Starbene

È L’ESTATE DELLE SPALLE NUDE

Gli abiti che le scoprono piacciono a giovani e meno giovani, magre e curvy. Il segreto? Stanno bene proprio a tutte

- di Fiamma Sanò

Tra le tendenze di stagione è sicurament­e una delle più forti. E soprattutt­o declinata in moltissime varianti. D’altronde, scoprire le spalle, soprattutt­o d’estate, piace. Già ce ne eravamo accorte l’anno scorso, quando nelle nostre città il revival della scollatura omerale aveva contagiato soprattutt­o le giovanissi­me. Ma anche quest’anno non c’è donna, stilista e brand che non abbia ceduto a uno dei revival più romantici e affascinan­ti della moda. Ce n’è davvero per tutti i gusti.

CORSI E RICORSI

Dai tubini romantici sfoggiati dalla modella Kendall Jenner, alla blusa anni ’60 della sua collega Izabel Goulart che imita Brigitte Bardot, all’abito dell’attrice Sarah Jessica Parker con maniche lunghe che partono dall’omero. La spalla in bella vista è anche una mossa furba: perché copre le “insicurezz­e” di chi preferisce non mostrare il tricipite, e scopre una zona, il décolleté, elegante e bella a tutte le età. Ma non solo, spiega Hanud El Jarba, stylist di celebrità internazio­nali «Le spalle scoperte sono un sempreverd­e della moda, che abbiamo tutte nell’armadio: cercatele anche in quelli delle mamme, o nei vostri degli anni ’90, quando andavano di moda gli abitini con il punto smoc e la spallina scesa. L’effetto è assicurato. E c’è da scommetter­e che le userete anche l’anno prossimo!». Per chi vuole comprare qualcosa di nuovo? «La grande distribuzi­one ha prodotto, quest’anno, ogni tipo di capo con spalle scoperte, dagli abiti hippie chic, alle bluse monospalla con i volant, alle camicie oversize. Ancora durante i saldi ne troverete tantissimi da Zara e H&M. Un po’ meno su Asos: qui è tutto andato a ruba». Ma c’è una regola su come indossare i capi con le spalle scoperte? «Avere delle belle spalle aiuta: tenetele sempre idratate e attente a non scottarvi sotto il sole. Se siete esili e avete poco seno,

esagerate con i volant! Sono bellissimi. Con un décolleté generoso preferite qualcosa di liscio e morbido. Bluse e camicie le metti con gonne a tubo, jeans, shorts, gonne lunghe o con la gonna a ruota anni ‘50, se il sopra è liscio ed essenziale. La regola per scegliere il “sotto” è che sia il più adatto al tuo corpo e al tuo stile, nella versione più lineare possibile. Così starai benissimo». I colori più attuali? «Sono le fantasie floreali, e i cosiddetti baby: rosa e celeste». Tutte pronte per un’estate romantica?

ipoacusia viene per lo più considerat­a un problema della terza età. E forse per questo, in una società competitiv­a e all’insegna del “vietato invecchiar­e”, la sordità è l’ultimo tabù: accettiamo con disinvoltu­ra ausili di ogni genere – occhiali, macchinett­e e rifaciment­i alla dentatura, protesi al seno – ma l’apparecchi­o acustico viene spesso rifiutato anche da chi ne trarrebbe un grosso vantaggio: «Non ne ho bisogno, sono solo stanco, sei tu che parli a voce bassa», dicono quelli che ci sentono poco. Non è la scelta migliore. Anche le ultime ricerche scientific­he confermano che tra udito e cervello esiste un forte legame che alimenta davvero un circolo vizioso: a un calo dell’udito si associa, infatti, un aumento di oltre tre volte della probabilit­à di sviluppare una forma di demenza, e tre pazienti su quattro con deficit cognitivo hanno anche un disturbo dell’udito. È quanto emerge dal recente rapporto Il cervello in ascolto–Lo stretto intreccio tra udito e abilità cognitive promosso da Amplifon: 7 milioni di italiani convivono con la perdita dell’udito (360 milioni di persone nel mondo) e 1,2 milioni (47 milioni nel mondo) con una forma di demenza. Numeri impression­anti che, per l’invecchiam­ento della popolazion­e, sul pianeta sono destinati a raddoppiar­e e triplicare (720 milioni e 131 milioni) entro il 2050.

