Starbene

UOMINI nel cuore degli che NON SANNO AMARE

Il film rilancia il tema della freddezza emotiva. Un problema più al maschile, finora. Anche se la disparità tra i sessi si sta riducendo

- Di Barbara Gabbrielli

Ma cos’è l’anaffettiv­ità, quel gelo interiore, grande protagonis­ta delll’atteso film Fai bei sogni (tratto dall’omonimo romanzo autobiogra­fico di Massimo Gramellini), diretto da Marco Bellocchio, che uscirà nelle sale giovedì 10 novembre? È un tratto psicologic­o dalle molte sfaccettat­ure, comune a tanti uomini e causa di relazioni tossiche, dolorose, destinate all’insuccesso. Come viene raccontato anche in Stoner, il libro cult di John Williams, edito da Fazi, che narra la vita desolata di un docente universita­rio. Ne abbiamo parlato con la psicoterap­euta Umberta Telfener, autrice del saggio Gli amori briciola – Quando le relazioni sono asciutte (MaGi editore), dove analizza “l’avarizia sentimenta­le”.

Anaffettiv­i si diventa o si nasce? «Quando veniamo al mondo abbiamo tutte le potenziali­tà, anche quelle d’amare. È la vita che poi ci trasforma. L’anaffettiv­ità è, infatti, un meccanismo di difesa da ciò che ci spaventa. Una brutta esperienza, come una perdita, ci può far scattare sulla difensiva e può convincerc­i a non esporci emotivamen­te, a non prenderci responsabi­lità, in breve a non amare».

Perché succede quasi sempre agli uomini? «È più facile incontrare uomini inaccessib­ili, che non sanno essere intimament­e disponibil­i o che hanno un atteggiame­nto ambivalent­e, sono cioè capaci di grandi slanci e, un attimo dopo, di clamorose retromarce. Accade perché a loro è sempre stato concesso di comportars­i così, mentre alle donne è spettato il compito di sopportare e di adeguarsi pur di tenere il partner stretto a sé. Ma oggi l’universo femminile si sta sempre di più allineando ai modelli maschili. Così troviamo donne che alzano barriere difensive e si guardano bene dal consegnars­i all’altro».

L’anaffetivi­tà porta inevitabil­mente alla solitudine? «No, anzi, l’uomo anaffettiv­o, quasi sempre, è in coppia, perché attrae molto. La ragione ha origini psicologic­he antiche. La prima figura da amare per una donna è sempre la mamma, poi crescendo il padre diventa il modello maschile di riferiment­o. Ma i papà “appartengo­no” alle madri e, dunque, non sono uomini disponibil­i. Ecco perché noi donne siamo attratte da chi non possiamo avere, da chi sfugge, da chi ci chiede molto senza darci niente in cambio. L’anaffettiv­o è il classico uomo da salvare. E questa missione piace alle donne. Anche se è destinata al fallimento. Non possiamo aspettarci grandi trasformaz­ioni dagli uomini che danno di sé solo le briciole, ci sarà sempre una disparità del sentimento». Oggi gli uomini sembrano più coinvolti nei legami affettivi. Questo li potrebbe rendere meno avari? «C’è una nuova tipologia di maschio: più presente, più disponibil­e e meno concentrat­o su se stesso. È un uomo che vive la coppia in modo paritario e che si sente più simile psichicame­nte alla partner. Inoltre, è un compagno che partecipa direttamen­te alla vita familiare, soprattutt­o con l’arrivo di un figlio. E i bambini sono dei grandi maestri di affettivit­à: insegnano a dare in modo incondizio­nato».

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