Con il lavoro nei campi curiamo chi soffre di disturbi mentali
Seminando, zappando e raccogliendo ortaggi, un gruppo di schizofrenici ha ritrovato l’equilibrio. Il racconto dell’educatore Nunzio Dicanosa
Li osservo, i nostri nove protagonisti del progetto Coltivare attivamente. Tutti uomini tra i 18 e i 50 anni, con varie forme di schizofrenia. Ma qui, con le mani sporche di terra, impegnati nello sforzo di zappare, concentrati a osservare il lavoro dei lombrichi, smettono di essere quelli malati, inidonei, da scansare e lasciare in un angolo a non far niente. Qui diventano persone con un compito ben preciso da portare a termine e con delle esperienze positive da raccontare.
Da sei mesi, all’interno della Masseria grande san Vittore della diocesi di Andria, in provincia di Bari, sotto la guida dell’educatore ambientale Fabrizio Amicone, hanno realizzato un orto sinergico, un metodo di coltivazione basato sul totale rispetto della natura e dei suoi ritmi, e sul concetto che i diversi tipi di ortaggi si aiutano vicendevolmente nella crescita. E posso dire, tracciando già un bilancio di questa avventura, che tra i bellissimi ortaggi cresciuti qui e le vite di queste persone c’è stato davvero uno scambio continuo di equilibrio ed energia. Come educatore e coordinatore delle cooperative Questa città e Campo dei miracoli mi occupo della cura e del reinserimento di chi soffre di disturbi mentali. Ho creduto fin dall’inizio nella necessità di trovare metodologie innovative per aiutare chi si ritrova bloccato non solo da una patologia psichica, ma anche dall’emarginazione e dall’esclusione dal mondo del lavoro.
ORA SI SENTONO DELLE PERSONE
ll progetto Coltivare attivamente ha offerto proprio questo: una nuova prospettiva. Sono tanti ormai gli studi che dimostrano gli effetti benefici che il contatto con la campagna e con i suoi frutti regala alla mente. Personalmente, alcune piccole esperienze precedenti mi avevano già insegnato che il semplice atto di coltivare, di prendersi cura di una pianta e della sua crescita, favorisce la serenità, migliora l’autostima compromessa dalla patologia e combatte l’isolamento. Lavorare all’aria aperta, ma soprattutto farlo insieme agli altri, aiuta a sentirsi vivi e ad avere degli obiettivi. È così che si riducono anche gli aspetti patologici. Non a caso, i medici hanno osservato che, dopo esperienze di questo genere, i trattamenti farmacologici risultano più efficaci, le recidive diminuiscono e la qualità della vita del malato ha un netto miglioramento. Ad Antonio, uno dei nostri partecipanti al progetto, è successo proprio così. Lui, marito e padre, era arrivato al Dipartimento di salute mentale per un insostenibile disagio psicologico. Chiuso in se stesso, immobile e in sovrappeso. Durante la prima fase del progetto, quella teorica, in cui venivano insegnate le prime nozioni di orticoltura, Antonio è sempre rimasto fermo, seduto sulla sua sedia, incapace di comunicare con il resto del mondo. Ma quando si è passati alla pratica, lo abbiamo visto cambiare radicalmente. Una volta sceso in campo, si è come “riacceso”. Ha iniziato a darsi da fare, a interagire con il resto del gruppo. Fabrizio, il mio collega, usa un’espressione che sembra fatta apposta per lui. Dice: “È come una pianta che segue la luce”. Sì, è proprio così, il progetto sta facendo rifiorire queste persone. Anche se seguo a distanza i pazienti, me ne
rendo conto giorno dopo giorno. Per esempio, sono diminuiti i conflitti che inizialmente scoppiavano tra di loro. Il fatto di essere concentrati a imparare cose nuove, curiose e interessanti li ha aiutati a non lasciare spazio ai pensieri negativi e ai malumori. Il lavoro ha ridefinito la loro identità, ha dato loro un nuovo equilibrio e quindi sono diventati anche più empatici gli uni con gli altri. Così i momenti liberi sono sempre più piacevoli, magari scaldati da una bella grigliata.
FANNO DI NUOVO PARTE DELLA SOCIETÀ
Fondamentale è stata l’organizzazione quotidiana, scandita da ritmi precisi, che ha dato una nuova struttura al loro tempo. Anche a quello interiore. La giornata ha inizio alle 8,30, con la partenza da Andria. Una volta arrivati alla Masseria grande san Vittore, si comincia a lavorare. Ognuno ha una propria mansione, tutti contribuiscono alla cura dell’orto. Anche la masseria, per il momento inutilizzata, grazie al contributo dei nostri nove lavoratori è in fase di ristrutturazione. Tanto che stiamo pensando a una fase B del progetto, con la creazione di una struttura ricettiva per il cicloturismo. Alcuni membri del gruppo mi hanno chiesto di poter continuare a occuparsi delle coltivazioni. Sarebbe bello, speriamo che sia possibile. Una cosa è certa, grazie a Coltivare attivamente, queste persone, considerate incapaci perché malate, oggi hanno acquisito delle competenze nuove e spendibili sul mercato del lavoro. E vivere grazie al sussidio o vivere con i soldi guadagnati con un lavoro vero fa una bella differenza.