Il PREZIOSO LAVORO RICAMATRICIdel cuore
Dalle loro mani escono le valvole cardiache che salvano la vita a migliaia di malati. Siamo andati a vederle all’opera in provincia di Vercelli
La vetrata dà su una grande stanza luminosa, dove decine di donne sedute ai tavoli, cuciono e a volte parlano tra loro, ma senza mai distogliere lo sguardo dalle loro dita. Sembra un laboratorio di sartoria: i movimenti lenti e precisi servono per muovere un ago infilato con del filo nero, che avvolge il contorno di un piccolo “cerchio”. Una grande lente da tavolo le aiuta a essere super-precise. Ma che quelle non siano sarte da prêt-à-porter si capisce dai loro abiti: indossano camici, calzari, cuffia e guanti e il loro laboratorio è definito camera bianca, dove la contaminazione è limitata. Dai loro gesti dipende la vita di un uomo o di una donna: il cerchietto che hanno fra le mani e che stanno ricoprendo punto dopo punto con un filo di carbonio pirolitico (un materiale biocompatibile per il contatto con il sangue) è un anello che “stringerà” una valvola cardiaca che si è allargata troppo.
il training può durare anche sei mesi
Mi trovo in uno dei laboratori della Livanova, nella sede di Saluggia (VC), dove si costruiscono valvole cardiache, pacemaker e defibrillatori. Qui la tecnologia avanzatissima non può fare a meno della mano umana, azi, femminile: su 950 addetti, 650 sono donne, impiegate per lo più nei reparti di produzione. Assemblano i minuscoli componenti dei pacemaker, ne controllano la qualità in ogni fase della produzione e soprattutto cuciono alcune componenti delle valvole cardiache meccaniche e le parti in tessuto delle valvole biologiche. Mi spiega Federica Cumia, direttore del personale: «La mansione della cucitura è affidata quasi prevalentemente a donne perché hanno una gestualità migliore e più precisa di quella degli uomini. Inoltre la cucitura a mano permette un risultato che nessuna macchina potrebbe eguagliare». Un lavoro importante e difficile: “ricamatrici del cuore” si diventa dopo un lungo training, che può durare anche sei mesi.
il rito della vestizione
Svolgere mansioni così delicate richiede impegno e sacrificio. Soprattutto se si lavorano i “pezzi” in camera bianca, dove si mettono in campo tutte le attenzioni e le tecnologie affinché la contaminazione batterica dell’ambiente sia ridotta al minimo. E se si lavora lì dentro, per bere o andare alla toilette si deve aspettare il momento della pausa, come mi spiega Cecilia, 46 anni, con il suo frizzante accento argentino: « La vestizione richiede circa mezz’ora e alla fine sembriamo degli astronauti con uno scafandro, la mascherina, le speciali ciabatte, i gambali sopra. Di nostro abbiamo solo la biancheria intima. Le nostre colleghe che lavorano nell’area pacemaker e defibrillatori non indossano i collant perché possono creare elettricità statica, un problema per i circuiti dei dispositivi. Non possiamo indossare gioielli o make up sul viso e niente smalto. Naturalmente il cellulare non è ammesso e quando siamo ammalate di un semplice raffreddore non possiamo lavorare in camera bianca se non siamo completamente guarite». La stessa soddisfazione brilla negli occhi verdi di Tiziana, 44 anni, che ricorda ancora l’emozione del colloquio per l’assunzione: «Mi sono innamorata di questo lavoro mentre me lo descrivevano. E oggi, che sono passati vent’anni, ci metto ancora tutta me stessa, soprattutto quando è il momento della cucitura della valvola: so che da quello che faccio può dipendere una vita umana. Psicologicamente è molto impegnativo ma è anche un’immensa soddisfazione».