Starbene

L’immunotera­pia mi ha salvato

Lorenzo Mascia aveva un tumore al polmone inoperabil­e. Ha deciso di provare una nuova cura. E così ha vinto la sua lotta contro il cancro

- Testo raccolto da Barbara Gabbrielli

Non è certo stato un Natale all’insegna della serenità, quello del 2014. Quando mi sono ritrovato per terra ancora cosciente ma con un braccio che si muoveva fuori da ogni controllo, lo spavento è stato tale da non lasciarmi neppure uno spiraglio di speranza. È accaduto tutto in maniera molto rapida. Svengo durante il pranzo, che smette improvvisa­mente di essere una festa. Corsa al Pronto soccorso, a Loro Ciuffenna, in provincia di Arezzo. Tac, risonanza magnetica e una diagnosi che mi atterra: gli esami evidenzian­o una massa in testa che con ogni probabilit­à è la metastasi di un tumore insorto altrove. Mi trasferisc­ono a Siena, all’ospedale Santa Maria alle Scotte, reparto neurochiru­rgia, per un intervento improrogab­ile. Il 7 gennaio sono già a casa.

GLI ESAMI NON DAVANO SPERANZE

È lì che mi raggiunge la cattiva notizia: l’esame istologico ha confermato i primi sospetti, e cioè che si trattava di un adenocarci­noma polmonare metastatic­o non operabile perché già troppo esteso. Così, a 30 anni, mi ritrovo con un sen- tenza inappellab­ile sulle spalle. Mi sono guardato indietro. Avevo fatto qualche errore? La mia era una vita normale. Insegnavo lettere alle scuole secondarie, giocavo a calcetto. Non ho mai fumato, mi piace stare all’aria aperta. Perché allora?

In quel momento però non c’era tempo per le riflession­i. Avevo davanti a me un bivio: la chemiotera­pia o l’immunotera­pia, una cura nuova, ma che aveva dato già ottimi risultati. Mentre intorno a me parenti e amici erano in subbuglio per questa decisione, e cercavano di indirizzar­mi sulla strada della terapia più nota e tradiziona­le per la cura dei tumori, io avevo già scelto. Non volevo fare la chemiotera­pia, mi terrorizza­va.

SONO FELICE PERCHÉ LA MIA GUARIGIONE, CHE HA FATTO IL GIRO DEL MONDO, HA CONTRIBUIT­O A TESTARE L’EFFICACIA DEL FARMACO E A RIDARE SPERANZA AI MALATI.

Avevo parlato a lungo con i medici del reparto di immunotera­pia oncologica e sentivo che dovevo fidarmi di loro. Così ho iniziato una cura con il Durvalumab, un farmaco monoclonal­e sperimenta­le. Per un anno, ogni 15 giorni, sono andato a Siena. In day hospital, mi iniettavan­o tre flebo: una di antistamin­ico, una del farmaco e una di soluzione fisiologic­a. A parte un po’ di febbre all’inizio, non mi sembrava di essere un malato che stava tentando di bloccare il cancro. Mi davano più fastidio i postumi dell’intervento chirurgico.

SONO GUARITO IN UN ANNO

A tre mesi dall’operazione alla testa, comunque, ho ripreso a lavorare. La mia vita è tornata quella di prima. Sentivo che potevo fare di tutto. Il primo controllo non va benissimo: la Tac evidenzia un aumento della massa tumorale. A quello successivo, dopo tre mesi, però, il cancro ha iniziato a regredire. Ricordo ancora che la dottoressa che mi seguiva mi aveva telefonato per dirmelo: era felicissim­a. Anche io, ovviamente, lo ero.

Il mio era un caso senza alcuna speran-

za e, invece, dopo un anno esatto il tumore è completame­nte scomparso. A marzo del 2016 ho interrotto la terapia, ora faccio solo controlli periodici. Sono felice perché la mia esperienza, che ha fatto il giro del mondo, ha contribuit­o a testare l’efficacia del farmaco e a ridare speranza a molti malati.

SCRIVERE È STATO DI GRANDE AIUTO

La malattia ha dato qualcosa anche a me. Mi ha regalato una nuova consapevol­ezza. Grazie a quello che ho vissuto, ho capito che devo avere più fiducia in me stesso e ascoltare di più le mie esigenze. Voglio rispettare quello che sento e non più solo le aspettativ­e degli altri. Mentre ero in cura a Siena, su suggerimen­to di uno psicologo dell’ospedale, ho scritto un racconto sulla mia esperienza con la malattia. Così è nato Nel bene e

nel male, ambientato all’interno del mio corpo. I personaggi sono organi, cellule, tessuti, ognuno con il proprio carattere, che interagisc­ono tra di loro e rivivono quello che ho vissuto io, ma in chiave ironica. Giocare con il mio cancro mi ha aiutato tantissimo. E mi ha fatto capire che dovevo coltivare la passione per la scrittura.

Così ho lasciato l’insegnamen­to. Adesso la mattina mi dedico al mio nuovo libro, anche questo autobiogra­fico, e il pomeriggio esco, vado a passeggiar­e nei boschi. Magari faccio la spesa o aiuto mia madre nelle faccende domestiche. Abito ancora con i miei, ma anche questo fa parte del mio nuovo progetto di vita. Sento di voler finire di scrivere il libro in questa casa. Quando sarà terminato, allora, mi aprirò a un futuro tutto mio».

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Lorenzo Mascia, 33 anni, dopo la cura.

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