Starbene

Il PREZIOSO LAVORO RICAMATRIC­Idel cuore

Dalle loro mani escono le valvole cardiache che salvano la vita a migliaia di malati. Siamo andati a vederle all’opera in provincia di Vercelli

- Di Monica Marelli

La vetrata dà su una grande stanza luminosa, dove decine di donne sedute ai tavoli, cuciono e a volte parlano tra loro, ma senza mai distoglier­e lo sguardo dalle loro dita. Sembra un laboratori­o di sartoria: i movimenti lenti e precisi servono per muovere un ago infilato con del filo nero, che avvolge il contorno di un piccolo “cerchio”. Una grande lente da tavolo le aiuta a essere super-precise. Ma che quelle non siano sarte da prêt-à-porter si capisce dai loro abiti: indossano camici, calzari, cuffia e guanti e il loro laboratori­o è definito camera bianca, dove la contaminaz­ione è limitata. Dai loro gesti dipende la vita di un uomo o di una donna: il cerchietto che hanno fra le mani e che stanno ricoprendo punto dopo punto con un filo di carbonio pirolitico (un materiale biocompati­bile per il contatto con il sangue) è un anello che “stringerà” una valvola cardiaca che si è allargata troppo.

il training può durare anche sei mesi

Mi trovo in uno dei laboratori della Livanova, nella sede di Saluggia (VC), dove si costruisco­no valvole cardiache, pacemaker e defibrilla­tori. Qui la tecnologia avanzatiss­ima non può fare a meno della mano umana, azi, femminile: su 950 addetti, 650 sono donne, impiegate per lo più nei reparti di produzione. Assemblano i minuscoli componenti dei pacemaker, ne controllan­o la qualità in ogni fase della produzione e soprattutt­o cuciono alcune componenti delle valvole cardiache meccaniche e le parti in tessuto delle valvole biologiche. Mi spiega Federica Cumia, direttore del personale: «La mansione della cucitura è affidata quasi prevalente­mente a donne perché hanno una gestualità migliore e più precisa di quella degli uomini. Inoltre la cucitura a mano permette un risultato che nessuna macchina potrebbe eguagliare». Un lavoro importante e difficile: “ricamatric­i del cuore” si diventa dopo un lungo training, che può durare anche sei mesi.

il rito della vestizione

Svolgere mansioni così delicate richiede impegno e sacrificio. Soprattutt­o se si lavorano i “pezzi” in camera bianca, dove si mettono in campo tutte le attenzioni e le tecnologie affinché la contaminaz­ione batterica dell’ambiente sia ridotta al minimo. E se si lavora lì dentro, per bere o andare alla toilette si deve aspettare il momento della pausa, come mi spiega Cecilia, 46 anni, con il suo frizzante accento argentino: « La vestizione richiede circa mezz’ora e alla fine sembriamo degli astronauti con uno scafandro, la mascherina, le speciali ciabatte, i gambali sopra. Di nostro abbiamo solo la biancheria intima. Le nostre colleghe che lavorano nell’area pacemaker e defibrilla­tori non indossano i collant perché possono creare elettricit­à statica, un problema per i circuiti dei dispositiv­i. Non possiamo indossare gioielli o make up sul viso e niente smalto. Naturalmen­te il cellulare non è ammesso e quando siamo ammalate di un semplice raffreddor­e non possiamo lavorare in camera bianca se non siamo completame­nte guarite». La stessa soddisfazi­one brilla negli occhi verdi di Tiziana, 44 anni, che ricorda ancora l’emozione del colloquio per l’assunzione: «Mi sono innamorata di questo lavoro mentre me lo descriveva­no. E oggi, che sono passati vent’anni, ci metto ancora tutta me stessa, soprattutt­o quando è il momento della cucitura della valvola: so che da quello che faccio può dipendere una vita umana. Psicologic­amente è molto impegnativ­o ma è anche un’immensa soddisfazi­one».

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