Salmone sotto accusa: facciamo chiarezza
Quello da allevamento è davvero inquinato da diossina e antibiotici? I nostri esperti dicono di no
Anche il salmone, il “campione” dei preziosi grassi Omega 3, a volte è costretto a salire sul banco degli imputati. Di recente la sua salubrità è stata messa in discussione dalla trasmissione e Indovina chi viene a cena, in onda in prima serata su Rai3. Ma scende subito in sua difesa Silvia Biasotto, responsabile dell’Area sicurezza alimentare del Movimento difesa del cittadino: «Il salmone che importiamo viene quasi tutto dagli allevamenti della Norvegia, Paese che vanta regole attente e controlli sicuri. Inoltre, ogni prodotto che entra in Italia deve rispettare le leggi nazionali e viene sottoposto a verifiche scrupolose». Anche Valentina Tepedino, medico veterinario e direttore del periodico di settore Eurofishmarket, è sulla stessa linea d’onda: «La Norvegia investe ogni anno milioni di euro per il monitoraggio degli allevamenti. Il mercato è talmente importante che è stato perfino istituito un Ministero della Pesca (da noi e in altri Paesi europei non esiste)». Con lei abbiamo fatto chiarezza, punto per punto, scagionando il salmone da ogni accusa.
I CONTAMINANTI AMBIENTALI
«I livelli di inquinanti presenti nel pesce d’allevamento, tra cui diossina e pesticidi, sono addirittura inferiori a quelli riscontrati nel salmone selvatico, come ha dimostrato un recente studio del National Institute of Nutrition and Seafood Research (Nifes), pubblicato su Environmental Research. Dipende dalla dieta dei salmoni: i mangimi di nuova generazione sono prevalentemente vegetali e non a base di prodotti ittici che, in passato, erano la principale fonte di contaminanti. Così, la presenza di questi ultimi si è ridotta di due terzi negli ultimi 10 anni ed è 13 volte inferiore ai limiti stabiliti dalla Ue, mentre quella di metalli pesanti lo è di 30 volte», afferma la veterinaria.
IL RICORSO AI FARMACI
«Oggi i salmoni vengono vaccinati, quindi solo nello 0,5-1% dei casi si ricorre agli antibiotici. Gli esemplari “curati” con i farmaci, poi, vengono messi in quarantena, per dare tempo al loro organismo di smaltire i residui. Quanto all’antiossidante etossichina, un Regolamento Ue ne autorizza l’uso nei mangimi animali, purché entro il limite massimo di 150 mg/kg. Ebbene, negli ultimi 10 anni i valori medi si sono ridotti drasticamente, perché, come detto, è cambiato il cibo per il pesce d’allevamento», rassicura Valentina Tepedino.
LA SOSTENIBILITÀ
DEGLI ALLEVAMENTI
«In Norvegia il regime di concessione delle licenze è molto severo, rispetta le normative Comunitarie e le ispezioni sono 70mila l’anno. Gli impianti di allevamento possono essere posizionati solo dove ci sono correnti che garantiscano un adeguato ricambio d’acqua e tra un ciclo di produzione e l’altro c’è un periodo di fermo di due mesi, in cui le vasche vengono svuotate. La densità, poi, non è eccessiva: la normativa norvegese impone, unica nel suo genere, vasche molto grandi (da 60 a 160 metri per lato) e profonde (circa 50 metri), con il 97,5% di acqua e il 2,5% di pesce. Infine, l’impatto ambientale sull’ecosistema dei fiordi è monitorato con regolarità», conclude l’esperta.