UOMINI nel cuore degli che NON SANNO AMARE
Il film rilancia il tema della freddezza emotiva. Un problema più al maschile, finora. Anche se la disparità tra i sessi si sta riducendo
Ma cos’è l’anaffettività, quel gelo interiore, grande protagonista delll’atteso film Fai bei sogni (tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Massimo Gramellini), diretto da Marco Bellocchio, che uscirà nelle sale giovedì 10 novembre? È un tratto psicologico dalle molte sfaccettature, comune a tanti uomini e causa di relazioni tossiche, dolorose, destinate all’insuccesso. Come viene raccontato anche in Stoner, il libro cult di John Williams, edito da Fazi, che narra la vita desolata di un docente universitario. Ne abbiamo parlato con la psicoterapeuta Umberta Telfener, autrice del saggio Gli amori briciola – Quando le relazioni sono asciutte (MaGi editore), dove analizza “l’avarizia sentimentale”.
Anaffettivi si diventa o si nasce? «Quando veniamo al mondo abbiamo tutte le potenzialità, anche quelle d’amare. È la vita che poi ci trasforma. L’anaffettività è, infatti, un meccanismo di difesa da ciò che ci spaventa. Una brutta esperienza, come una perdita, ci può far scattare sulla difensiva e può convincerci a non esporci emotivamente, a non prenderci responsabilità, in breve a non amare».
Perché succede quasi sempre agli uomini? «È più facile incontrare uomini inaccessibili, che non sanno essere intimamente disponibili o che hanno un atteggiamento ambivalente, sono cioè capaci di grandi slanci e, un attimo dopo, di clamorose retromarce. Accade perché a loro è sempre stato concesso di comportarsi così, mentre alle donne è spettato il compito di sopportare e di adeguarsi pur di tenere il partner stretto a sé. Ma oggi l’universo femminile si sta sempre di più allineando ai modelli maschili. Così troviamo donne che alzano barriere difensive e si guardano bene dal consegnarsi all’altro».
L’anaffetività porta inevitabilmente alla solitudine? «No, anzi, l’uomo anaffettivo, quasi sempre, è in coppia, perché attrae molto. La ragione ha origini psicologiche antiche. La prima figura da amare per una donna è sempre la mamma, poi crescendo il padre diventa il modello maschile di riferimento. Ma i papà “appartengono” alle madri e, dunque, non sono uomini disponibili. Ecco perché noi donne siamo attratte da chi non possiamo avere, da chi sfugge, da chi ci chiede molto senza darci niente in cambio. L’anaffettivo è il classico uomo da salvare. E questa missione piace alle donne. Anche se è destinata al fallimento. Non possiamo aspettarci grandi trasformazioni dagli uomini che danno di sé solo le briciole, ci sarà sempre una disparità del sentimento». Oggi gli uomini sembrano più coinvolti nei legami affettivi. Questo li potrebbe rendere meno avari? «C’è una nuova tipologia di maschio: più presente, più disponibile e meno concentrato su se stesso. È un uomo che vive la coppia in modo paritario e che si sente più simile psichicamente alla partner. Inoltre, è un compagno che partecipa direttamente alla vita familiare, soprattutto con l’arrivo di un figlio. E i bambini sono dei grandi maestri di affettività: insegnano a dare in modo incondizionato».