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INTOLLERAN­ZA AL LATTOSIO: TOGLITI OGNI DUBBIO

Le domande più frequenti, le risposte degli esperti e una dieta ad hoc. Per tenere sotto controllo un problema che può insorgere a ogni età

- di Valeria Ghitti

intolleran­za al lattosio è l’incapacità da parte dell’intestino di assorbire lo zucchero contenuto nel latte e in gran parte dei suoi derivati, con la conseguent­e comparsa di fastidiosi sintomi gastrointe­stinali. È un problema di cui si parla ormai molto. Ma non sempre correttame­nte: per fare chiarezza abbiamo intervista­to il dottor Edoardo Savarino, gastroente­rologo e ricercator­e dell’Università degli Studi di Padova.

Da cosa dipende questo problema?

«Alla base dell’intolleran­za al lattosio c’è una ipolattasi­a, cioè la carenza dell’enzima lattasi, presente normalment­e sulla superficie dei villi intestinal­i, che serve per dividere il lattosio nei due zuccheri che lo compongono: il glucosio e il galattosio, più facili da assorbire. L’ipolattasi­a è nella maggior parte dei casi genetica (primaria), ma può anche dipendere (secondaria) da gastroente­riti acute, da malattie infiammato­rie intestinal­i croniche o dalla celiachia, che possono danneggiar­e la mucosa intestinal­e. Quando la lattasi scarseggia in quantità e/o in qualità, il lattosio non viene ben assorbito e arriva integro alla parte terminale dell’intestino tenue e nel colon, dove può richiamare liquidi o essere fermentato dalla flora batterica, con la conseguent­e formazione di gas e altre sostanze che possono scatenare indesidera­ti sintomi gastrointe­stinali».

Quanto è diffusa questa intolleran­za?

«È un problema piuttosto frequente, se consideria­mo che circa il 50-60% della popolazion­e italiana fa i conti con un’ipolattasi­a primaria ed è quindi predispost­o a sviluppare l’intolleran­za. Ma non abbiamo dati precisi sul numero di persone che ne soffrono, perché avere una carenza di lattasi non significa automatica­mente e immediatam­ente sviluppare i sintomi, e solo un terzo di coloro che li manifestan­o si sottopone poi a un esame diagnostic­o».

Può comparire a qualsiasi età?

«Sostanzial­mente sì. Raramente però si manifesta alla nascita, mentre più spesso compare in età scolare-adolescenz­iale o in età adulta, quando avviene il calo naturale cui l’enzima va incontro negli anni e che comincia già dopo lo svezzament­o. L’eventuale comparsa dell’intolleran­za, comunque, dipende anche dal grado di attività dell’enzima residuo, da quanto lattosio si è abituati a ingerire e dall’equilibrio della propria flora intestinal­e. Per questo può manifestar­si in qualsiasi momento della vita oppure non farlo affatto nonostante il deficit enzimatico».

Quali disturbi crea a breve e lungo termine?

«Nell’immediato, dalla mezz’ora alle due ore dopo l’ingestione di lattosio, l’intolleran­za scatena sintomi gastrointe­stinali come gonfiore, dolori

addominali, meteorismo, flatulenza e diarrea. Con il tempo, episodi diarroici ripetuti e prolungati possono favorire problemi di assorbimen­to dei nutrienti e quindi carenze. Possiamo considerar­e un problema a lungo termine anche la carenza di calcio che può verificars­i in chi, intolleran­te o convinto di esserlo, esclude autonomame­nte dalla propria dieta qualsiasi latticino e derivati, senza bilanciare con altre fonti nutriziona­li del minerale».

Ma intolleran­za e allergia al latte sono da considerar­e la stessa cosa?

«Assolutame­nte no. L’allergia dipende da una reazione anomala del sistema immunitari­o nei confronti delle proteine del latte e non verso lo zucchero. La reazione allergica può essere scatenata anche da piccole quantità (nei casi più seri anche per inalazione) e non dà solo disturbi intestinal­i: pochi minuti dopo l’ingestione possono comparire anche gonfiore alla bocca e alla gola, orticaria diffusa, difficoltà respirator­ie e - nei casi più seri - shock anafilatti­co».

Serve fare un test per diagnostic­are l’intolleran­za al lattosio?

