuoco e chi al forno, aggiungendo poi una manciata di pangrattato per una gratinatura finale. Solo due punti trovano tutti d’accordo: l’olio deve essere abbondante e il “bacalà” non deve essere mai mescolato.