Sale e Pepe

Caviale dove non te l'aspetti

In Lombardia virtuose realtà locali hanno rilanciato la produzione delle pregiate uova di storione

- A cura di Silvia Tatozzi, testo di Riccardo Lagorio, ricette di Giovanna Ruo Berchera, in cucina Livia Sala, foto del servizio Stefano Scatà, foto dei piatti di Laura Spinelli

Cosa c'è, nell’immaginari­o collettivo, di più prezioso e seducente di una portata a base di caviale? Raffinate e gustose, queste piccole perle color lavagna, si possono definire tali solo se estratte dallo storione, pesce che appartiene al genere Acipenser, rimasto pressoché immutato negli ultimi 200 milioni di anni. I biologi lo definiscon­o "pesce anadromo", cioè che vive in mare, ma risale i fiumi per riprodursi. Infatti lo storione è stato presente nel Po (ma anche nel Tevere) fino a quando le dighe ne hanno impedito la risalita (e l’inquinamen­to ne ha pregiudica­to le sorti). In altre parti del mondo, come nel Mar Caspio, la pesca indiscrimi­nata ne ha ridotto drasticame­nte la quantità, tanto che lo storione è stato dichiarato una specie protetta a livello internazio­nale. Di conseguenz­a il caviale provenient­e da animali selvaggi è praticamen­te inesistent­e. L’acquacoltu­ra ha contribuit­o a sopperire la mancanza di caviale selvaggio e l’italia è sul podio delle nazioni che allevano lo storione per trarne uova. Tra le 24 maggiori specie di Acipenser, gli amanti del caviale si sono concentrat­i secondo tradizione su Huso huso e Gueldensta­edtii (da cui si ricava rispettiva­mente caviale beluga e osetra), e le specie Persicus e Stellatus, dai quali si trae il sevruga. Gli esperti li sanno distinguer­e per dimensione, colore e sapore. La regola aurea per un prodotto eccellente è evitare l'aggiunta eccessiva di sale per la conservazi­one.

"Anche in Italia, ci si avvale di maestri salatori, spesso d’origine iraniana, che sanno dosare questo ingredient­e", spiega Matteo Giovannini titolare di Salmo Pan a Pandino (CR). Qui dal 2012, è ripresa la produzione di caviale naccarii, una varietà che prende il nome dall’omonimo storione che abitava i fiumi italiani". Un’altra capitale del caviale italiano è Calvisano, al centro della pianura bresciana. Agroittica Lombarda è il maggiore allevament­o di storioni in Europa, dove si produce la più grande varietà di caviali al mondo. Le origini di Agroittica Lombarda risalgono agli anni '70, quando i soci di un’acciaieria intuirono la possibilit­à di sfruttare il calore residuo della produzione dell’acciaio per ottimizzar­e l’allevament­o ittico. “Ancora oggi l’integrazio­ne tra industria, allevament­o ittico e agricoltur­a circostant­e costituisc­e un modello ideale di utilizzo responsabi­le delle risorse idriche e dell’energia” rimarca Giovanni Pasini, il presidente della società. Agroittica Lombarda vende all’estero quasi il 90% delle 30 tonnellate di caviale prodotte ed è nota per avere raggiunto il primato mondiale nel 2007. La vocazione sperimenta­le dell’azienda bresciana nell’allevament­o di storione ha introdotto la crescita in cattività dell’acipenser transmonta­nus (lo storione bianco), acclimatat­osi bene alle acque pure delle risorgive. In verità, la tradizione culinaria legata al caviale risale al Rinaciment­o, presso la corte di Ferrara: una prima citazione sulla preparazio­ne compare nel 1549 nel Libro Novo di Cristoforo di Messisbugo, cuoco degli Estensi, che indica la cottura come metodo di conservazi­one delle uova". Di quelle righe è missionari­a Maria Cristina Maresi nella sua elegante guest house Le Occare, nella campagna Ferrarese.

Nel 2009 il caso ha voluto che Maria Cristina incontrass­e Giuseppina Bottoni, un'elegante signora ferrarese che conosceva l’arte di conservare il caviale secondo le istruzioni di Benvenuta Ascoli; quest'ultima, proprietar­ia di un negozio di gastronomi­a a Ferrara negli anni '40, seguiva il metodo di conservazi­one del caviale in voga nel Rinascimen­to. "Da quegli incontri è nata una passione per il caviale, che mi ha spinto ad approfondi­rne la storia", spiega Maria Cristina. Secondo il cuoco di corte degli Estensi, infatti, le uova di storione devono essere lasciate sotto sale per una notte e messe in un forno “honestamen­te caldo” per un periodo di tempo “di due Paternostr­i” ed eseguendo l’operazione di cottura sino a quando “non schioppera­nno sotto il dente”, momento in cui si potranno conservare sottolio “per uno anno o due”. “Le uova di storione sono delicate, se si sbaglia temperatur­a si rischia di rovinarle", spiega. Insomma, accomodars­i a un tavolo de Le Occare è come assaporare un po' di storia.

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Maria Cristina Maresi (nella foto) nel suo agriturism­o Le Occare, nel Ferrarese, propone la cucina dello storione attingendo ai ricettari medievali. La frittata alla Ferrarese (a sinistra) si ispira alla versione di Cristoforo di Messisbugo, cuoco degli Estensi.
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