SCRIVERE PER VINCERE LA MALATTIA
uando ero piccola, la malattia era un tabù. Non la si nominava neppure. I referti medici venivano letti furtivamente e archiviati nella camera da letto dei miei genitori, il luogo più inaccessibile della casa. Che ricordo di aver violato per scoprire quanto a lungo avrebbe vissuto mia nonna, costretta a letto da qualche mese.
Non si taceva per vergogna: la malattia faceva parte della vita più di adesso. Parlarne il meno possibile era una forma estrema di rassegnazione: più era incurabile il male, meno ci si doveva pensare. Perché doveva essere vita vera fino all’ultimo giorno. O quasi. Oggi la malattia si annuncia sui social network, si racconta giorno per giorno sui blog ed è protagonista di libri e memoir, spesso autopubblicati. Questa ipernarrazione, che può risultare di difficile comprensione a chi non ci è passato, l’ho sempre vista come il più forte segnale di attaccamento alla vita, la migliore arma contro la rassegnazione. Chi non si arrende alla malattia
Ql’affronta con il racconto, l’ironia. E funziona: gli effetti benefici della blogterapia sono provati. Tanto che si parla di medicina narrativa, ovvero recuperare la storia del paziente, che va ben oltre la storia clinica. Scrivere della propria malattia significa mettersi in ascolto del corpo per registrarne i segnali, impegnarsi in un percorso serio di cambiamento di stile di vita, approfondire la propria patologia senza essere in balia dei medici e soprattutto imparare ad accettare l’aiuto degli altri. Se alcuni decidono di non rivelare di essere malati è per non vedere la propria disgrazia specchiata negli occhi del prossimo. Ma quando inizi a raccontare in modo costruttivo, seminando coraggio, allora non è pietà che raccogli, ma consigli e stimoli a fare meglio. Un ulteriore aiuto sulla strada della guarigione. Ecco perché, tra i tanti modi in cui si può reagire alla scoperta della malattia (di cui parliamo a pag. 82), penso che scrivere sia decisamente uno dei migliori.