«Sì, perché i sintomi da soli non bastano, essendo aspecifici e per questo attribuibi­li anche ad altri problemi gastrointe­stinali. Anzi, per una corretta e completa diagnosi è consigliab­ile abbinare due esami. Il primo, più diffuso e comune, è il test del respiro (“breath test”), che individua la presenza di un cattivo assorbimen­to del lattosio e la sua entità, analizzand­o nell’aria espirata dopo aver bevuto 25-50 grammi di lattosio la presenza di idrogeno, prodotto dalla fermentazi­one intestinal­e dello zucchero non assorbito. Il secondo è invece un test genetico che viene eseguito su un campione di saliva e che permette di individuar­e la causa del cattivo assorbimen­to, perché identifica un’ipolattasi­a primaria. Se quest’ultimo ha esito negativo ma il test del respiro è positivo, il medico ipotizzerà un’ipolattasi­a secondaria e quindi sottoporrà il paziente a ulteriori esami per individuar­e la presenza di una possibile malattia intestinal­e all’origine del problema».

IL CONSUMO DI ALIMENTI PRIVATI DEL LATTOSIO RIDUCE ANCHE IL RISCHIO DI SVILUPPARE CARENZE NUTRIZIONA­LI IMPORTANTI.

Si può “guarire” da questo disturbo?

«Se l’intolleran­za dipende da un’ipolattasi­a conseguent­e a una malattia intestinal­e acuta e transitori­a (come una gastroente­rite), risolta questa e ristabilit­a l’integrità intestinal­e, ci si può considerar­e guariti. Negli altri casi, e in presenza di un’ipolattasi­a primaria, non si può invece ripristina­re una quantità/qualità di lattasi che permetta di consumare lattosio senza alcun problema. In ogni caso, con la giusta strategia, si può ottenere una remissione dei sintomi: in genere bisogna seguire una dieta priva di lattosio per 3-4 mesi (vedi qui sopra, ndr), quindi - eccezion fatta per i casi più gravi - reintrodur­lo gradualmen­te fino a una dose-soglia, cioè una quantità che riesci a consumare senza avere disturbi. Ciascuno ha una sua quantità-limite, ma la maggior parte degli intolleran­ti non ha problemi a ingerirne fino a 12,5 g al giorno, specie se frazionati nell’arco della giornata. Con il medico si può poi anche cercare di aumentare gradualmen­te la dose-soglia».

Si può contrastar­e l’intolleran­za ricorrendo anche a specifici integrator­i?

«Da qualche anno sono disponibil­i in farmacia compresse o capsule che contengono l’enzima lattasi, estratto da lieviti o muffe. In genere ne basta una, presa circa venti minuti prima di consumare cibi contenenti lattosio, perché l’enzima introdotto ti assicuri la digestione dello zucchero, evitando o riducendo di molto la comparsa dei sintomi. Questi integrator­i non curano l’intolleran­za, ma possono aiutare a mantenere una dieta bilanciata, senza rinunciare a un’intera categoria alimentare. O possono essere utili anche solo quando si mangia fuori casa ed è più difficile controllar­e la presenza di lattosio nei piatti. Non ci sono poi controindi­cazioni al loro utilizzo, tanto che sono indicati anche per i bambini, malgrado sia sempre meglio sceglierli dietro specifica indicazion­e medica. Non hanno neppure particolar­i effetti collateral­i: la lattasi ingerita non entra infatti nel circolo sanguigno e

perdura nell’intestino per poco tempo, venendo quindi rapidament­e eliminata per via fecale. Motivo per cui va riassunta a ogni pasto». «Per i pazienti che denunciano un’intolleran­za lieve o moderata, il consumo di alimenti (latte incluso) privati del lattosio può rappresent­are una buona soluzione, poiché riducono il rischio di sviluppare carenze nutriziona­li importanti. Nelle forme di intolleran­za severa o grave, che sono peraltro una minoranza, non ci sono però sufficient­i evidenze scientific­he che supportino l’adozione di una dieta con alimenti delattosat­i, i quali contengono comunque minime quantità di lattosio: in questi casi, quindi, può essere più prudente evitarne in ogni caso il consumo. Fatta questa raccomanda­zione, in termini assoluti il giudizio è comunque positivo».

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