PERCHÉ USIAMO ANCORA TANTO SALE?
O gni anno una nuova crociata alimentare infervora gli animi e stravolge il carrello della spesa. È successo con i grassi, poi con il glutine, poi con l’olio di palma. Per le aziende alimentari, una corsa contro il tempo a rimescolare ingredienti e rivedere formule, per trovare il modo di garantire cremosità e consistenza pur facendo a meno della sostanza killer di turno e poter apporre il fatidico “Senza” sulla confezione.
Eppure, ci sono due semplici ingredienti che conosciamo da sempre e da cui dobbiamo non certo astenerci, bensì stare in guardia: il sale e lo zucchero. Ma, chissà perché, stentiamo a farlo. Certo, non è una riduzione semplice da attuare. Sale e zucchero sono dappertutto, nei prodotti naturali come in quelli industriali. Anzi, in questi ultimi ce ne sono sempre di più perché, come scrive su Rivista
Studio lo chef Tommaso Melillo, «lo zucchero serve a non far sbriciolare i biscotti gluten free, a non far marcire il salmone affumicato...». E il sale a far sì che cibi così pieni di zucchero non abbiano il sapore di una caramella.
Su questo numero abbiamo approfondito il tema del sale, con un lungo servizio a pag. 26. Ci basterebbe stare sotto la soglia dei 5 g al giorno, e invece continuiamo a sfiorare gli 8,6 g delle donne e 10,6 g degli uomini. Per capire dove sbagliamo nella nostra routine alimentare, la Sinu (Società italiana di nutrizione umana) ha messo a punto un test che vi anticipiamo. E ci ha dato suggerimenti preziosi. Non solo ridurre brioche, pecorino, feta, mortadella e tonno in scatola. Ma anche aggiungere il sale a fine cottura della pasta: il sapore non cambia ma il sodio si ferma in superficie senza inflitrarsi nelle maglie dell’amido. Oppure misurare il quantitativo giornaliero da usare come condimento (2,5 g) e metterlo in una tazzina per imparare a regolarsi.
E lo zucchero? Ne parleremo sui prossimi numeri!