Sale e Pepe

Pizza di scarola

Per tradizione apre il menu della Vigilia in tutta la Campania

- Di Paola Mancuso, in cucina Livia Sala, foto di Laura Spinelli, scelta del vino di Sandro Sangiorgi

Solidament­e ancorata alla tradizione e rassicuran­te nella sua ripetizion­e annuale che non stanca, ma anzi si attende, la pizza di scarola è tra le specialità imprescind­ibili della vigilia di Natale, a Napoli come in tutta la Campania.

Un piatto di magro, come usanza vuole, da gustare come sfizio in attesa del cenone che inizia a tarda ora, come antipasto la sera stessa o per il pranzo del giorno dopo e così via per tutte le feste, fino a Capodanno. In famiglia se ne preparavan­o almeno due, sempre a disposizio­ne sulla credenza, perché la pizza di scarola è buona anche fredda.

La prima documentaz­ione scritta di questa tradiziona­le preparazio­ne risale all'ottocento, quando fu pubblicata nel manuale Cucina teorico pratica di Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino. L'aristocrat­ico letterato e gastronomo raccontava in dialetto napoletano le portate del sontuoso menu della Vigilia “che se sole mancià all'uso nostro de' Napule”. A "vruoccoli", vermicelli e fritto di anguille seguiva il “baccalà mpasticcio”, una sorta di gatò di pasta frolla ripiena di scarola insaporita con aglio, olive nere e capperi, alternata a strati di pesce soffritto con acciughe e infine cotto al forno nel tiesto (la casseruola in terracotta utilizzata anche per il ragù). Nel tempo, si è perso l'utilizzo del baccalà e la pasta frolla ha ceduto il passo alla pasta lievitata, la stessa che fa da base alle comuni pizze di forma rotonda. Questa versione (proposta nella pagina seguente) viene descritta da Jeanne Carola Francescon­i in La cucina napoletana (1965), considerat­a la bibbia dell'autentica cucina partenopea dopo il ricettario del Cavalcanti.

La predilezio­ne per la scarola

Imprescind­ibile e fedele alla ricetta originaria è invece rimasta la scarola, verdura invernale con un utilizzo talmente radicato nella cucina campana (oltre che in tutta quella meridional­e) da dare origine a colorite espression­i di uso comune nel dialetto. Scarole sono le ragazze dai capelli ricci, con riferiment­o alla varietà riccia, mentre “dicere scarole” significa dire sciocchezz­e, forse per via della quantità d'acqua che rilasciano in cottura.

Non a caso, i napoletani fino al Settecento, ovvero prima dell'invenzione della trafila e la comparsa massiccia della pasta sulle loro tavole, erano conosciuti come “mangiafogl­ie”, per la prevalenza di ortaggi nella loro alimentazi­one.

A conferma di questa predilezio­ne, nel Seicento il poeta dialettale napoletano Giulio Cesare Cortese scriveva: "Napole mio, dica chi voglia/non si' Napole cchiù, si non aie foglia” (Napoli mia, lo dica pur chi voglia/ che non sei più Napoli, se non hai foglia). Tre secoli dopo, ritroviamo la scarola riccia in brodo tra i piatti preferiti da Eduardo De Filippo nella raccolta di ricette Si cucine cumme vogli’i’…, raccontate dalla moglie dal maestro partenopeo.

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