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IL GRANDE RITORNO DEI GRANI ANTICHI

Richiedono un minor utilizzo di pesticidi e di acqua e sono più digeribili perché meno raffinati, grazie alla macinazion­e a pietra

- Di Isabella Colombo

Senatore Cappelli, Timilia, Russello, Rieti, Saragolla, Solina, Maiorca, Gentil Rosso... Sono solo alcune delle centinaia di varietà di grano che 50 anni fa sono state abbandonat­e per fare posto a piante meno pregiate ma più produttive e redditizie, capaci di soddisfare un mercato più ampio. I grani cosiddetti antichi, però, da qualche anno sono tornati in auge. «Antichi in realtà non è il termine giusto», spiega Giampiero Maracchi, presidente dell’Accademia dei Georgofili che studia il progresso delle scienze agricole. « Si tratta di sementi selezionat­e intorno agli anni Trenta del secolo scorso per adattarsi ai nostri terreni e latitudini e per resistere anche in condizioni estreme come la mancanza d’acqua o l’alta quota. Oggi li abbiamo riscoperti: un po’ per moda e un po’ perché siamo più attenti alla cucina, ci piace sperimenta­re e valorizzar­e i cibi locali. E il frumento di un tempo è un’espression­e tipica di ogni territorio». Tanto che sono nate vere e proprie filiere che studiano e producono i grani del passato, come Progetto Virgo in Emilia Romagna ( granovirgo.it), Mulinum in Calabria ( mulinodisa­nfloro.it), Filiera corta dei cereali antichi in Veneto ( seminati.altervista.org) e Simenza in Sicilia ( facebook.com): oltre alle coltivazio­ni perdute queste comunità di mugnai e contadini mirano a recuperare anche i mulini con le vecchie macine a pietra perché i chicchi macinati a freddo danno una farina più ricca e nutriente. «Al di là delle tendenze, le sementi di un tempo sono ricercate, studiate e analizzate perché sposano la necessità di riportare l’agricoltur­a a una dimensione più umana e rispettosa dell’ambiente. Inoltre, in epoca di cambiamen- ti climatici, queste antiche varietà di grano, abituate a terreni e climi estremi, potranno garantirci il nutrimento ancora a lungo», dice Maracchi.

perché fanno bene all’ambiente

In Sicilia, dove le varietà di grano antico sono oltre 50, più che nelle altre Regioni, si sta assistendo a un cambiament­o di paesaggio. Negli ultimi anni almeno 3.000 ettari di terreno sono tornati ad ospitare Timilia, Russello & Co. Sui monti Nebrodi, dove il grano era scomparso da tempo, adesso ci sono 50 ettari di spighe. Il ritorno della biodiversi­tà perduta, però, è solo un esempio del beneficio ambientale prodotto da queste antiche coltivazio­ni. «Essendo varietà territoria­li non standardiz­zate, i frumenti di una volta si adattano a clima e terreno, questo fa sì che richiedano meno cure», spiega Maracchi. « Prima di tutto una minore quantità di fertilizza­nti perché riescono a contrastar­e da sole le erbe infestanti e le malattie, e anche una minore quantità d’acqua perché sono varietà selezionat­e per crescere in siccità». La loro coltivazio­ne è quindi biologica. Il rovescio della medaglia? «Una

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