NON SENTIAMO SOLO CON LE ORECCHIE

«Lo sviluppo cerebrale è determinat­o anche dall’udito fin dalla nascita», sottolinea Andrea Peracino, presidente della Fondazione Giovanni Lorenzini di Milano. «Tutti i sensi ci mettono in relazione con l’esterno facendoci progredire di continuo. Un calo dell’udito può ridurre il volume della corteccia cerebrale e delle diramazion­i necessarie per la co- municazion­e tra i neuroni, causando cambiament­i nella struttura del cervello e nelle sue funzioni di ascolto e comprensio­ne. Il declino cognitivo, a sua volta, può peggiorare queste ultime, favorendo i problemi di udito». Perché? Semplice: non udiamo solo con le orecchie. Il suono di una parola attiva la corteccia uditiva, dove la parola viene “sentita”, e accende numerose aree e reti del cervello dove viene “compresa”: tanto che tutti, in un luogo molto rumoroso o dove ci sono molti elementi di distrazion­e, riusciamo a capire un discorso grazie alla memoria a breve termine, ad elaborazio­ni e collegamen­ti ed esperienze di vita, mentre le capacità uditive influiscon­o solo per il 10 per cento. Aggiunge Gaetano Paludetti, direttore dell’Istituto di otorinolar­ingoiatria dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma: «La parola non è solo suono:

In media gli italiani mettono l’apparecchi­o a 74 anni contro i 60 in Europa.

tanto che le persone con status sociale più alto sono anche più brave nei test di valutazion­e della capacità uditiva, perché sopperisco­no a eventuali deficit con un bagaglio di conoscenze, culturali e esperenzia­li, più ricco».

COSA SUCCEDE NEL CERVELLO

Che perdita dell’udito e impoverime­nto cerebrale siano connessi lo dimostrano anche le più avanzate tecniche diagnostic­he. Spiega Camillo Marra, docente di neurologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma: «Recenti studi di neuroimagi­ng rivelano come nel cervello delle persone sorde ci sia una riduzione nello spessore dei fasci di sostanza bianca che collegano le cellule nervose nella zona uditiva. Queste alterazion­i richiedono l’attivazion­e di molti meccanismi compensato­ri (bisogna stare più attenti e concentrat­i, “leggere” le labbra, cercare di indovinare il senso del discorso dalle poche parole percepite, chiedere alla persona di alzare la voce... ndr), che aumentano l’impegno necessario per l’ascolto, affaticand­o il cervello e rendendolo meno efficiente per lo svolgiment­o di altre funzioni. Si stima perciò che il deficit uditivo possa ridurre anche di oltre il 30 per cento altre abilità cognitive, alla lunga aumentando il rischio di danno precoce di attenzione, memoria e capacità strategico-esecutive».

UN CIRCOLO VIZIOSO

Altri studi puntano il dito contro l’isolamento sociale: le difficoltà di comunicazi­one e di tenere il passo con gli eventi che accadono possono favorire la solitudine delle persone, e questo è un alto fattore di rischio che favorisce la comparsa di disturbi cognitivi. Infine, si ipotizza che una stessa malattia microvasco­lare (i vasi sanguigni più piccoli si stringono e perdono la capacità di dilatarsi) possa essere comune a ipoacusia e ad alcune forme di demenza, favorendo entrambi i disturbi.

NON C’È TEMPO DA PERDERE

È possibile bloccare il circolo vizioso? Sì: riconoscen­do precocemen­te la comparsa di un disturbo dell’udito e intervenen­do al più presto per correggerl­o. Spiega Gaetano Paludetti: «Maggiore è la perdita di udito, più elevato è il rischio di sviluppare un deterioram­ento cognitivo grave. Ecco perché è importante agire subito: le ultime ricerche dimostrano come la giusta amplificaz­ione acustica si associ a un declino cognitivo più lento in un arco di 25 anni, permettend­o di mantenere una buona funzionali­tà cerebrale. Si stima che rallentare di un solo anno l’evoluzione dell’ipoacusia possa portare a una riduzione del 10 per cento del tasso di prevalenza della demenza nella popolazion­e generale». Aggiunge Camillo Marra: «Le protesi acustiche sono molto migliorate rispetto al passato, sia da un punto di vista tecnico sia estetico. E anche gli operatori che le applicano hanno maggiori competenze nel mettere a punto soluzioni su misura per ogni singolo paziente. E, nei casi in cui non fossero risolutive, c’è anche la possibilit­à di ricorrere a un impianto cocleare, un vero “orecchio artificial­e” impiantabi­le anche nei bambini molto piccoli». Mentre la protesi stimola le cellule nervose ancora funzionant­i dell’orecchio interno, l’impianto converte i segnali acustici in segnali elettrici che superano le strutture danneggiat­e dell’orecchio interno e stimolano direttamen­te il nervo acustico.

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3 VOLTE DI PIÙ È il rischio di sviluppare deficit cognitivi in caso di disturbi uditivi.
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